Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8107 del 21/04/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 8107 Anno 2016
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: FALABELLA MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso 27980-2011 proposto da:
DELLA TORRE ITALO DLLTLI31R01C520J, DELLA TORRE MARIA
GRAZIA

DLLMGR59945C933L,

DLLMRZ65C04C933E,

RIVA

elettivamente domiciliati

DELLA
DORINA

TORRE

MAURIZIO

RVIDRN44B48C520W,

in ROMA, VIA S. TOMMASO

D’AQUINO 80, presso lo studio dell’avvocato LUDOVICO
2016
435

GRASSI, rappresentati e difesi dagli avvocati STELLA
TEDESCO, ERNESTO TEDESCO;
– ricorrenti contro

RIVA RICCARDO, RIVA LINA, elettivamente domiciliati in

Data pubblicazione: 21/04/2016

ROMA,

VIA LUCULLO 3, presso lo studio dell’avvocato

NICOLA ADRAGNA,

che li

rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VITTORIO GELPI;
controricorrenti

avverso la sentenza n. 2049/2011 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/02/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO
EALABELLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di MILANO, depositata il 06/07/2011;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata nel giugno 2004 Riva
Donna, Della Torre Maria Grazia, Della Torre Maurizio

e Riva Lina. Deducevano che il 30 giugno 1966 era
deceduto Riva Biagio, per cui si era aperta la
successione dello stesso in favore dei figli Riva Edi,
Donna, Tersilio (detto Felice) e Maria. Della Torre
Maria Grazia e Maurizio erano a loro volta succeduti
alla madre Riva Maria, così come il loro padre, Della
Torre Italo. Erano altresì deceduti, nel 1987,
Tersilio, rispetto al quale si era aperta la
successione legittima dei figli Lina e Riccardo, e, nel
1992, Edi, il quale, con testamento olografo del 26
novembre 1978, aveva lasciato tutti i propri beni ai
figli del predetto Tersilio, odierni convenuti. Con la
nominata citazione gli attori domandavano
l’accertamento della invalidità o inefficacia delle
disposizioni testamentarie di Riva Edi eccedenti la
quota di cui lo stesso poteva disporre, l’accertamento
della massa del compendio immobiliare ereditario per
successione di Riva Biagio e di Riva Edi e lo
scioglimento della comunione ereditaria con
attribuzione delle quote a ciascun erede con eventuali
conguagli, salvo vendita all’incanto del compendio.
3

e Della Torre Italo evocavano in giudizio Riva Riccardo

Secondo gli attori il testamento olografo del 26
novembre 1978 di Riva Edi era da ritenersi nullo,
invalido ed inefficace nei confronti degli attori, in

erano di sua esclusiva proprietà, attribuendoli ai soli
convenuti e ledendo in tal modo la quota di riserva dei
fratelli Donna e Maria.
Riva Lina e Riccardo si costituivano in giudizio e
assumevano che i beni in questione erano entrati della
proprietà esclusiva del testatore a seguito dello
scioglimento della comunione ereditaria, per effetto
della divisione intervenuta tra i coeredi con scrittura
privata del 20 aprile 1979; negavano il fondamento
della domanda di accertamento della lesione della quota
di riserva, posto che gli attori non rientravano tra i
legittimari; infine asserivano che, in ogni caso, i
beni di cui al testamento impugnato erano stati
acquistati per usucapione per effetto del possesso
ultraventennale dei convenuti e del loro dante causa
Tersilio.
Il Tribunale di Como nell’anno 2007 pronunciava
sentenza con cui dichiarava inefficaci nei confronti
degli attori le disposizioni di Riva Edi contenute nel
testamento olografo del 26 novembre 1978 e dichiarava,
altresì, i convenuti proprietari, per intervenuta
4

quanto aveva disposto indebitamente di beni che non

usucapione, di una unità immobiliare sita nel comune di
Cernobbio.
Contro detta sentenza hanno proposto appello

