Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8100 del 02/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 02/04/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 02/04/2010), n.8100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10566/2006 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV

38, presso lo studio dell’avvocato CARUSO ANTONIO, rappresentata e

difesa dagli avvocati SIRACUSA Sonja, SIRACUSA ANTONIO, giusta delega

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., N.E., R.P., P.

M., O.N.;

– intimati –

e sul ricorso 10989/2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.S., N.E., R.P., P.

M., O.N.;

– intimati –

sul ricorso 15850/2006 proposto da:

N.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO, che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega a margine

del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 197/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 04/04/2005 R.G.N. 29/04 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/03/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato MICHELE VINCENZO per delega ANTONINO SIRACUSA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per l’inammissibilità per i

conciliati, rigetto nel resto.

 

Fatto

IN FATTO E DIRITTO

La Corte rilevato che:

il giudice d’appello di Milano, in riforma della sentenze di prime cure, ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati fra i lavoratori elencati in epigrafe da una parte, e Poste Italiane s.p.a. dall’altra, accertando di conseguenza un rapporto di lavoro a tempo determinato a far tempo dall’11/7/98 per R., dall’1/6/2001 per N., dall’1/6/2001 per O., dal 17/6/98 sino all’8/11/2000 per P. e per M. dal 22/6/01 al 10/3/2003;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la M. affidato a due censure; Poste Italiane s.p.a. si è costituita e, resistendo, ha impugnato in via incidentale la sentenza della Corte di Appello di Milano sulla base di cinque motivi; il N. ha resistito con controricorso ed ha avanzato ricorso incidentale condizionato articolando un’unica doglianza;gli altri lavoratori non hanno svolto attività difensiva;

le parti costituite hanno depositato memoria illustrativa;

successivamente Poste Italiane s.p.a. ha depositato verbale di conciliazione in sede sindacale, sottoscritto dai lavoratori R. P. e O.N.;

i ricorsi vanno preliminarmente riuniti riguardano l’impugnazione della stessa sentenza;

dal verbale di conciliazione sopra indicato risulta che dette parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale;

ad avviso del Collegio il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278);

in definitiva il ricorso incidentale delle Poste proposto nei confronti dei lavoratori R.P. e O.N. deve essere dichiarato inammissibile per cessazione della materia del contendere;

avuto riguardo alla materia trattata stimasi compensare integralmente tra le suddette parti le spese del giudizio di cassazione; la M. ha censurato la sentenza di appello deducendo: con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione per non aver tenuto conto, i giudici di appello, che agli atti vi è lettera d’impugnativa del licenziamento intimato in data 10/3/2000 per superamento del periodo di comporto, con conseguente erroneità di detta sentenza in punto di ritenuta mancata impugnazione del recesso nel termine di sessanta giorni;con la seconda censura, allegando violazione dell’art. 112 c.p.c., e vizio di ultrapetizione, ha sostenuto che i giudici di appello non potevano pronunciarsi sulla cessazione del rapporto di lavoro esulando la questione della decadenza dall’impugnativa del licenziamento dal tema decidendum;

Poste Italiane s.p.a. ha dedotto con il ricorso incidentale l’errata interpretazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 nonchè dell’art. 8 ccnl 1994 e dell’art. 25 ccnl 2001;

N. ha denunciato con l’unico motivo del ricorso incidentale la violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, ed il vizio di motivazione per non aver tenuto conto la Corte territoriale della nullità del termine apposto al contratto stipulato contenendo questo una doppia motivazione;

