Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8097 del 29/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 29/03/2017, (ud. 21/03/2017, dep.29/03/2017),  n. 8097

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23777/2012 R.G. proposto da

VISUAL s.r.l., in liquidazione, in persona del liquidatore

V.R., rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del

ricorso, dall’avv. Maurizio Curini, con domicilio eletto presso lo

studio dell’avv. Paolo Panariti, sito in Roma, alla via Celimontana,

n. 38;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 37/22/12, depositata in data 12 aprile 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2017

dal Cons. Lucio Luciotti.

Fatto

PREMESSO

– che la Visual s.r.l. ricorre, sulla base di tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso, per la cassazione della sentenza della commissione tributaria regionale del Veneto n. 37 del 12 aprile 2012, di rigetto dell’appello proposto avverso la sentenza della CTP di Treviso che aveva a sua volta rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di accertamento con cui l’amministrazione finanziaria, sulla scorta delle risultanze del processo verbale di constatazione redatto a seguito di accesso breve presso la discoteca gestita dalla predetta società, da cui era emerso l’impiego da parte della stessa di quattordici lavoratori non iscritti nel libro matricola, rettificava la dichiarazione reddituale relativa all’anno di imposta 2005 rideterminando le imposte dovute ai fini IVA, IRES ed IRAP sui maggiori ricavi accertati.

Diritto

CONSIDERATO

– che con il primo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata laddove conferma le tesi dell’ufficio finanziario sulla presunzione di inizio dell’attività lavorativa dei dipendenti irregolari al 1 gennaio 2005 e sulla conseguente rideterminazione dei ricavi conseguiti, sostenendo, da un lato, che la CTR non aveva motivato sulla preferenza accordata alla presunzione di inizio del rapporto di lavoro dei dipendenti irregolari al 1° gennaio 2005 rispetto alle dichiarazioni rese dagli stessi lavoratori ed alle risultanze del verbale redatto dagli ispettori dell’INPS che, sulla base delle predette dichiarazioni, aveva fatto decorrere la data di assunzione al 26 agosto 2005, con ciò negando anche la valenza di atto pubblico – e quindi di piena prova fino a querela di falso – attribuibile al predetto verbale INPS, e, dall’altro, che erano illogiche e contraddittorie le conseguenze in ordine alla ricostruzione dei maggiori ricavi che i giudici di appello avevano fatto discendere da tale presunzione, posto che l’aumento del 71% dei ricavi conseguiti rispetto al medesimo giorno della settimana precedente stava a confermare la tesi della più recente assunzione dei lavoratori e la documentazione prodotta, non adeguatamente valutata, stava a dimostrare la conformità dei risultati dell’accertamento al trend dei corrispettivi conseguiti nei medesimi periodi dell’anno precedente e di quello successivo e la congruità dei ricavi rispetto allo studio di settore applicabile;

– che, pur volendo tralasciare ogni considerazione in ordine all’impropria mescolanza di censure, avendo la ricorrente dedotto nel contempo il vizio di motivazione sotto i tre diversi profili contemplati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. n. 5130/16; 398/15; 54/15; 8350/12), il motivo è comunque inammissibile in quanto, nel contestare la correttezza degli approdi ai quali è pervenuto il giudice di merito in ordine all’accertamento della fondatezza delle pretese dell’amministrazione finanziaria, lamentando una non adeguata valutazione degli elementi probatori offerti al giudicante, invece idonei, a suo dire, a contrastare la pretesa fiscale, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che definisce quale onere della parte ricorrente, quello di indicare lo specifico atto del giudizio precedente cui si riferisce onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione – la ricorrente trascura di riprodurre nel ricorso il contenuto di tutti i documenti cui ha fatto riferimento (quali: l’avviso di accertamento, il verbale INPS, i documenti attestanti il trend dei ricavi conseguiti negli anni 2004 e 2006, il test dello studio di settore), a dire della medesima, idonei a contrastare la pretesa tributaria e a rivelare l’inadeguatezza del ragionamento decisorio (Cass. n. 19306 del 2014; n. 17915 del 2010, n. 15952 del 2007);