incidentale Lina e Riccardo Riva.
La Corte di appello di Milano, con sentenza
depositata il 6 luglio 2011, rigettava l’appello
principale e dichiarava inammissibile quello
incidentale.
La pronuncia della corte milanese è stata
impugnata per cassazione da Donna Riva e Della Torre
Maria Grazia, Maurizio e Italo con ricorso affidato a
tre motivi. Resistono con controricorso Lina e Riccardo
Riva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il proposto ricorso supera con fatica il vaglio di
ammissibilità: esso si compone, per lo più, di massicce
riproduzioni degli atti del procedimento trattato
avanti ai giudici di merito che, in assenza di un’opera
di apprezzabile sintesi, si rivelano non funzionali
alla puntuale comprensione delle questioni controverse.
Infatti, la riproduzione degli atti processuali è, per
un verso, del tutto superflua, non essendo affatto
richiesto che si dia meticoloso conto di tutti
momenti nei quali la vicenda processuale si è
5

principale Donna Riva e i Della Torre e appello

articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la
necessità della sintetica esposizione dei fatti, in
guanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla

occorre sia informata), la scelta di quanto
effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso
(Cass. S.U. 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. 9 luglio
2013, n. 17002; Cass. 22 novembre 2013, n. 26277).
La stessa trattazione dei motivi si connota per la
sua confusione: dopo essere stati accorpati in poche
righe (a pag. 26 del ricorso), i ricorrenti hanno
proceduto a inserire nel corpo dell’atto ampi stralci
degli atti processuali. A pag. 41 gli istanti mostrano
di voler illustrare la prima censura, ma poi di
dilungano nella riproduzione di altri atti del
giudizio. E’ solo nelle ultime dieci pagine (delle
sessantatrè di cui si compone il ricorso) che
l’esposizione delle censure raggiunge un apprezzabile
livello di sintesi; ed è proprio grazie a tale
conclusiva trattazione dei motivi di impugnazione che
il ricorso riesce a sottrarsi alla declaratoria di
inammissibilità. Si ricorda, in proposito, che il
ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni
motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la
puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo
6

costretta a leggere tutto (anche quello di cui non

medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art.
360 c.p.c. è proposto; dall’altro, esige
l’illustrazione del singolo motivo, contenente

decisione assunta con la sentenza impugnata, e
l’analitica precisazione delle considerazioni che, in
relazione al motivo come espressamente indicato nella
rubrica, giustificano la cassazione della sentenza
(Cass. 19 agosto 2009, n. 18421).
Il primo motivo – dunque – denuncia nullità della
sentenza in relazione agli artt. 112, 276, 167 e 34
c.p.c., nonché omessa, insufficiente contraddittoria
motivazione su di fatto controverso decisivo per il
giudizio. Con l’appello – viene spiegato – i ricorrenti
avevano lamentato che il tribunale avesse accolto la
domanda di accertamento dell’usucapione fondandola su
un possesso “qualificato oggettivamente e
soggettivamente ex officio”, che non era quello dedotto
dai convenuti Riva Lina e Riva Riccardo in maniera
utile nel corso del giudizio, così sostituendo una
diversa azione a quella proposta: la sentenza della
corte del merito, con cui era stata respinta
l’impugnazione, sarebbe pertanto viziata per la mancata
corrispondenza tra il chiesto il pronunciato. In
particolare, i controricorrenti avevano basato la
7

l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della

domanda sul possesso esercitato dal 1966, siccome unito
a quello del padre Tersilio, mediante “atti di gestione
e utilizzo” del bene, laddove la pronuncia impugnata,

accolto la domanda per un preteso possesso collegato a
quanto stabilito nella scrittura divisionale del 20
aprile 1979: scrittura che era stata dichiarata nulla.
Inoltre la pronuncia risultava carente sul piano
motivazionale dal momento che ai fini dell’usucapione
del coerede non era sufficiente che gli altri
partecipanti alla comunione si fossero astenuti
dall’uso della cosa, occorrendo invece che il coerede
ne avesse goduto in modo incompatibile con la
possibilità di godimento altrui, tanto da evidenziare
la volontà di possedere uti

