Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8096 del 08/04/2011

Cassazione civile sez. II, 08/04/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 08/04/2011), n.8096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

DITTA “SPAZIO CUCINA” di Vitale Salvatore (P. IVA (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avv. TANDOI Andrea in virtù di procura speciale a margine del

ricorso ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Marco

Straccia, in Roma, via Cola di Rienzo, n. 190;

– ricorrente –

contro

B.G.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza del Giudice di pace di Termoli n.

250 del 2006, depositata il 17 giugno 2006 e notificata il 4 agosto

2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3

marzo 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

constatata l’assenza del difensore della ricorrente, malgrado la

ritualità della comunicazione dell’avviso;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha così concluso: “nulla oppone”.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il consigliere designato ha depositato, in data 10 gennaio 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza n. 250/2006, depositata il 17 giugno 2006, comunicata il 4-6 luglio 2006 e notificata il 4 agosto 2006, il giudice di pace di Termoli, decidendo sulla domanda proposta dalla Ditta “Spazio Cucina” di Vitale Salvatore nei confronti di B.F. relativa al pagamento dell’importo contenuto complessivamente in Euro 1.100,00 quale corrispettivo della fornitura di un armadio, dichiarava la continenza tra la causa conseguente alla formulazione della suddetta domanda ed altra domanda pendente dinanzi al Tribunale di Termoli avente lo stesso oggetto e pendente tra le medesime parti, disponendo la conseguente riassunzione del giudizio dinanzi all’indicato Tribunale e compensando le spese processuali.

Avverso la menzionata sentenza del giudice di pace di Termoli ha proposto ricorso (notificato il 7 settembre 2006 e depositato il 30 settembre successivo) dinanzi a questa Corte (oltretutto denominandolo impropriamente “ricorso in appello”) la Ditta “Spazio Cucina” di Vitale Salvatore, articolato in due motivi.

Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa pronuncia sulla domanda e decisione non fondata su prova, oltre che la violazione o erronea applicazione di norme di diritto, sul presupposto che il predetto giudice di pace non avesse considerato – ai fini della valutazione di continenza – la domanda così come proposta da essa attrice.

A sostegno di tale motivo ha formulato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: “accerti e dica la S.C., nell’ipotesi innanzi descritta, se il giudice di pace ha dato giustificazione al diniego delle richieste, anche di carattere istruttorio, avanzate dall’attore e, ancora, se la sentenza impugnata riporta un logico e ragionevole convincimento”.

Con il secondo motivo la ricorrente ha prospettato la falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c., commi 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, oltre che la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.

A fondamento di questo secondo motivo, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., risulta prospettato il seguente quesito: “accerti e dica la S.C., se per il caso innanzi descritto vi è stata erronea applicazione dell’art. 39 c.p.c., comma 2, non avendo il giudice di pace ravvisato i necessari presupposti richiesti dalla legge perchè si possa avere continenza di una causa con altra pendente dinanzi ad altro giudice; se la motivazione data è logica e coerente e, infine, se tra un decreto ingiuntivo ed una causa ordinaria può ravviarsi la prevenzione che è data, come richiesto dall’art. 39, comma 3, dalla notifica dell’atto di citazione”.

L’intimato non si è costituito in questa fase.

Rileva, innanzitutto, il relatore che, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 10488/2006, ord., e Cass. n. 8854/2007), pur essendo inammissibile il regolamento di competenza avverso decisioni del giudice di pace (in cause di valore inferiore ad Euro 1.100,00) che incidano sul solo regime della competenza (come quelle in tema di continenza), nei confronti delle stesse può rilevarsi l’ammissibilità del ricorso ordinario per cassazione negli stessi termini per lo stesso previsti, con decorrenza del termine breve, anzichè dalla data di notificazione del provvedimento medesimo, da quello della sua comunicazione, qualora esso sia stato adottato fuori udienza (che risulta rispettato, nel caso di specie).

Ritiene, tuttavia, il relatore che sembrano sussistere, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento ad entrambi i motivi proposti nelle forme del procedimento camerale, per manifesta inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata il 17 giugno 2006) e, con specifico riferimento al primo motivo, anche per altra causale.

Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., tra le più recenti, Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), non può dirsi che la ricorrente si sia attenuta alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poichè:

– con riferimento al primo motivo implicante la deduzione di un vizio di omessa pronuncia, il quesito formulato (come precedentemente riportato) si prospetta assolutamente generico e sganciato dalla specificità delle richieste effettivamente formulate (non risultando sufficiente ed idoneo, allo scopo, il richiamo allo svolgimento del motivo di riferimento);

– con riguardo al secondo motivo, riferito ad un supposto vizio motivazionale, manca del tutto la chiara indicazione, in apposito quadro di sintesi conclusiva, del fatto controverso in relazione al quale si è assunto che la motivazione fosse insufficiente e anche la prospettazione delle ragioni, in termini adeguatamente specifici, per le quali la supposta insufficienza motivazionale fosse inidonea a supportare la decisione (essendosi, essenzialmente, limitata la ricorrente al dedurre, in forma assolutamente generica, l’erroneità della valutazione dei presupposti per ravvisare la dichiarata continenza).

Peraltro, con il primo motivo, la ricorrente, pur richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 3, sembrerebbe aver dedotto (come già detto) un vizio di omessa pronuncia, per il quale, per costante giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 12952/2007 e Cass. n. 26598/2009), è prospettabile, in via esclusiva, la sola doglianza riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, conseguendo, pertanto, anche sotto tale profilo, l’inammissibilità del motivo in questione.

Peraltro, se lo si voglia qualificare come motivo integrante la deduzione di un vizio di motivazione (relativo alla mancata statuizione di accoglimento di istanze istruttorie), manca, in ogni caso, la precisa indicazione dei fatti controversi in relazione ai quali la motivazione si assume carente, nè sono indicati i profili di rilevanza di tali fatti, essendosi il ricorrente limitato ad enunciare la necessaria esaustività della motivazione quale premessa maggiore del sillogismo che avrebbe dovuto portare alla soluzione del problema giuridico, senza indicare la premessa minore (cioè i fatti rilevanti su cui vi sarebbe stata omissione e la decisività oltre che la pertinenza delle richieste probatorie non valutate, anche in ossequio al principio della necessaria autosufficienza del ricorso) e svolgere il successivo momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la fondatezza della singola censura.

In definitiva, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c. (nella versione ante L. n. 69 del 2009), potendosi ravvisare l’inammissibilità in toto del ricorso”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra (alla quale non sono stati mossi rilievi critici), rilevandosi quale causa assorbente dell’inammissibilità del ricorso (con riferimento ad entrambi i motivi dedotti) l’inidoneo assolvimento del requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c.;

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza che si debba far luogo ad alcuna statuizione sulle spese del presente giudizio in difetto della costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2011

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