Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8096 del 29/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 29/03/2017, (ud. 21/03/2017, dep.29/03/2017),  n. 8096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23388/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

SEAL’S SYSTEM s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, G.V., rappresentata e difesa, giusta procura

speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Massimo Iolita, con

domicilio eletto in Roma, alla piazza della Croce Rossa, n. 2/C,

presso l’avv. Riccardo Troiano – Studio Orrick, Herrington &

Sutcliff;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 101/36/2011, depositata in data 11 luglio 2011;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2017

dal Cons. Lucio Luciotti.

Fatto

PREMESSO”

– che l’Agenzia delle entrate ricorre, sulla base di due motivi, cui replica l’intimata con controricorso, per la cassazione della sentenza della commissione tributaria regionale della Lombardia n. 101 del 13 giugno 2011 laddove accoglie la tesi della Seal’s System s.r.l. riguardo all’annullamento dell’atto di recupero del credito di imposta che l’amministrazione finanziaria riteneva indebitamente utilizzato dalla società contribuente nell’anno di imposta 2003 in violazione del disposto di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 34 sostenendo che tale disposizione fissa in Euro 516.456,90 il plafond massimo di credito compensabile nell’anno, ma “non pone limite alla compensazione trimestrale” e che pertanto era legittimo il comportamento della società contribuente che nel caso di specie aveva utilizzato in compensazione trimestrale un credito IVA di Euro 580.014,59;

Diritto

CONSIDERATO

che è fondato e merita di essere accolto il primo motivo, con cui l’Agenzia ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 34 e D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3, per avere la CTR ritenuto che “la normativa non pone limite alla compensazione trimestrale”;

che al riguardo pare opportuno riportare il contenuto delle disposizioni di riferimento;

che il D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8 dettato in materia di “Rimborsi e compensazioni di eccedenze di crediti IVA”, al comma 3, prima parte, nella versione vigente ratione temporis (e quindi con la sostituzione apportata dall’art. 11 del d.P.R. n. 435 del 2001), disponeva (e tuttora dispone, con qualche lieve modifica apportata dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 215, lett. a)) che “I contribuenti in possesso dei requisiti indicati dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38 bis, comma 2 per la richiesta di rimborsi di imposta relativi a periodi inferiori all’anno, possono, in alternativa, effettuare la compensazione prevista dall’articolo 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, per l’ammontare massimo corrispondente all’eccedenza detraibile del trimestre di riferimento, presentando all’ufficio competente, entro l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre di riferimento, una dichiarazione contenente i dati richiesti per l’istanza di cui al comma 2”;

che il D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 25, dopo avere previsto quali crediti sono soggetti a compensazione, ha sancito al comma 2 che “il limite massimo dei crediti d’imposta e dei contributi che possono essere compensati, è, fino all’anno 2000, fissato in Lire 500 milioni per ciascun periodo d’imposta”;

– che a regolare la materia per i periodi successivi all’anno 2000 e quindi con riferimento alla controversia qui esaminata, relativa a compensazione risalente all’anno di imposta 2003 -, è intervenuta la L. n. 388 del 2000 che all’art. 34, comma 1, ha sancito che “a decorrere dal 1 gennaio 2001 il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17 ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in Lire 1 miliardo per ciascun anno solare”;

che la fissazione di tale limite ha trovato avallo da parte della Corte di giustizia UE che, pronunciando a seguito di domanda pregiudiziale avanzata dalla CTP di Torino, con la sentenza 16 marzo 2017, in causa C-211/16, Bimotor, ha affermato che “l’art. 183, comma 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita la compensazione di taluni debiti tributari con crediti d’imposta sul valore aggiunto a un importo massimo determinato, per ogni periodo d’imposta, a condizione che l’ordinamento giuridico nazionale preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito d’imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevole”;

che, se da un lato è evidente che la limitazione quantitativa alla compensabilità dei crediti di imposta risponda alla ragionevole preoccupazione del Legislatore di “non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale” (così in Cass. n. 2215 del 2014), dall’altro è ugualmente evidente che il prospettato fine programmatico non sarebbe più perseguibile e gli indicati limiti sarebbero agevolmente elusi laddove si ammettesse, seguendo un’opzione ermeneutica che non trova ragionevole fondamento nel dato testuale delle disposizione in esame, che tali limiti possano essere superati (rectius, disattesi) con le compensazioni operate in sede di liquidazione periodica dell’imposta;

che deve, quindi, darsi continuità alla tesi già sostenuta da questa Corte, ancorchè con riferimento al D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 25 secondo cui “l’intero impianto” di tale disposizione – ma è lo stesso a dirsi di quello di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 34 – è “orientato a circoscrivere in maniera precisa ed invariabile il limite massimo entro il quale può essere fruito del peculiare meccanismo della compensazione”, nell’arco di “ciascun anno solare”, non superabile con le compensazioni operate con le liquidazioni periodiche;

che, sulla base di tali considerazioni, il motivo va accolto, con conseguente assorbimento del secondo mezzo di impugnazione, con cui viene dedotto vizio motivazionale della sentenza impugnata, la quale, non essendosi conformata ai principi sopra espressi, merita di essere cassata e, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con rigetto dell’originario ricorso della società contribuente che, in applicazione del principio della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, mentre le spese dei giudizi di merito vanno compensate tra le parti in ragione dell’evoluzione giurisprudenziale registratasi in materia.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della società contribuente, che condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito, compensando tra le parti le spese processuali dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2017

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