dominus

e non utl

condominus.
L’articolazione del motivo, attuata attraverso una
tecnica redazionale che certo non ne agevola la
comprensione da parte del lettore, è incentrata su di
un vizio in procedendo ex art. 360, n. 4 c.p.c. e su di
un vizio di motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c..
Ora, gli odierni controricorrenti avevano dedotto,
in primo grado, di essere divenuti proprietari, in via
esclusiva, del bene che qui interessa in forza dello
scioglimento della comunione ereditaria che si sarebbe
8

nel confermare la sentenza di primo grado, aveva

attuato secondo quanto convenuto nella scrittura
privata del 20 aprile 1979; in via subordinata essi
avevano sostenuto di aver acquistato il dominio

ultraventennale (che risaliva al 1966, e cioè dall’anno
della morte di Biagio Riva), potendo unire il loro
possesso a quello del padre Tersilio.
Il tribunale e la corte di appello hanno
rilevato che l’accordo contenuto nella scrittura
privata del 20 aprile 1979 fosse inidoneo a operare lo
scioglimento della comunione ereditaria, stante la
mancata partecipazione allo stesso da parte di Grazia
Della Torre. Nel contempo hanno rilevato che, insieme
ad altri elementi – come il pagamento delle imposte e
delle spese di manutenzione del cespite, l’inoltro di
istanze di autorizzazione al Comune e la protratta
occupazione dello stesso immobile -, quella pattuizione
desse ragione del fatto che Edi Riva, prima, e Riva
Lina e Riccardo, poi, abbiano posseduto il bene in modo
esclusivo, e cioè uti domini.
In sostanza, quindi, i ricorrenti si dolgono del
fatto che i giudici di merito abbiano valorizzato, ai
fini dell’usucapione, un possesso (quello che, a
partire dal 1979, avrebbero esercitato Edi Riva e, dopo
la morte di questo, i controricorrenti, in forza
9

esclusivo del bene in forza di un possesso

dell’esecuzione

che

era

stata

data

all’accordo

divisionale invalido) non coincidente con quello
inizialmente dedotto in giudizio dagli stessi Lina e

risalire al 1966 e che sarebbe stato esercitato
inizialmente dal loro padre Tersilio).
La censura non è fondata.
I diritti reali sono da qualificare come diritti
autodeterminati, essendo individuati in base alla sola
indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene
che ne costituisce l’oggetto (per tutte: Cass. 8
gennaio 2015, n. 40; Cass. 24 novembre 2010, n. 23851;
Cass. 24 maggio 2010, n. 12607). La deduzione del
titolo, con riferimento a tali diritti, non assolve
alla funzione di specificazione della domanda (o
dell’eccezione), ma è necessaria ai soli fini della
prova. Da ciò discende che il giudice possa accogliere
il petitum in base ad un fatto costitutivo del diritto
diverso da quello dedotto, senza violare per ciò il
principio della domanda (Cass. 14 novembre 2010, n.
23851; Cass. 20 novembre 2007, n. 24141; Cass. 20
luglio 2005, n. 15248; Cass. 7 luglio 1999, n. 7078).
Ben si intende, allora, come a fronte di una
domanda di usucapione, la prova di elementi atti a dar
ragione di un possesso ultraventennale che si sia
lo

