Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8104 del 23/03/2021

Cassazione civile sez. I, 23/03/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 23/03/2021), n.8104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25825/2015 proposto da:

I. & C. Impianti e Costruzioni s.r.l., in persona del legale

rappresentante p.t., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentata e difesa

dall’Avvocato Angelo Guanciale, per procura speciale a margine del

ricorso introduttivo;

– ricorrente –

contro

Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, in persona del

Magnifico Rettore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Monte

Zebio, 28, presso lo studio dell’Avvocato Giuseppe Bernardi, che la

rappresenta e difende per procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

nonchè

Fallimento n. (OMISSIS) di (OMISSIS) S.p.A., CABEL Soc. Consortile a

r.l., C. Costruzioni S.r.l., in liquidazione, R.T.E. Romana

Global Project S.r.l. (già R.T.E. Tecno Eclil S.r.l.)

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma, n. 4592/2015,

depositata il 27/07/2015;

lette le conclusioni della Procura Generale della Corte di

cassazione, in persona del sostituto Procuratore Generale, Dott.

Giovanni Battista Nardecchia;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/02/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma con sentenza pubblicata il 27 luglio 2015 ha rigettato le impugnazioni, riunite, proposte da Fallimento (OMISSIS) S.p.A. e da I & C. Impianti e Costruzioni S.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 16633 del 2011 che nel pronunciare sulle domande dalle prime introdotte, di risoluzione e risarcimento danni da illegittime sospensioni dell’appalto concluso con l’Università di Roma “La Sapienza” in data 29 settembre 1991 dalla (OMISSIS), in qualità di mandataria dell’Ati aggiudicataria, cui partecipava anche la I&C. Impianti e Costruzioni S.r.l. – per l’esecuzione dei lavori di realizzazione e gestione delle opere necessarie all’alimentazione di energia elettrica della Città Universitaria -, le aveva disattese.

La Corte romana ha ritenuto in via preliminare la tardività dell’eccezione di invalidità della procura alle liti, rilasciata dall’Università ad un avvocato del libero foro per il giudizio di primo grado, perchè sollevata, per la prima volta, dalla I. & C. nella comparsa conclusionale, nell’ulteriore rilievo che la nullità della sentenza di primo grado, derivante dall’eventuale difetto di procura, avrebbe dovuto tradursi in un motivo di impugnazione.

L’eccezione è stata comunque apprezzata come infondata avendo la controparte allegato nelle memorie di replica la Delibera di ratifica del CdA dell’Università adottata il 23 ottobre 2012.

Nel resto i giudici di appello nel confermare, nel merito, le statuizioni di primo grado hanno ritenuto l’intempestività e quindi l’intervenuta decadenza dalle riserve dell’appellante che aveva richiesto maggiori compensi in seguito alle sospensioni illegittime dei lavori imputate alla stazione appaltante.

Le riserve infatti non erano state iscritte, quanto meno, in sede di ripresa lavori e tanto nella assunta consapevolezza, a quella data, da parte dell’appaltatrice della potenzialità dannosa delle prime.

I giudici di appello hanno esteso l’eccezione di decadenza sollevata dall’Università anche alla terza chiamata iussu iudicis I&C. S.r.l. e tanto nella unicità del rapporto di appalto dedotto in lite e delle pretese per riserve sul primo fondate, avendo la terza fatto proprie le domande della capofila.

La Corte di merito ha altresì ritenuto concorsuali i crediti vantati dalla terza chiamata nei confronti di (OMISSIS) per il risarcimento danni da inadempimento contrattuale della mandataria e di pagamento di quanto da quest’ultima percepito dall’Università per il V Sal lavori, in ogni caso rilevando che sarebbe valsa la disciplina del pagamento al creditore apparente ex art. 1188 c.c., comma 2, con conseguente azionabilità della pretesa nei confronti della Università, creditrice.

I giudici di appello hanno poi ritenuto inammissibili i motivi sullo svincolo delle somme a garanzia e quello sul pagamento degli interessi legali, perchè incapaci di aggredire la ratio decidendi della sentenza impugnata e cioè l’inammissibilità della pretesa in quanto azionabile in sede fallimentare e, ancora, l’assorbimento delle ulteriori censure, comunque inammissibili perchè non sostenute da motivi sulla risoluzione contrattuale per gravi inadempimenti dell’Università.

2. Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza I. & C. Impianti e Costruzioni S.r.l. con cinque motivi cui resiste con controricorso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Fallimento (OMISSIS) S.p.A., Cabel Soc. Consortile a r.l., C. Costruzioni S.r.l. in liquidazione e R.T.E. Romana Global Project S.r.l. sono rimasti intimati.

La Procura Generale della Corte di Cassazione ha deposito conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

I. & C. Impianti e Costruzioni S.r.l. ha depositato memoria con cui ha replicato alle deduzioni svolte dal rappresentante della Procura Generale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione del R.D. n. 1952 del 1933, art. 56 (T.U. sull’istruzione superiore) e del R.D. n. 1611 del 1933, art. 43 (T.U. sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato) in combinato con gli artt. 75,77 e 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Non si era formato alcun giudicato interno sulla legittimatio ad processum non essendo stata l’eccezione sul punto nè rilevata nè negata dal giudice di primo grado e pertanto legittimamente la difesa della ricorrente l’aveva sollevata davanti alla Corte romana. Non era sufficiente il decreto del Rettore, quale legale rappresentante dell’ente, ad affidare lo ius postulandi ad un avvocato del libero foro in luogo dell’Avvocatura dello Stato, essendo invece necessaria un’apposita e motivata Delibera del Consiglio di amministrazione, ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, comma 4, adottata nella successiva prima adunanza in via di ratifica del decreto rettoriale.

Delibera e decreto dovevano essere tempestivamente depositate. La Corte di appello aveva dato valore ad un documento di ratifica tardivo e quindi insuscettibile di sanare il provvedimento di affidamento dell’incarico, trattandosi di Delib. intervenuta 23 ottobre 2012, a fronte di un mandato alle liti rilasciato nel 2004.

L’eccezione del difetto di ius postulandi dell’Ateneo, di contro a quanto ritenuto dalla Corte di appello, che ne aveva dichiarato l’inammissibilità per tardività, avrebbe potuto essere sollevata in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede di legittimità, essendo la legittimatio ad processum, espressiva del principio per il quale il potere rappresentativo processuale, con facoltà di nomina di difensori, può essere conferito solo a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, il tutto con il solo limite del giudicato sul punto che nella fattispecie non si era formato.

1.1. Il motivo è infondato.

1.1.1. Il sistema processuale delle nullità previsto dal codice di rito distingue tra nullità pronunciate su istanza di parte e nullità di cui la legge preveda che siano pronunciate d’ufficio stabilendo, altresì, quanto a queste ultime, che la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione (art. 161 c.p.c., comma 1), per il principio di conversione dei motivi di nullità in ragione di impugnazione, valido con il limite di non applicabilità nel caso in cui la sentenza manchi della sottoscrizione del giudice (art. 161 c.p.c., u.c.).

Perchè una nullità verificatasi nel processo civile possa continuare ad essere fatta valere nonostante l’intervenuta pronuncia di una sentenza; così restando indenne dagli esiti del sistema di impugnazione proprio del processo e di cui all’art. 161, comma 1, cit. – siano gli esiti dovuti all’intervenuta formazione del giudicato interno, perchè la questione di nullità non è stata tempestivamente dedotta dalla parte o non rilevata dal giudice che abbia omesso di pronunciare o, ancora, perchè a questione non sia più coltivabile nei gradi successivi perchè toccata da una pronunciata inammissibilità -, essa deve essere tale da rientrare nella categoria dell’inesistenza per difetto di ogni riconducibilità dell’atto alla tipologia di riferimento e conseguente sua rilevabilità in ogni tempo nel processo.

Là dove si faccia questione all’interno del processo della mancanza del potere rappresentativo sostanziale sub specie del difetto di autorizzazione in capo alla persona che abbia proposto domanda o abbia contraddetto a quella altrui costituendosi in giudizio e conferendo mandato ad un difensore, l’invalidità della procura alle liti e quindi il difetto di ius postulandi in capo al patrocinatore non è mancanza tale da integrare una nullità insanabile e rilevabile ex officio in ogni stato e grado del giudizio, insensibile, come tale, a preclusioni o decadenze.

1.1.2. L’indicata fattispecie non figura tra quelle per le quali la nullità risulti comminata dalla legge (art. 156 c.p.c., comma 1) nè è qualificata come insanabile (art. 158 c.p.c., comma 1, sui vizi relativi alla costituzione del giudice o all’intervento del pubblico ministero).

