Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8102 del 02/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 02/04/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 02/04/2010), n.8102

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15542/2006 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO Roberto, che lo rappresenta e

difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO Luigi, che la rappresenta e difende,

giusta delega a margine dei ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2454/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/05/2005 R.G.N. 4767/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/03/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per l’accoglimento parziale.

 

Fatto

IN FATTO E DIRITTO

Rilevato che la Corte d’appello di Roma ha respinto l’impugnazione avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta dal lavoratore in epigrafe nei confronti di Poste Italiane s.p.a., avente ad oggetto la declaratoria dell’illegittimità del termine apposto ad una serie di contratti di lavoro stipulati fra il ricorrente e la società convenuta;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il lavoratore, affidato a cinque motivi, illustrati da memoria; Poste Italiane s.p.a. ha resistito con controricorso;

viene censurata la statuizione con la quale la Corte di merito ha ritenuto la legittimità dei contratti intercorsi fra le parti e cioè quelli, stipulati, a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane) ad avviso della Corte territoriale, premesso che il citato accordo integrativo non prevedeva alcun termine di efficacia, se non quello connesso alla vigenza dell’accordo stesso, collegata al completamento dei processi di ristrutturazione ivi menzionati, i c.d. accordi attuativi costituivano un mero riconoscimento bilaterale, per il periodo preso in considerazione, della sussistenza delle condizioni oggettive legittimanti il ricorso ai contratti a termine;

conseguentemente, per la Corte territoriale, anche al di fuori dei periodi considerati dai suddetti accordi attuativi il ricorso alle assunzioni a termine doveva ritenersi del tutto legittimo, a condizione del perdurare della sussistenza delle condizioni oggettive previste dall’accordo 25 settembre 1997, e cioè della permanenza del processo di ristrutturazione, condizione quest’ultima riconosciuta sussistente al momento della stipulazione del contratto a termine de quo;

la suddetta impostazione è stata ampiamente censurata dal ricorrente il quale contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla stessa definiti come attuativi; contesta in particolare l’affermazione secondo cui questi ultimi accordi avevano natura meramente ricognitiva;

la censura è fondata nei limiti di seguito indicati;

questa Corte Suprema (cfr., ad esempio, Cass. n. 18272 del 2006), decidendo su una fattispecie sostanzialmente simile a quella in esame (contratto a termine stipulato ai dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 dopo la data del 30 aprile 1998) ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la legittimità del termine apposto a tale contratto;

deve premettersi, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997;

partendo da questo principio la citata giurisprudenza, dopo aver ribadito la legittimità della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzata, in particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate quelle decisioni dei giudice di merito nella parte in cui hanno affermato la natura meramente ricognitiva dei c.d. accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di quella secondo cui .. per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30/4/98 (cfr.

accordo del 16 gennaio 1998); ciò, fra l’altro, in violazione del principio secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453);

la stessa giurisprudenza ha ritenuto, inoltre, la sussistenza, nelle suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997, implica la conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866);

la giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378) ha, per contro, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito che hanno deciso in senso opposto a quello della sentenza oggetto del presente giudizio, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione deve comunque ritenersi conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141);

il sopra citato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sorrette da argomenti che non siano già stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravita da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti;

deve osservarsi in proposito, con riferimento alle decisioni di questa Corte Suprema prima citate nella parte in cui esse si riferiscono all’interpretazione di norme collettive di diritto comune, che le stesse hanno comunque valenza di precedenti, ancorchè non in senso tecnico atteso che, da un lato, lo stesso controllo di logicità del giudizio trova, in parte qua, le proprie coordinate nelle disposizioni di legge in tema di ermeneutica contrattuale le quali, suscettibili di lettura diretta da parte del giudice della nomofilachia, costituiscono obbligato punto di riferimento nella ricerca e nell’identificazione dei punti decisivi per la ricostruzione dell’effettiva volontà delle parti stipulanti;

dall’altro, le clausole delle fonti collettive, per la loro naturale riferibilità ad una serie indeterminata di destinatari e per il loro carattere sostanzialmente normativo, non sono assimilabili completamente a quelle di un normale contratto o accordo, sicchè, neanche rispetto ad esse è trascurabile il fine di assicurare ai potenziali interessati, per quanto possibile e per quanto non influenzato dalle insopprimibili peculiarità di ciascuna fattispecie, quella reale parità di trattamento che si fonda sulla stabilità degli orientamenti giurisprudenziali, specialmente sollecitata quando, come nella specie, assuma icastica evidenza l’identità dei percorsi logici seguiti nelle decisioni progressivamente portate all’esame del giudice di legittimità e dei contesti difensivi nei quali tali decisioni risultano calate (Cass. 29 luglio 2005 n. 15969);

per le ragioni sin qui esposte, la censura relativa alla legittimità del termine apposto al contratto stipulato per il periodo 27 ottobre 1998 – 30 gennaio 1999 deve essere in definitiva accolta, mentre, per analoghe ragioni deve essere respinta quella afferente il contratto stipulato per il periodo dal 17 febbraio 1998 al 30 aprile 1998 e prorogato al 30 maggio 1998 – avendo questa Corte ritenuto legittima la proroga per 30 giorni, di cui all’accordo del 27 aprile 1998, dei contratti in scadenza il 30.4.1998 (V. per tutte Cass. 9 settembre 2008 n. 22911) – dovendosi considerare assorbiti gli ulteriori argomenti sviluppati nei motivi di ricorso;

con il ricorso il ricorrente censura la sentenza impugnata, anche, nella parte in cui ha ritenuto la legittimità del contratto a termine stipulato per il periodo dal 22 giugno 1998 al 30 settembre 1998 ai sensi dell’art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre) la censura è infondata;

questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su una fattispecie sostanzialmente simile a quella in esame ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva;

la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie; tale statuizione del giudice di merito si pone in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588) già in precedenza ricordato;

per quanto concerne il vizio di interpretazione della normativa collettiva è stato osservato che la statuizione del giudice del merito, nell’escludere che l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo potesse contemplare, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie, ha dimostrato una carenza di indagine sull’intenzione espressa dagli stipulanti; ed infatti il quadro legislativo di riferimento avrebbe imposto l’esame del significato delle espressioni usate dalle parti stipulanti, ed in particolare un’indagine sulle ragioni dell’uso di una formula diversa da quella della legge, priva di riferimenti alla sostituzione di dipendenti assenti, sostituiti dalla precisazione del periodo per il quale l’autorizzazione è concessa (pur potendo le ferie essere fruite in periodi diversi), onde verificare se la necessità di espletamento del servizio facesse riferimento a circostanze oggettive, o esprimesse solo le ragioni che avevano indotto a prevedere questa ipotesi di assunzione a termine, nell’intento di considerarla sempre sussistente nel periodo stabilito, in correlazione dell’uso dell’espressione in concomitanza;

inoltre, altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678) hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie;

sotto questo profilo, tenuto conto della giurisprudenza sopra citata, da considerare come precedente, per le ragioni sopra esposte, deve essere confermata la statuizione della sentenza impugnata relativa al contratto a termine de quo in quanto conforme ai principi sopra indicati;

in definitiva il ricorso deve essere accolto parzialmente; la sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa ad altro giudice, designato in dispositivo, il quale provvederà tenendo conto dei principi sopra affermati; il giudice del rinvio provvederà altresì, ex art. 385 cod. proc. civ., sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie parzialmente il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

 

 

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