Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8095 del 07/04/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 8095 Anno 2014
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: PICARONI ELISA

SENTENZA
sul ricorso 9178-2008 proposto da:
BRANCHINI SERAFINO BRNSFN19R2OH886U,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI l, presso lo
studio

dell’avvocato

MANCA

BITTI

DANIELE,

rappresentato e difeso dall’avvocato DELITALA ANDREA
PALMERIO;
– ricorrenti –

2014
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contro

MANCHINU GIOVANNI MARIA, ARCA FRANCESCA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 309/2007 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 07/04/2014

di CAGLIARI, depositata il 04/10/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 31/01/2014 dal Consigliere Dott. ELISA
PICARONI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

l’accoglimento del primo e del terzo motivo per quanto
di ragione lett. a) e per il rigetto dei restanti
motivi del ricorso.

Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per

Ritenuto In fatto
1. – impugnata la sentenza della Corte d’appello di Cagliari, notificata il 25 marzo 2008, che, in riforma della
sentenza del Tribunale di Oristano, ha dichiarato Giovanni Ma-

della legnaia costituenti parte dell’immobile sito nel Comune
di Santu Lussurgiu, viale Azuni n. 239, nonché dell’intero
cortile retrostante il medesimo immobile, ed ha condannato Serafino Branchini al rilascio dei predetti beni.
1.1. – Nel giudizio di primo grado, Giovanni Maria Manchimi e Francesca Arca avevano chiesto l’accertamento della proprietà dei beni sopra indicati, assumendo che Serafino Branchini li occupava senza titolo.
Gli attori avevano dedotto che, con atto pubblico di donazione del 6 febbraio 1993, da Michela Arca aveva trasferito
loro la proprietà dell’immobile costituito da un casa a due
piani di tipo popolare, con annessa area pertinenziale antistante e retrostante adibita a cortile, che confinava anche
con la proprietà del convenuto. Quest’ultimo occupava una parte dell’immobile, e specificamente il box esistente al piano
terreno – nel quale depositava materiali che utilizzava nella
propria officina meccanica -, un angolo della legnaia retrostante il box e dal 1991 aveva iniziato a coltivare una striscia di terreno di proprietà degli attori.

ria Manchinu e Francesca Arca proprietari esclusivi del box e

Il convenuto Branchini si era costituito ed aveva contestato la fondatezza della domanda, chiedendo l’accertamento in
suo favore dell’avvenuto acquisto per usucapione della proprietà dei beni oggetto di rivendica, per aver esercitato il

box, sia sulla striscia di terreno di 450 metri quadrati nella
parte retrostante l’immobile degli attori, mentre sulla legnaia aveva esercitato un compossesso con Michela Arca, dante
causa degli predetti.
1.2. – All’esito dell’istruttoria, il Tribunale di Oristano aveva rigettato la domanda degli attori e accolto la riconvenzionale, ritenendo che fosse stata raggiunta la prova del
possesso ultraventennale esercitato da Branchini sui beni in
contestazione, ciò che, del resto, era confermato dalla circostanza che l’atto di donazione del 6 febbraio 1993 non conteneva alcun riferimento al box e alla legnaia posti al piano
terra dell’immobile, che dunque non avevano costituito oggetto
del trasferimento di proprietà da Michela Arca agli attori.
2. – Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello i sigg.ri Manchinu-Arca; il sig. Branchini si costituiva e
chiedeva la conferma della sentenza impugnata.
2.1. – La Corte d’appello accoglieva il gravame, osservando che il giudice di primo grado, nell’indagare il contenuto
della donazione, era andato oltre le allegazioni del convenuto
Branchini, il quale non aveva contestato che i beni oggetto di