1.1.3. In tal senso depone anche il disposto di cui all’art. 182 c.p.c., comma 2 (nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46), che, secondo giurisprudenza di questa Corte, va inteso, anche alla luce della successiva novella, nel senso che il giudice è tenuto a promuovere la sanatoria del vizio, assegnando un termine alla parte che noi vi abbia già provveduto di sua iniziativa (Cass. n. 22559 del 04/11/2015; per una fattispecie in cui si distingueva tra le figure del difetto di rappresentanza e di carenza assoluta con conseguente insanabilità soltanto di quest’ultima: Cass. SU n. 10414 del 27/04/2017; ancora sulla distinzione tra inesistenza e nullità della procure e conseguente regime di insanabilità-sanabilità dell’atto nella novellata previsione dell’art. 182 c.p.c.; Cass. n. 24257 del 04/10/2018).

L’applicabilità del meccanismo della sanatoria vale a predicare il carattere non assoluto della nullità e tanto per un percorso interpretativo guidato dalla disciplina contenuta nel novellato art. 182 cit. che, dando espressamente ingresso alla sanatoria per assegnazione di un termine perentorio la cui osservanza sana con effetti ex tunc il vizio originario del difetto di rappresentanza o di assistenza o di autorizzazione, stabilisce del vizio emendato la non ascrivibilità ad una nullità assoluta.

1.1.4. I precedenti di questa Corte segnalati in ricorso a sostegno della nullità insanabile che inficerebbe la procura alle liti in quanto conferita da soggetto privo dei poteri, il Rettore della Università degli Studi di Roma “La Sapienza” non sostenuto da tempestiva Delibera del Consiglio di amministrazione da adottarsi alla prima adunanza successiva, e tanto rispetto a norme statutarie che, in difetto di specifica previsione di legge (L. n. 168 del 1989), attribuiscono i poteri di rappresentanza al Consiglio di amministrazione, è argomento sì speso da questa Corte ma in differenti contesti processuali da cui non può prescindersi per cogliere del principio l’effettiva portata.

Questa Corte ha così sostenuto l’inammissibilità del ricorso e controricorso in cassazione rispetto al quale soltanto si era posta questione sulla validità della procura o ancora, e comunque, rispetto ad un atto introduttivo del giudizio di merito in quanto però tempestivamente contestato nella sua validità nella fasi di merito (Cass. 6672 del 2011; Cass. 9451 del 2011; Cass. n. 18506 del 2012; Cass. 12978 del 2013; Cass. n. 14851 del 2013).

1.1.5. Ciò posto, e a chiusura della sequenza argomentativa illustrata, a sostegno del rilievo che di un atto processuale la “nullità rilevabile in ogni stato e grado” non significa “nullità assoluta”, destinata come tale ad essere autonomamente rilevabile dal giudice fino al giudizio di legittimità, insensibile alle regole del processo ed alle sorti di domande ed eccezioni, esito compendiato nell’affermazione del principio di conversione delle ragioni di nullità in motivi di gravame ex art. 161 c.p.c., comma 1, vale quanto in più occasioni affermato da questa Corte.

La non proponibilità nei gradi successivi della questione di ufficio è destinata a valere proprio in ragione del carattere non assoluto della nullità che, convertitasi in motivo di gravame ed assoggettata al relativo regime, ove la parte sia decaduta dal proporla per non averla tempestivamente dedotta nel corso del giudizio oppure ove l’abbia dedotta, ma la questione risulti coperta da giudicato interno per un intervenuto accertamento negativo o di inammissibilità non tempestivamente contestato, non resta ulteriormente deducibile.

Che il motivo di ricorso abbia, o meno, ad oggetto una questione rilevabile d’ufficio non ha infatti rilevo come tale perchè le questioni esaminabili di ufficio, che abbiano formato oggetto nel corso del giudizio di primo grado di una specifica domanda od eccezione, non possono più essere riproposte nei gradi successivi del giudizio, sia pure sotto il profilo della sollecitazione dell’organo giudicante ad esercitare il proprio potere di rilevazione ex officio, qualora la decisione o l’omessa decisione di tali questioni da parte del primo giudice non abbia formato oggetto di specifica (e tempestiva) impugnazione ovvero l’impugnazione proposta sia inammissibile, ostandovi un giudicato interno che il giudice dei gradi successivi deve in ogni caso rilevare (Cass. n. 19155 del 2014 in motivazione par. 4, che richiama in tal senso: Cass. n. 2388/98, n. 5493/01, n. 6754/03, n. 14755/06).