Riccardo Riva (possesso che – si ripete – si assumeva

attuato con modalità parzialmente differenti rispetto a
quelle inizialmente dedotte non impedisca al giudice di
accogliere la pretesa azionata, ove ne sussistano le

autodeterminati, il titolo rileva ai soli fini
probatori – tanto che si giustifica l’accertamento del
diritto in forza di un modo di acquisto diverso da
quello dedotto in giudizio – deve pure affermarsi che
raccoglimento della domanda non trovi ostacolo nella
rilevata parziale diversità, nell’ambito dello stesso
modo di acquisto del diritto (l’usucapione), dei
singoli fatti che connotino questo.
La seconda censura contenuta nel primo motivo è
parimenti da disattendere.
Essa, come vizio di motivazione ex art. 360, n. 5,
non potrebbe che fondarsi su una erronea argomentazione
concernente i profili in tatto della controversia:
infatti, il vizio di motivazione di cui all’art. 360,
n. 5 c.p.c. può concernere esclusivamente
l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai
fini della decisione della controversia, non anche
l’interpretazione e l’applicazione delle norme
giuridiche (per tutte: Cass. S.U. 25 novembre 2008, n.
28054; Cass. 24 ottobre 2007, n. 22348).
Sul punto, i ricorrenti si sono limitati a una
11

condizioni. Se, infatti, con riguardo ai diritti

generica contestazione delle condizioni atte a fondare
il convincimento dei giudici di merito circa l’acquisto
del possesso esclusivo da parte di Lina e Riccardo Riva

che altro, in censure di diritto, avendo specifico
riguardo alle condizioni che consentono di configurare
il radicarsi del possesso esclusivo in capo al singolo
comunista.
Anche a voler prescindere dalla contraddittorietà
della censura (che, quindi, argomenta l’errore di
motivazione dall’erronea applicazione delle norme che
regolamentano la fattispecie), va però osservato che
giudici di merito hanno fatto buon governo della
disciplina normativa applicabile al caso concreto,
valorizzando elementi espressivi del potere di fatto
sulla cosa (immissione nella materiale ed esclusiva
disponibilità del bene in forza dell’accordo intercorso
con altri coeredi, assolvimento dei tributi relativi al
cespite, assunzione delle spese di manutenzione dello
stesso, uso esclusivo dell’unità immobiliare): elementi
che sono senz’altro rappresentativi dell’esclusione
degli

altri

partecipanti

alla

comunione

dalla

prosecuzione del rapporto materiale con il bene e che,
a un tempo, denotano inequivocamente l’intenzione di
possedere il bene in maniera esclusiva (così come si
12

e hanno sviluppato argomentazioni che si risolvono, più

richiede nei rapporti tra comunisti; cfr. ad es.: Cass.
9 giugno 2015, n. 11903; Cass. 10 novembre 2011, n.
23539).

applicazione dell’art. 1165 c.c., nonché omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un
fatto controverso e decisivo. Deducono i ricorrenti che
l’assunto dei giudici di merito per cui l’atto
divisionale si poneva come presupposto dell’immissione
nel possesso utile ai fini dell’usucapione, risultava
incongrua, da momento che evidenziava l’incompatibilità
delle difese svolte da Lina e Riccardo Riva, che da un
lato avevano prodotto in giudizio la scrittura privata
del 1979 per paralizzare la domanda giudiziale di
divisione dei ricorrenti e, dall’altro, avevano
rivendicato l’acquisto della proprietà per intervenuta
usucapione. I giudici di merito avevano cioè non colto
l’incompatibilità esistente tra un atto che
presupponeva il riconoscimento della comproprietà in
capo agli altri aventi diritto e l’usucapione.
Il motivo non ha consistenza

e

non merita

accoglimento.
Non si comprende quale sia la norma che si assume
violata, risultando non conferente il richiamo all’art.
1165 c.c.. Né si coglie la contraddittorietà tra le due
13

