Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8101 del 29/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 29/03/2017, (ud. 13/02/2017, dep.29/03/2017),  n. 8101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 24743/12, proposto da:

Agenzia delle Entrate, elett.te domic. In Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura dello Stato che la rappres. e

difende;

– ricorrente –

contro

GIFI s.p.a., in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic. in

Roma, al Lungotevere Marzio n. 1, presso l’avv. Luca Vianello, che

la rappres. e difende unitamente all’avv. Riccardo Cajola, con

procura speciale a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 113/36/2011 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata in data 27/7/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/2/2017 dal Consigliere Dott. Rosario Caiazzo;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Palatiello;

udito il difensore della parte controricorrente, avv. L. Vianello;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.Ssa

DE RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Gifi s.p.a. impugnò, innanzi alla CTP di Brescia, un p.v. di constatazione, relativo ad un accertamento di un’illegittima utilizzazione di crediti Iva da compensare, per gli anni 2003 e 2004, con ripresa a tassazione della somma relativa.

Si costituì l’ufficio, resistendo al ricorso.

La CTP accolse il ricorso, ritenendo corretta la compensazione dei crediti Iva da parte della società ricorrente.

L’Agenzia delle entrate propose appello, rigettato dalla CTR, ritenendo legittima la contestata compensazione, in applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 34, comma 1 e del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, formulando quattro motivi.

Resiste la Gisi spa con controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso, poichè proposto oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c. e l’infondatezza del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato.

Con il primo motivo, l’Agenzia ha denunciato la nullità della sentenza della CTR per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando l’omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello avente ad oggetto la totale incomprensibilità della motivazione della sentenza di primo grado.

Con il secondo motivo, la parte ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 388 del 2000, art. 34, comma 1 e del D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3.

Con il terzo motivo è stata lamentata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia circa il motivo formulato nell’atto d’appello afferente alla non vincolatività di risoluzioni ministeriali.

Con il quarto motivo, la ricorrente ha denunciato l’omessa motivazione, e la nullità della sentenza, in ordine alla medesima questione della compensabilità dei crediti Iva.

Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità.

Al riguardo, il ricorso è stato proposto consegnando l’atto all’ufficio postale il 29.10.12; la sentenza impugnata è stata depositata il 27.7.2011.

Ora, calcolando l’anno (27.7.2012) e computando la sospensione feriale per i due anni (2011 e 2012) il termine annuale sarebbe scaduto il 27.10.12, che cadeva di sabato.

Ne consegue che, a norma dell’art. 155 c.p.c., l’ultimo giorno utile per la notificazione era proprio quello del 29.10.2012, per cui il ricorso non è tardivo. Premesso ciò, va rilevata l’inammissibilità del primo e terzo motivo.

Il primo motivo tende ad un riesame del merito, criticando, in realtà, il merito della decisione, che risulta sufficientemente chiara e comprensibile.

Il terzo motivo non coglie la ratio decidendi, in quanto la critica afferente all’applicazione delle circolari amministrative è del tutto irrilevante e non decisiva, poichè la CTR ha richiamato la circolare del 5.12.2003 solo a sostegno delle argomentazioni adottate circa l’interpretazione del combinato disposto della L. n. 388 del 2000, art. 34, comma 1 e del D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3 (come modificato dal D.P.R. n. 435 del 2002, art. 11, comma 5).

Il ricorso è invece fondato, in ordine al secondo e quarto motivo, che vanno esaminati congiuntamente/data la connessione.

Con il secondo motivo parte ricorrente ha denunciato vizio di violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 388 del 2000, art. 34, comma 1 e del D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3, nonchè degli artt. 1 e 12 preleggi.

In particolare, la parte ricorrente ha criticato la sentenza della CTR, in quanto il giudice d’appello ha ritenuto corretto il recupero da parte dell’Agenzia delle entrate del credito d’imposta trimestrale per Iva, utilizzato in compensazione dal contribuente, in quanto eccedente la soglia massima annuale compensabile, di cui all’art. 34 predetto.

Con il quarto motivo, è stata denunziata l’omessa motivazione circa un fatto decisivo relativo al rapporto tra le due suddette norme in tema di limiti alla compensabilità dei crediti Iva, e la nullità della sentenza impugnata.

Parte ricorrente assume che dall’interpretazione congiunta delle due richiamate norme si deduce che l’art. 8 citato non contempla un’eccezione alla disposizione di cui all’art. 34 suddetto, anche argomentando dal fatto che quest’ultima è entrata in vigore successivamente.

I motivi sono fondati.

Invero, del D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8 – la cui rubrica accomuna, significativamente, ” controverso e decisivo, in ordine alla medesima questione afferente ai rapporti. Rimborsi e compensazioni di eccedenze di crediti IVA” -, prevedeva al comma 3 (nel testo vigente ratione temporis) che “i contribuenti in possesso dei requisiti richiamati del citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, comma 2, per la richiesta di rimborsi d’imposta relativi a periodi inferiori all’anno possono, in alternativa, effettuare la compensazione prevista dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, per l’ammontare massimo corrispondente all’eccedenza detraibile del trimestre di riferimento”. Invece, La L. n. 388 del 2000, art. 34 (“Disposizioni in materia di compensazione e versamenti diretti”) prevedeva che “a decorrere dal 1 gennaio 2001 il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in lire 1 miliardo per ciascun anno solare”, anche qui contemplando, in un unico contesto, le due ipotesi del rimborso e della compensazione di crediti Iva.