1.1.6. E’ d’obbligo quindi il richiamo al principio, puntualmente applicato dalla Corte di appello, per il quale, nella distinzione tra le categorie della nullità e dell’inesistenza degli atti processuali, riconducendosi prima l’invalidità della procura al difensore – inidonea a determinare l’inesistenza dell’atto di citazione cui afferisce, che resta capace, pertanto, di introdurre il processo e di attivare il potere-dovere del giudice di decidere -, si afferma che l’atto conclusivo del processo, ossia la sentenza, è nullo per carenza di un presupposto processuale per la valida costituzione del processo, ma non inesistente, e come tale suscettibile di passaggio in giudicato in caso di mancata, tempestiva impugnazione.

Là dove la nullità non sia stata fatta valere ritualmente in appello, essa non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità, a causa dell’intervenuta preclusione derivante dal principio di cui all’art. 161 c.p.c., secondo il quale tutti i motivi di nullità della sentenza si convertono in motivi di impugnazione (Cass. n. 4020 del 23/02/2006; Cass. n. 20348 del 28/09/2010).

1.1.7. La Corte romana ha rilevato la tardiva introduzione in appello, a mezzo di deduzione formulata solo in comparsa conclusionale, e quindi la correlata decadenza della parte rispetto alla eccezione di nullità della procura alle liti per difetto di rappresentanza sostanziale del soggetto conferente, il Rettore dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, a mezzo di apposito decreto.

La sottesa questione d’indole sostanziale per la quale è necessaria un apposita e a motivata Delibera di autorizzazione del Consiglio di amministrazione R.D. n. 1611 del 1933, ex art. 43, comma 4, ad integrazione della volontà del Rettore al fine del conferimento di valida procura alle liti (Cass. n. 6672 del 2011 e Cass. n. 9451 del 2011, ex plurimis) non è pertanto destinata a venire in considerazione, impedita, com’essa è nel suo rilievo, dalle regole del processo cui resta assoggettata.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 107 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, convenuta ed appellata, aveva eccepito rispetto alla sola (OMISSIS), poi Fallimento (OMISSIS) – mandataria dell’A.t.i. di cui taceva parte anche I & C. Impianti e Costruzioni e che si era costituita per l’esecuzione dei lavori appaltati dall’Ateneo ed aventi ad oggetto le opere necessarie per l’alimentazione della energia elettrica della Città universitaria – la tardività delle riserve e la Corte romana aveva erroneamente esteso detta eccezione anche alla I & C., terza chiamata iussu iudicis, ritenendo che, immutati petitum e causa petendi, nella variazione solo soggettiva del processo, il terzo diventi parte senza necessità di formulare domande o che domande siano formulate nei suoi confronti.

Poichè la terza chiamata aveva fatto propria la domanda del fallimento (OMISSIS) relativa alle riserve e per le quali la stazione appaltante aveva sollevato la tempestiva eccezione di decadenza non vi sarebbe stata alcuna nuova domanda ed alcuna limitazione oggettiva dell’efficacia dell’eccezione.

Il ragionamento osservato dai giudici di appello era errato perchè essendo invece la chiamata del terzo intervenuta su iniziativa del giudice e non di parte occorreva, per i principio dispositivo e della domanda, una espressa manifestazione di volontà della parte interessata per estendere l’eccezione di decadenza dalle riserve verso altri formulata, volontà che nella specie mancava non risultando dal verbale dell’udienza del 23 novembre 2006, prima utile.

Il motivo è infondato.

Come rilevato dalla Corte di appello di Roma (p. 11 sentenza) I&C. S.r.l. intervenuta in primo grado ha fatto propria la domanda proposta dal fallimento (OMISSIS), capofila, nei confronti dell’Università committente fondata sul contratto di appalto e relativa alle riserve rispetto alle quali la stazione appaltante aveva sollevato eccezione di decadenza.

L’intervento del terzo chiamato a latere actoris ex art. 107 c.p.c., ha determinato tra i suoi possibili esiti quello di ampliare i limiti soggettivi del giudizio nella invarianza di quelli oggettivi.

Il terzo, intervenuto iussu iudicis ad ampliare la platea dei creditori, non ha proposto una nuova domanda, rispetto alla quale andava sollevata una distinta eccezione di tardività delle riserve, ma ha fatto propria quella originaria del fallimento (OMISSIS) accettando anche le eccezioni consegnate in atti.