è pregiudiziale l’esame del ricorso incidentale delle Poste Italiane s.p.a.;

il motivo relativo alla questione della risoluzione del rapporto per mutuo consenso è infondato; questa Corte ha avuto modo di precisare che nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva considerato la mera inerzia del lavoratore, per un periodo di oltre tre anni dopo la scadenza, insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso) (V. per tutte Cass. 10 novembre 2008 n. 26935); analogamente nella presente fattispecie la Corte del merito ha ritenuto, con motivazione congrua, che la mera inerzia del lavoratore è di per sè insufficiente per configurare una risoluzione del rapporto per mutuo consenso; la censura relativa all’erronea interpretazione dell’art. 25 ccnl 2001 e dell’art. 8 ccnl 1994 è fondata;

deve premettersi, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001;

questa Corte (cfr., ad esempio, Cass. 20 aprile 2004 n. 9245) decidendo su una fattispecie analoga a quella in esame (contratto a termine stipulato ai sensi dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997) ha affermato che, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, i sindacati, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti;

nel caso di specie, l’art. 25, secondo comma, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001, che riguarda le posizioni di N. e M., prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi;

la sentenza impugnata, premesso di voler superare ogni perplessità in ordine alla legittimità di tale disposizione nonostante la ritenuta genericità della stessa, ne ha dato un’interpretazione in base alla quale tale disposizione non conterrebbe l’autorizzazione ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche dì collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali; inoltre la citata disposizione contrattuale implicherebbe comunque l’onere del datore di lavoro di provare la riconducibilità causale delle singole assunzioni a termine all’ipotesi contrattualmente prevista; siffatta interpretazione è affetta dai denunciati vizi di violazione dell’art. 1362 cod. civ., e segg., e di motivazione: in primo luogo, la formulazione letterale della disposizione contrattuale non contiene elementi idonei ad esprimere il riscontrato significato riduttivo, nè la sentenza del resto, ha compiuto alcun tentativo per individuarli; è, peraltro, decisivo il rilievo che, come si desume agevolmente dal complesso delle considerazioni svolte in motivazione, il presupposto interpretativo, pur non esplicitato, è che soltanto così intesa la clausola collettiva sarebbe conforme a legge (art. 1367 cod. civ.); convincono di ciò i riferimenti alla necessaria temporaneità dell’autorizzazione; all’impossibilità di ritenere vulnerato il rapporto tra regola (contratto a tempo indeterminato) ed eccezione (durata determinata); il riferimento alla L. n. 230 del 1962, art. 3; la sentenza, quindi, si muove pur sempre nell’erronea prospettiva che il legislatore non avrebbe conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962;

l’interpretazione dell’accordo è stata, perciò, condizionata dal pregiudizio che le parti stipulanti non avrebbero potuto esprimersi considerando le specificità di un settore produttivo (quale deve considerarsi il servizio postale, nella situazione attuale di affidamento ad un unico soggetto) e autorizzando Poste Italiane s.p.a. a ricorrere (nei limiti della percentuale fissata) allo strumento del contratto a termine, senza altre limitazioni, con giustificazione presunta del lavoro temporaneo; questo “pregiudizio”, erroneo alla stregua del principio di diritto sopra enunciato spiega la mancanza di una motivazione idonea a giustificare realmente l’interpretazione secondo cui raccordo sindacale avrebbe autorizzato la stipulazione dei contratti di lavoro a termine solo nella sussistenza concreta di un collegamento tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze di carattere straordinario richiamate per giustificare l’autorizzazione, con riferimento alla specificità di uffici e di mansioni;

quanto poi alla tesi secondo cui l’accordo del 18 gennaio 2001 non può essere considerato come espletamento della procedura di confronto sindacale prevista dallo stesso art. 25 del contratto collettivo – a norma del quale, infatti, prima di dare corso alle conseguenti assunzioni, la materia formerà oggetto di confronto: a) a livello nazionale, qualora risultino interessate più regioni …- sussistono anche in questo caso i denunciati vizi di violazione dell’art. 1362 cod. civ., e segg., e di motivazione; premesso infatti che nel testo del suddetto accordo si legge che le OO.SS. …

convengono ancora che i citati processi, tuttora in corso, saranno fronteggiati in futuro anche con il ricorso a contratti a tempo determinato, stipulati nel rispetto della nuova disciplina pattizia delineata dal c.c.n.l. 11.1.2001, deve osservarsi che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti;

soccorre ancora una volta il principio già precedentemente enunciato secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune quando il significato letterale delle espressioni usate risulti univoco è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti; deve pertanto ritenersi integrata, sulla base di tale accordo, la condizione prevista dal citato art. 25;