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possesso pacifico ed ininterrotto da oltre venti anni sia sul

rivendica fossero stati trasferiti dalla dante causa Michela
Arca agli attori, ma si era limitato a dedurre di averne acquistato la proprietà per usucapione.
La scelta difensiva del convenuto rendeva dunque irrile-

aveva riguardato incontrovertibilmente tutti i vani costituenti l’abitazione e il terreno retrostante.
Diversamente, doveva ritenersi che l’onere probatorio a
carico degli attori che agivano in rivendica non fosse attenuato per effetto della domanda di usucapione proposta dal
convenuto, poiché il dies a quo per il computo del periodo utile al perfezionamento della dedotta usucapione era antecedente alla data di acquisto della proprietà da parte degli attori. Costoro, infatti, avevano allegato di aver acquistato la
proprietà per atto di donazione del 1993, mentre il convenuto
Branchini assumeva di aver usucapito i beni oggetto di rivendica in epoca antecedente all’introduzione del giudizio, e
quindi al 1996. Era dunque necessario, secondo la Corte
d’appello, che gli attori fornissero la prova dell’esistenza
del titolo di proprietà in capo alla loro dante causa, risalendo ad un acquisto a titolo originario ovvero dimostrando
che Michela Arca aveva posseduto per il tempo utile ad usucapire la proprietà.
2.2. – Sul piano delle risultanze probatorie, la Corte
d’appello evidenziava che le testimonianze riguardanti

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vante la verifica del contenuto dell’atto di donazione, che

l’utilizzo del box, della legnaia e del terreno da parte del
convenuto Branchini erano generiche e, in alcuni casi, davano
atto dell’esistenza di un contratto di affitto tra Branchini e
Michela Arca, dante causa degli attori, mentre era dimostrato

zione e il terreno retrostante sin dal 1950.
In conclusione, secondo la Corte d’appello, al momento
della donazione in favore degli attori (1993), Michela Arca
era sicuramente proprietaria dei beni oggetto di rivendica per
intervenuta usucapione.
3. – Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso Serafino Branchini, sulla base di tre motivi. I
sigg.ri Manchinu-Arca sono rimasti intimati.
Considerato in diritto
l. – Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione
degli artt. 948 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Si assume l’erroneità della sentenza d’appello nella parte
in cui ha rilevato che il giudice di primo grado era andato
oltre le allegazioni del convenuto, affermando che i beni oggetto di contesa non erano compresi nella donazione del 6 febbraio 1993, tra Michela Arca e gli attori, e ciò in quanto il
convenuto aveva dedotto di aver usucapito i predetti beni,

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che la predetta Michela Arca aveva posseduto l’intera abita-

senza contestare che gli stessi fossero oggetto della donazione.
Secondo il ricorrente, infatti, l’accertamento della corrispondenza tra i beni rivendicati dagli attori e quelli ad

nere gravava sugli attori, trattandosi di elemento costitutivo
della domanda.
In ossequio al disposto dell’art. 366-bis cod. proc. civ.,
applicabile

ratione temporis,

il ricorrente ha formulato il

seguente quesito di diritto: «se, in tema di rivendicazione,
la prima e fondamentale indagine che il giudice del merito deve compiere concerna l’esistenza, la validità e la rilevanza
del titolo dedotto dall’attore a fondamento della pretesa, e
ciò prescindendo da qualsiasi eccezione del convenuto, giacché, investendo essa uno degli elementi costitutivi della domanda, la relativa prova deve essere fornita dall’attore e
l’eventuale insussistenza deve essere rilevata dal giudice anche d’ufficio. Per quanto, in particolare, attiene alla rilevanza del titolo, dica anche se sia essenziale l’indagine sulla identità del bene domandato dall’attore con quello descritto nel titolo stesso, ed essa debba essere verificata dal giudice anche d’ufficio, senza che il convenuto sia tenuto a formulare specifiche eccezioni ed onerarsi della dimostrazione di
un proprio titolo d’acquisto prevalente».

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essi pervenuti per donazione era necessario, e il relativo o-

1.2. – La doglianza è inammissibile per carenza di interesse.
La Corte d’appello, in accoglimento di uno specifico motivo di gravame, ha affermato che la donazione «incontroverti-

stituenti la casa ed il terreno retrostante», e ciò ha fatto
in applicazione del principio di non contestazione, che vale a
stabilire quali fatti necessitano di prova e quali invece, non
essendo contestati, sono fuori dal thema probanclum.
Deducendo, sin dal giudizio di primo grado, di avere usucapito i beni oggetto di rivendica in epoca antecedente
all’introduzione del giudizio (1996), il sig. Branchini aveva
contestato l’efficacia, nei suoi confronti, del trasferimento
della proprietà degli stessi beni da Michela Arca ai sigg.ri
Manchinu-Arca, senza mettere in discussione il contenuto
dell’atto di donazione, risalente al 1993.
Il motivo di ricorso investe, invece, l’applicazione dei
principi in tema di onere della prova nell’azione di rivendica, con la conseguenza che, se anche fosse fondato, non potrebbe giovare al ricorrente, perché non potrebbe travolgere
l’affermazione del giudice d’appello, secondo cui l’atto di
donazione comprendeva anche i beni oggetto di rivendica, che
si fonda, come già detto, sul diverso principio della non contestazione.