L’originaria attrice quale mandataria dell’ATI aveva proposto domanda di pagamento dei lavori appaltati anche per le altre imprese che il giudice aveva chiamato a partecipare al giudizio su eccezione della committente convenuta che aveva dedotto della prima, fallita, la non legittimità a proporre domanda per l’intero.

La domanda di pagamento dei lavori realizzati dall’impresa I&G. s.r.l. quale partecipante all’ATI, costituita per la realizzazione dei lavori appaltati dall’Ateneo, era già stata introdotta in giudizio dalla mandataria (OMISSIS) cosicchè il successivo ingresso ex art. 107 c.p.c., della terza non è valso a modificare i termini oggettivi della domanda ma solo quelli soggettivi per riferibilità della prima al nuovo soggetto, intervenuto.

Il motivo di ricorso con cui si censura la sentenza d’appello per avere esteso, con automatismo non rispondente al principio della domanda che connota il processo civile, l’eccezione di tardività delle riserve sollevata dall’Università convenuta rispetto alla pretesa dell’originaria attrice, fallimento (OMISSIS), alla omologa pretesa avanzata dal terzo chiamato è pertanto infondata, ben potendo affermarsi che l’estensione sia intervenuta per implicito o per una oggettività già consegnata in atti.

Come l’iniziale domanda è stata introdotta in giudizio cumulando in capo all’attrice le pretese facenti capo ai diversi partecipanti ATI, ciascuno avente una propria legittimazione all’azione, nel medesimo perimetro e state sollevata l’eccezione di tardività delle riserve apposte in contabilità dalla Università committente.

Il successivo ingresso in giudizio del terzo titolare di una delle quote già rivendicate dall’attrice, mandataria ATI, si è tradotto nella mera adesione all’altrui domanda già appartenente al processo con accettazione del processo nello stato in cui si trovava ed in cui convergeva, anche, l’eccezione di tardività delle riserve frapposta da parte convenuta.

3. Con il terzo motivo la ricorrente fa valere la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 210 e 116 c.p.c., R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 38 e 54 e del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 26, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte di appello aveva rigettato il motivo con il quale la I&C aveva denunciato che il primo giudice aveva ritenuto fondata l’eccezione di decadenza dal diritto di richiedere i maggiori oneri non dando rilievo al mancato deposito del registro di contabilità da parte dell’Università nonostante l’ordine ex art. 210 c.p.c., dell’istruttore.

Siffatta condotta avrebbe dovuto infatti essere valutata quale argomento di prova ex art. 113 c.p.c., ritenendo le riserve tempestive con rigetto della relativa eccezione.

Non sussisterebbe l’onere dell’appaltatore di iscrivere le riserve nel caso in cui la contabilità sia tenuta in modo informe e non ricostruibile.

Il motivo è infondato.

3.1. La Corte di merito ha motivato sulla irrilevanza della questione relativa alla mancata integrale produzione del registro di contabilità in adempimento dell’onere di esibizione in ragione della specificità degli adempimenti di forma cui è tenuta l’impresa nel rivendicare maggiori pretese derivanti da illegittime sospensioni.

L’onere di tempestiva iscrizione nei registri di contabilità o in altri appositi documenti contabili da parte dell’appaltatore di un’opera pubblica che voglia contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuata dall’amministrazione e/o avanzare, pretese destinate ad incidere su compenso complessivo, non è subordinato alla disponibilità da parte dell’imprenditore del registro di contabilità o dall’invito da parte del committente a sottoscriverlo, ma alla effettiva insorgenza dei fatti ritenuti per lo stesso lesivi con la conseguenza che non cessa neppure nell’ipotesi di indisponibilità, seppure momentanea, del registro di contabilità.

In siffatta ipotesi, l’imprenditore dovrà iscrivere la riserva in documenti contabili equivalenti, come il verbale di sospensione o ripresa dei lavori, ovvero quelli contenenti gli stati di avanzamento, o ordini di servizio, o anche mediante tempestiva comunicazione all’Amministrazione con apposito atto scritto, salvo poi riversarla non appena possibile nel registro di contabilità (Cass. 09/02/2016 n. 2537, pp. 6 e 7; Cass. 4502/1998; 19499/2010; 8242/2012).