– che il motivo è inammissibile anche perchè postula la rinnovazione di un accertamento di fatto che compete esclusivamente al giudice di merito e che non pertiene ai compiti di questa Corte (Cass. n. 5130 del 2016); mette conto rilevare, infatti, che i difetti di omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, comunque sollevati da parte ricorrente, sono configurabili soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese e alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (vedi, ex plurimis, Cass. S.U. 25 ottobre 2013 n. 24148);

– che, invero, con riferimento al caso di specie deve affermarsi che l’eccepito difetto di motivazione, concernendo accertamenti in fatto svolti dalla Commissione di appello, che risulta sorretto da un solido e compiuto impianto motivazionale, appare del tutto inidoneo a scalfire la coerenza della pronuncia impugnata; infatti, escludendo idonea capacità dimostrativa alle dichiarazioni rese dai lavoratori irregolari sulla data di assunzione degli stessi, non estendendosi la fede privilegiata attribuibile al verbale redatto dal pubblico ufficiale INPS alla verità sostanziale di tali dichiarazioni (Cass. n. 166 del 2014; n. 6565/07; n. 9919/06; n. 11946/05), logiche e congruenti devono ritenersi le conseguenze che la CTR ne ha tratto sul piano dell’accertamento fiscale;

– che infondato è il secondo motivo, con cui la ricorrente lamenta che l’accertamento di presunti maggiori ricavi deriverebbe dall’applicazione di una doppia presunzione, in quanto derivante dalla presunzione di assunzione dei lavoratori irregolari dal 1° gennaio dell’anno di imposta in verifica, sarebbe inammissibile perchè in violazione degli artt. 2727 e 27129 c.c.;

– che, invero, anche a voler prescindere dal rilievo che il divieto di doppia presunzione “non è previsto dall’ordinamento” (Cass. 5402 del 2017, che richiama Cass. n. 1289, n. 9348, n. 17166, n. 18915 del 2015 e n. 19598 del 2014), in quanto “detto principio (…) non è riconducibile nè all’evocato art. 2727 c.c. nè a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato più volte sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più adeguate presunzioni può legittimamente costituire la premessa per una inferenza presuntiva idonea – in quanto, a sua volta adeguata a fondare l’accertamento del fatto ignoto” (in termini, Cass. n. 18915/15 cit.), l’esistenza di maggiori ricavi può essere accertato, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, non ostandovi il divieto della doppia presunzione, il quale attiene al più “alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale” (Cass. n. 1023 del 2008, n. 10517 del 2010, n. 245 del 2014, n. 6534 del 2017);

– che il terzo motivo di ricorso, con cui la società ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata per avere i giudici di appello omesso di esternare il procedimento logico che li avrebbe indotto a ritenere fondato l’accertamento di maggiori ricavi, oltre ad incorrere nella già rilevata inammissibilità per la mescolanza di censure rivolte al ragionamento decisorio, è del tutto infondato avendo ben spiegato la CTR, con il richiamo al principio affermato da questa Corte nella sentenza n. 951 del 2009, e più volte ribadito – avendo, quindi, mantenuto piena validità -, che, una volta che l’ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati, è assistito da presunzione di legittimità che spetta al contribuente superare;

– che nel caso di specie, non solo ciò non è avvenuto, ma è la stessa ricorrente a dare atto nel motivo di ricorso dei diversi fattori utilizzati dall’amministrazione finanziaria per rideterminare i maggiori ricavi, quali i maggiori costi del personale, il tipo e gli orari delle prestazioni da questi resi, l’incremento dei corrispettivi, omettendo però, in violazione del già richiamato principio di autosufficienza, di trascrivere il contenuto dell’avviso di accertamento;

– che, conclusivamente, i motivi vanno rigettati e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, infondati gli altri, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2017

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