Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8099 del 29/03/2017
Cassazione civile, sez. trib., 29/03/2017, (ud. 21/03/2017, dep.29/03/2017), n. 8099
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29007/2012 R.G. proposto da:
UNIVALSO s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
U.L., rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce
al ricorso, dagli avv.ti Roberta Maggi e Giuseppe Rinaldi, con
domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Chiara Caroli, sito in
Roma, alla via Costantino Corvisieri, n. 54;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso
la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Puglia, sezione staccata di Taranto, n. 240/29/11, depositata in
data 31 dicembre 2011;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2017
dal Cons. Lucio Luciotti.
Fatto
PREMESSO
– che la società ricorrente ricorre, sulla base di un motivo, cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso, per la cassazione della sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia n. 240 del 31 dicembre 2011, laddove accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTP di Taranto che aveva annullato l’avviso di accertamento ai fini IVA, IRPEF ed IRAP, con cui l’amministrazione finanziaria aveva recuperato il credito di imposta per incremento occupazionale, ex L. n. 388 del 2000, art. 7, utilizzato dalla predetta società, sostenendo che dalle risultanze della verifica effettuata dai funzionari dell’Agenzia delle entrate sulla base delle dichiarazioni rese dai precedenti datori di lavori dei neo-assunti dalla società ricorrente, da preferirsi alle certificazioni del centro per l’impiego, invece valorizzate dal giudice di primo grado, risultava che quei soggetti aver prestato attività lavorativa nell’arco dei ventiquattro mesi precedenti all’assunzione da parte della società ricorrente.
Diritto
CONSIDERATO
– che con l’unico motivo proposto, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 5, in combinato disposto dalla L. n. 56 del 1987, art. 10 e dalla L. n. 407 del 1990, sostenendo che, diversamente da quanto ritenuto dalla CTR e, prima ancora, dall’amministrazione finanziaria, “lo svolgimento di un’attività lavorativa di brevissimo periodo e non eccedente il reddito minimo personale escluso da imposizione” non “costituisce causa idonea a provocare la perdita dello status di disoccupazione ed a revocare le agevolazioni fiscali previste dalla L. n. 388 del 2000, art. 7” (così nel quesito che, ancorchè non necessario a seguito dell’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c., la parte ha comunque formulato a conclusione del motivo di ricorso);
– che il motivo è inammissibile in quanto la ricorrente deduce circostanze, ai quali attribuisce rilievo decisivo ai fini della corretta applicazione delle disposizioni censurate – quali la brevissima durata (cinque giorni l’uno e quarantadue l’altro) del periodo di lavoro prestato nell’arco dei precedenti ventiquattro mesi dai neo-lavoratori assunti ed il mancato superamento da parte dei predetti lavoratori del reddito minimo personale escluso dall’imposizione – che non sono stati utilizzati dai giudici di appello per la decisione, limitandosi la sentenza a dare atto, ai fini dell’accoglimento dell’appello proposto dall’ufficio finanziario, della mancanza del requisito dello status di disoccupati dei lavoratori assunti dalla società contribuente protrattosi per ventiquattro mesi antecedenti all’assunzione;
– che, pertanto, la ricorrente fa valere questioni diverse da quelle esaminate dalla CTR ed il corrispondente motivo di ricorso è, quindi, inammissibile per novità delle questioni dedotte e per contraddizione con il principio di autosufficienza, essendo onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione di quelle questioni innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 17831 del 2016, n. 23766 e n. 1435 del 2013, n. 17253 del 2009);
– che la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, nella misura liquidata il dispositivo.
PQM
dichiara inammissibile il motivo di ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2017