Secondo ferma giurisprudenza di legittimità, attraverso l’indicata soluzione interpretativa si contempera da una parte l’esigenza di non accollare all’impresa appaltatrice un onere inesigibile imponendole la forma inderogabile dell’annotazione dell’esplicitazione della riserva sul registro di contabilità di cui non ha la materiale disponibilità e dall’altra quella della forma scritta ad substantiam e della certezza della data.

Si tratta infatti di una disciplina in cui resta tutelata l’esigenza che l’Amministrazione committente conosca, tempestivamente e costantemente, tutti i fattori che possono aggravare il costo dell’opera sì da poter svolgere prontamente ogni necessaria verifica e valutare in ogni momento, l’opportunità del mantenimento ovvero del recesso da rapporto di appalto, in relazione ai fini di interesse pubblico (Cass. 21/07/2004 n. 13500; Cass. 17/07/2014 n. 16367; Cass. 17/03/2020 n. 7396, p. 19).

Il mancato adempimento all’onere di esibizione della contabilità ex art. 210 c.p.c., da parte della stazione appaltante non vale ad onerare quest’ultima della prova della tardività delle riserve in applicazione del principio richiamato di cui dà correttamente conto la Corte di merito.

La deduzione di una contabilità informe o non ricostruibile tale da esonerare l’appaltatore dalla formulazione di tempestiva riserva di maggiori compensi è solo, e ancora, uno strumento per affermare l’esistenza di un onere della committenza di comprovare la tardività della riserva dell’appaltatore, principio non presente nel sistema ed anzi inverso a quello affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte, come correttamente valorizzato dai giudici di appello, secondo cui è l’appaltatore a dover comprovare la tempestività della riserva per un onere calibrato sull’evidenza fattuale della percezione del danno da parte dell’appaltatore.

Nè l’impresa risulta aver dedotto in atti, allegandone la tempestività, di aver formulato riserva nel corso del rapporto non più comprovabile in ragione della scorretta tenuta della contabilità da parte stazione appaltante e degli organi a tanto delegati.

3.2. Nel resto, la censura e ancora infondata nella parte in cui contesta la sentenza con riferimento alla pretesa tardività o dello specifico rilievo dell’eccezione da parte dell’Università.

La Corte di appello ha ritenuto l’infondatezza della deduzione evidenziando, nei contenuti della comparsa di costituzione, la volontà dell’Università con l’eccepito difetto di tempestività e della mancanza dei requisiti di forma delle riserve, di avvalersi dell’effetto estintivo proprio della decadenza. Il motivo è anche inammissibile perchè attinge direttamente il merito dell’interpretazione della Corte territoriale offrendone una contrapposta lettura senza evidenziare le norme violate.

Il motivo là dove fa valere la tempestività della quarta riserva è inammissibile per difetto di autosufficienza non dando conto della tardività della eccezione di intempestività dell’Università e per sua novità rispetto alle deduzioni svolte in appello.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del R.D. n. 267 del 1942, artt. 52, 78 e 92, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte di appello aveva ritenuto infondata la domanda avanzata verso il Fallimento (OMISSIS) S.p.A. di restituzione delle somme in esecuzione del V Sal relative ai lavori eseguiti esclusivamente dalla ricorrente e versati invece dall’Università in favore della Curatela del fallimento, e tanto nel rilievo che, se pure il fallimento aveva fatto venir meno la legittimazione della capofila ad effettuare incassi in nome e per conto delle altre associate, tuttavia la domanda si fondava sull’obbligo della (OMISSIS) di restituzione alla I.&G. le somme riscosse dalla stazione appaltante.

Il titolo azionato era anteriore (per i momenti dell’appalto, mandato ed esecuzione delle opere) alla dichiarazione di fallimento e come tale rendeva il credito concorsuale.

La ragione era erronea urtando con il principio per il quale (Cass. n. 421 del 2000) il fallimento della capogruppo costituita mandataria determina lo scioglimento del rapporto di mandato L. Fall., ex art. 78 e l’impresa mandante è legittimata a riscuotere il corrispettivo per l’esecuzione dell’appalto, per la quota dei lavori di sua spettanza in base all’accordo di associazione temporanea di impresa.

I motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

4.1. Il motivo è inammissibile perchè non si confronta compiutamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata che la censura mira a contrastare facendo valere un principio di diritto la cui effettiva portata, peraltro, più compiutamene dovrebbe trarsi più che dalla massima della richiamata, in ricorso, Cass. n. 421 del 2000 dalla sua motivazione in cui è invece certo il richiamo all’appalto, alla sua conclusione, all’esecuzione dei lavori ed alla loro accettazione quali momenti in cui individuare la fonte del credito e la conseguente sua natura concorsuale – da cui la Corte territoriale si è distaccata fondatamente e motivatamente, con conseguente infondatezza, anche, della critica proposta.

I giudici di appello ritengono che nel fallimento della mandataria, capogruppo dell’ATI, e nel conseguente scioglimento dell’associazione e del venir meno dei poteri rappresentativi della prima, là dove la committenza abbia comunque corrisposto alla mandataria le somme che le sarebbero spettate in rappresentanza della mandante, quest’ultima non possa agire davanti al tribunale ordinario, ma debba far valere il credito in sede concorsuale, in tal senso rilevando l’anteriorità del credito – da ricondursi, per l’appunto, alla sequenza: conclusione del contratto di appalto; conferimento del mandato ed esecuzione delle opere – rispetto alla dichiarazione di fallimento.

4.2. La vicenda evidenziata dall’appellante come successiva al fallimento e fonte della pretesa nei confronti della (OMISSIS), nel suo atteggiarsi, non e capace di escludere del credito la natura concorsuale in quanto successiva al fallimento.

L’indebita percezione delle somme da parte della curatela non legittimata, individuata dalla i&C. S.r.l. quale ragione del proprio credito, resta infatti evidenza non rilevante nelle corrette conclusioni della Corte di appello perchè non è idonea a dar conto di un credito verso il fallimento della (OMISSIS), maturato dopo la decozione, quanto, e piuttosto, di un distinto credito verso l’Università committente che dopo aver pagato al soggetto legittimato non viene liberata ed è tenuta alla restituzione ex art. 1182 c.p.c., comma 2 e come tale può essere convenuta in giudizio dalla mandante.

Si tratta di motivazione che resta non contrastata nel ricorso che reiterando il principio integrativo del motivo di appello non si confronta con siffatte articolate ragioni di rigetto, risultando così inconcludente.

5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1188,1218,1282,1284,1453,2697 c.c. e R.D. n. 267 del 1942, art. 78 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

I&G. S.r.l. censura la parte della sentenza di appello che ha respinto la domanda di corresponsione degli interessi (fatture nn. (OMISSIS)) e di restituzione delle ritenute a garanzia (fattura n. (OMISSIS)) e, ancora, lo riconvenzionale di pagamento dei materiali a piè d’opera (fattura n. (OMISSIS)).

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza perchè porta, in contrastante cumulo, nei differenti loro presupposti applicativi – che in modo divergente vogliono l’uno la certa ricostruzione del fatto per poi sussumerlo nella fattispecie di legge violata e l’altra la diversa errata definizione del primo nel giudizio di merito – censure di violazione di legge e di vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e comunque perchè è di diretta ed alternativa ricostruzione del fatto per un sindacato proprio del giudice del merito.

5.1. Quanto alla domanda sugli interessi legali e lo svincolo delle ritenute in garanzia, la Corte di appello ne ha ritenuto l’inammissibilità per avere l’appellante dedotto che la stessa era stata rigettata dal primo giudice per una diversa ratio e cioè che “doveva essere indirizzata alla curatela fallimentare” e, tanto là dove il Tribunale aveva invece ritenuto il difetto di riscontri documentali.

In sede di ricorso per cassazione la I.&G. avrebbe dovuto dimostrare di aver portato in appello la diversa censura allegando i contenuti della comparse di costituzione in primo grado, evidenza in difetto della quale il motivo è sul punto inammissibile.

5.2. In ordine alla domanda riconvenzionale di pagamento dei materiali a pie d’opera contabilizzati al 50% dalla Università il motivo è ancora inammissibile perchè vuole far valere quale fatto omesso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto in realtà è una valutazione condotta dal giudice del merito sul fatto nella cui ricostruzione rientra anche la contabilizzazione al 50% da parte dell’Ateneo, evidenza che nel ragionamento svolto dalla Corte di merito entra a comporre un quadro valutativo in cui l’acquisto della proprietà dei materiali consegue alla realizzazione dell’opera appaltata.

6. Conclusivamente il ricorso è infondato e come tale va rigettato.

Spese secondo soccombenza, liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la I. & C. Impianti e Costruzioni S.r.l. a rifondere all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” le spese di lite che liquida in Euro 6.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificata pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2021

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