quanto alla censura afferente il contratto a termine stipulato ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-11 settembre, che riguarda la posizione di P., questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo, su una fattispecie sostanzialmente simile a quella in esame, ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva;

la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie; tale statuizione del giudice di merito si pone in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588) secondo cui la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge;

per quanto concerne il vizio di interpretazione della normativa collettiva è stato osservato che la statuizione del giudice del merito, nell’escludere che l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo potesse contemplare, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie, ha dimostrato una carenza di indagine sull’intenzione espressa dagli stipulanti; ed infatti il quadro legislativo di riferimento avrebbe imposto l’esame del significato delle espressioni usate dalle parti stipulanti, ed in particolare un’indagine sulle ragioni dell’uso di una formula diversa da quella della legge, priva di riferimenti alla sostituzione di dipendenti assenti, sostituiti dalla precisazione del periodo per il quale l’autorizzazione è concessa (pur potendo le ferie essere fruite in periodi diversi) , onde verificare se la necessità di espletamento del servizio facesse riferimento a circostanze oggettive, o esprimesse solo le ragioni che avevano indotto a prevedere questa ipotesi di assunzione a termine, nell’intento di considerarla sempre sussistente nel periodo stabilito, in correlazione dell’uso dell’espressione in concomitanza;

inoltre, altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678) hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie; il sopra citato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sorrette da argomenti che non siano già stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravità da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti;

deve osservarsi in proposito, con riferimento alle decisioni di questa Corte prima citate nella parte in cui esse si riferiscono all’interpretazione di norme collettive di diritto comune, che le stesse hanno comunque valenza di precedenti, ancorchè non in senso tecnico (Cass. 29 luglio 2005 n. 15969) atteso che, da un lato, lo stesso controllo di logicità del giudizio trova, in parte qua, le proprie coordinate nelle disposizioni di legge in tema di ermeneutica contrattuale le quali, suscettibili di lettura diretta da parte del giudice della nomofilachia, costituiscono obbligato punto di riferimento nella ricerca e nell’identificazione dei punti decisivi per la ricostruzione dell’effettiva volontà delle parti stipulanti;

dall’altro, le clausole delle fonti collettive, per la loro naturale riferibilità ad una serie indeterminata di destinatari e per il loro carattere sostanzialmente normativo, non sono assimilabili completamente a quelle di un normale contratto o accordo, sicchè, neanche rispetto ad esse è trascurabile il fine di assicurare ai potenziali interessati, per quanto possibile e per quanto non influenzato dalle insopprimibili peculiarità di ciascuna fattispecie, quella reale parità di trattamento che si fonda sulla stabilità degli orientamenti giurisprudenziali, specialmente sollecitata quando, come nella specie, assuma icastica evidenza l’identità dei percorsi logici seguiti nelle decisioni progressivamente portate all’esame del giudice di legittimità e dei contesti difensivi nei quali tali decisioni risultano calate;

la sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, rimanendo le altre censure svolte dalla società Poste Italiane assorbite dalle considerazioni che precedono;

il ricorso principale della M. rimane assorbito;

quello incidentale del N. va rigettato in quanto detto lavoratore, pur deducendo di aver allegato che il contratto a termine da lui stipulato conteneva una “doppia motivazione”, non specifica, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, in quale atto del giudizio di merito è contenuta siffatta allegazione ed i termini in cui la stessa è stata dedotta (Cfr. per tutte Cass. 30 maggio 2000, n. 7194);

Alla cassazione della sentenza, consegue, il rinvio della causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione che si atterrà ai principi sopra enunciati.

PQM

La Corte riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso incidentale delle Poste proposto nei confronti di R.P. e O.N. compensando le relative spese del giudizio di legittimità. Accoglie parzialmente il ricorso incidentale della società Poste Italiane proposto nei confronti delle altre parti, dichiara assorbito il ricorso principale della M., rigetta il ricorso incidentale di N.; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

 

 

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