Con apposito “Comunicato stampa” del 20 luglio 2004, intitolato “Precisazioni su compensazione dei crediti trimestrali IVA”, l’Agenzia delle Entrate – Ufficio Relazioni Esterne, ebbe ad affermare: “In relazione ad alcuni dubbi manifestati dalla stampa specializzata sulla possibilità, per i contribuenti che hanno i requisiti per richiedere il rimborso trimestrale dei crediti Iva, di utilizzare i medesimi in compensazione, senza tener conto del limite annuo di 516.456,90 Euro previsto dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 25, come modificato dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 34, comma 1, l’Agenzia delle Entrate precisa che detto limite si applica, indistintamente, a tutti i crediti relativi alle imposte annotate sul conto fiscale, mentre non esistono limiti per i rimborsi disposti dagli uffici (cfr. circolare 22 luglio 1994, n. 119, in premessa al prg. 10).

Con la risoluzione 5 dicembre 2003 n. 218/E, è stato precisato che i crediti trimestrali derivanti dalle liquidazioni periodiche Iva, non sono soggetti al limite imposto dal menzionato art. 25 solo se richiesti a rimborso e non anche nell’ipotesi in cui siano utilizzati in compensazione.

I rimborsi infrannuali, infatti, sono disposti direttamente dagli uffici competenti e non dal concessionario della riscossione”.

In effetti, con la risoluzione n. 218/E del 5 dicembre 2003, l’Agenzia delle Entrate aveva sostenuto, tra l’altro, che “le disposizioni contenute nel menzionato art. 17 prevedono che i contribuenti possono compensare i crediti di imposte e contributi con i relativi debiti, a decorrere dal giorno successivo a quello in cui si è chiuso il periodo in cui si è formato il credito ed entro un determinato limite annuo. In particolare, per effetto delle disposizioni contenute nella L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 34, comma 1 (che ha modificato il limite previsto dal D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 25), a decorrere dal 1 gennaio 2001 il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in lire 1 miliardo (516.456,90 Euro) per ciascun anno solare”, aggiungendo però – e così ingenerando il dubbio interpretativo qui in discussione, poi chiarito con il comunicato stampa del 2004 – che “non concorrono alla determinazione di questo limite i crediti d’imposta derivanti da agevolazioni o incentivi fiscali, per i quali esiste una copertura di legge, i crediti trimestrali derivanti dalle liquidazioni periodiche Iva, i crediti compensati con debiti della stessa imposta sebbene compensati nel modello F24”.

Il collegio ritiene di condividere l’interpretazione contenuta nei suddetti atti dell’Amministrazione finanziaria circa il limite annuo alla compensabilità dei crediti trimestrali Iva, conferendo continuità all’orientamento già emerso nella giurisprudenza della Corte (Cass., 30.9.2016, n. 4616).

Al riguardo, occorre richiamare la precedente sentenza della Corte secondo cui deve ritenersi che la previsione legislativa abbia inteso introdurre, per ciascun anno d’imposta, un limite invalicabile alla possibilità del contribuente di porre in compensazione crediti fiscali e debito IVA proprio al fine di garantire allo Stato un certo reddito che non potesse elidersi, per ciascun contribuente, oltre la soglia di Lire 500.000.000.

Non può, d’altra parte sottacersi che la compensazione di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 25, u.c., opera tanto in modo verticale tra imposte omologhe – e dunque operante nel contesto di ogni singolo tributo (IRPEF, IRES, IRAP, ecc.) in modo da potere recuperare crediti sorti in periodi d’imposta precedenti e non chiesti a rimborso, con debiti della stessa imposta, quanto orizzontalmente tra imposte diverse e/o contributi previdenziali (Cass. pen. 42462/10; Cass. civ. 31.1.2014, n. 2215).

Da ciò si può desumere anche che il riferimento all’anno d’imposta di cui del predetto D.Lgs. n. 241, art. 25, comma 2, non possa che coincidere con l’anno solare, come ha peraltro precisato in modo più dettagliato la novella successiva a tale disposizione, contenuta nella L. n. 388 del 2000, art. 34, comma 1, invocata dall’Agenzia ricorrente.

Diversamente opinando, il limite di 500 milioni, fissato per non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale, potrebbe essere agevolmente eluso, proprio in relazione all’ampio ambito di operatività della compensazione di cui si è detto sopra.

D’altra parte, la lettura interpretativa in esame appare congruente rispetto alla complessiva lettura dell’art. 25, u.c., il quale testualmente prevede, al comma 4, che “I contribuenti titolari di partita IVA non ammessi alla compensazione o, seppure ammessi, per la parte che non trova capienza nella compensazione, pur nel rispetto del limite di cui al comma 2, possono ricorrere alla procedura di rimborso prevista dal titolo II del regolamento concernente l’istituzione del conto fiscale, adottato con D.M. Finanze 28 dicembre 1993, n. 567”. Disposizione, quest’ultima che appare in linea con l’intero impianto dell’art. 25, orientato a circoscrivere in maniera precisa ed invariabile il limite massimo entro il quale può essere fruito il peculiare meccanismo della compensazione.

Tale orientamento ha trovato recente conferma anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 16 marzo 2017, n. c- 211/16, che, in ordine ai suddetti art. 34, comma 1 e art. 17, ha statuito che l’art. 183, comma 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita la compensazione di taluni debiti tributari con crediti d’imposta sul valore aggiunto a un importo massimo determinato, per ogni periodo d’imposta, a condizione che l’ordinamento giuridico nazionale preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito d’imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevole.

Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR per un riesame dei fatti, nonchè per le spese.

PQM

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2017

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