Il secondo motivo lamenta violazione e falsa

domande introdotte, tenuto conto che la domanda di
usucapione era stata formulata in via subordinata
rispetto a quella diretta all’accertamento

al documento del 1979. Si osserva, in proposito, che
nello stesso giudizio possono essere proposte, in forma
alternativa o subordinata, due diverse richieste tra
loro incompatibili (Cass. 19 luglio 2010, n. 16876;
Cass. 11 agosto 1980, n. 4921).
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 1158, in relazione agli artt.
1140, 1144, 1158, 1100, 1102 e 2697 c.c., oltre che
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
I ricorrenti lamentano che avevano sempre contestato
l’immissione in possesso esclusivo del bene da parte
dei convenuti e di Riva Edi e che quindi la sentenza
non avrebbe potuto ritenere esistente una divisione
amichevole del compendio ereditario, con conseguente
assegnazione dei cespiti in attesa della formale
consacrazione dell’accordo. Pertanto, è esposto, non
risultava superata la presunzione di compossesso. La
corte milanese, attraverso i documenti acquisiti,
avrebbe dovuto trarre il logico convincimento
dell’assenza,

in capo ai controricorrenti, dell’animus
14

dell’autenticità delle sottoscrizioni apposte in calce

rem sibi habendi in relazione all’immobile oggetto di
causa.
In questo caso il motivo evidenzia, in parte, una
carenza che è speculare rispetto a quella rilevata con

lamenta (anche) la violazione di legge per contestare,
in buona sostanza, un vizio di motivazione

(sub specie

di erroneo apprezzamento delle risultanze di causa).
Avendo riguardo al vizio di cui all’art. 360, n.
5, il motivo risulta anzitutto carente di
autosufficienza, in quanto rinvia al contenuto di
documenti e di atti processuali che non sono trascritti
nel corpo del ricorso.
Non si può poi pretendere che la Corte proceda a
un riesame degli elementi vagliati nelle precorse fasi
di merito. Infatti, come è ben noto, la deduzione di un
vizio di motivazione della sentenza impugnata con
ricorso per cassazione conferisce al giudice di
legittimità non il potere di riesaminare il merito
della intera vicenda processuale sottoposta al suo
vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il
profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico – formale, delle argomentazioni svolte dal
giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva,
il compito di individuare le fonti del proprio
15

riguardo alla seconda censura del primo motivo: si

convincimento, di assumere e valutare le prove, di
controllarne l’attendibilità e la concludenza, di
scegliere, tra le complessive risultanze del processo,
quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la

liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di
prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti
dalla legge (Cass. 9 agosto 2007, n. 17477; Cass. 18
marzo 2011, n. 6288; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197;
Cass. 4 novembre 2013, n. 24679).
Né può ritenersi decisiva la circostanza, esposta
nella sentenza, per cui Della Torre Maria Grazia aveva
mancato di sottoscrivere il documento che conteneva
l’accordo divisionale, posto che i giudici di merito
hanno attribuito rilievo, sul piano argomentativo, al
fatto che l’immissione nel possesso del bene si fosse
attuata in assenza di un mandato ad amministrare da
parte degli altri eredi (con ciò evidenziando come
l’occupazione non trovasse un suo fondamento sul piano
dell’esigenza di gestire le cose comuni), e posto,
altresì, che il radicamento del possesso esclusivo è
stato affermato, nella decisione impugnata, sulla base
di un ben più ampio quadro di riscontri, secondo quanto
si è evidenziato. Va ricordato, in proposito, che per
poter configurare il vizio di motivazione su un
16

veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così,

asserito punto decisivo della controversia è necessario
un rapporto di causalità fra la circostanza che si
assume trascurata e la soluzione giuridica data alla

circostanza,

tale da far ritenere che quella
se fosse stata considerata, avrebbe

portato ad una diversa soluzione della vertenza, e ciò
in termini di certezza, non di mera probabilità (per
tutte: Cass. 14 novembre 2013, n. 25608; Cass. 24
ottobre 2013, n. 24092; Cass. 12 luglio 2007, n.

15604;

Cass. 28 giugno 2006, n. 14973; Cass. 21 aprile 2006,
n. 9368; Cass. 14 marzo 2006, n. 5473).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Segue la condanna alle spese, liquidate in
dispositivo.
P.Q.M.

La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese processuali, che liquida in C
4.200,00, di cui C 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio
della 2″ Sezione Civile, in data 23.2.2016.

controversia,

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