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bilmente […] ha riguardato tutti ed indistintamente i vani co-

2. – Con il secondo motivo è dedotta la violazione degli
artt. 116 cod. proc. civ. e 2697, 2727, 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché il vizio di motivazione.

della presunzione – enucleata dal giudice di primo grado sulla
base dell’esame dell’atto pubblico di donazione e della planimetria – secondo cui, al momento della donazione, Michela Arca
non aveva più la disponibilità dei beni oggetto di contestazione, con conseguente mancata trasmissione del possesso ai
donatari.
Secondo il ricorrente, si trattava di presunzione grave
precisa e concordante con le risultanze della prova testimoniale, sicché la Corte d’appello non avrebbe potuto ritenere
provati i fatti esclusi in via presuntiva dal giudice di primo
grado.
Il ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto:
«se le presunzioni prescindano dalle allegazioni delle parti e
concorrano con altri elementi di prova a formare il libero
convincimento del giudice e se la mancata contestazione da
parte del convenuto consenta al giudice di omettere la verifica del titolo di proprietà per stabilire se sia stato trasferito all’attore in rivendicazione il diritto di proprietà ed
il possesso dei beni rivendicati».
2.1. – La doglianza è infondata.

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Si contesta che la Corte d’appello non abbia tenuto conto

Come già rilevato a proposito del primo motivo di ricorso,
la questione riguardante l’oggetto dell’atto di donazione è
stata risolta dalla Corte d’appello sulla base del principio
di non contestazione, ritenendo cioè che la stessa fosse etheme probandum.

In questa prospettiva, non vi era

necessità di prendere in esame, per eventualmente confutarli,
gli elementi probatori che avevano portato il giudice di primo
grado ad escludere che Michela Arca avesse trasferito agli attori i beni oggetto di rivendica.
3. – Con il terzo motivo è dedotto vizio di motivazione su
fatto decisivo e controverso, individuato nella circostanza
che nell’atto di donazione in data 9 febbraio 1993 non erano
indicati l’area cortilizia e i locali accessori all’immobile,
sicché la donante Michela Arca non aveva trasferito anche il
possesso di detti beni ai donatari.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia
neppure esaminato tale circostanza, che risultava invece decisiva, «in quanto il mancato trasferimento del possesso in capo
ai donatari, unitamente alle risultanze controverse della prova testimoniale, avrebbe consentito ai giudici di ritenere che
la donante, all’epoca dell’atto, non avesse più la disponibilità delle aree oggetto della causa in quanto le stesse erano
possedute pacificamente, uti dominus, da Branchini Serafino».
3.1. – La doglianza è priva di fondamento.

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sclusa dal

3.1.1. – Come già detto, la Corte d’appello ha correttamente rilevato che il convenuto Branchini non aveva contestato
l’idoneità dell’atto di donazione a trasferire agli attori la
proprietà degli Immobili già appartenenti a Michela Arca, e

nei suoi confronti, con la conseguenza che la domanda di rivendica non poteva essere respinta sulla base di una individuazione dell’oggetto della donazione diversa da quella che risultava pacifica perché incontestata, oltre che, si può aggiungere, logicamente incompatibile con la linea difensiva
scelta dal convenuto Branchini. Una volta da questi invocata
l’usucapione, occorreva per un verso verificare l’esercizio
del possesso, da parte del medesimo convenuto, per il tempo e
con le caratteristiche necessarie all’effetto acquisitivo, e,
per altro verso, verificare che la dante causa degli attori in
rivendica fosse titolare dei beni al momento in cui aveva donato.
Entrambe le questioni sono poi state risolte dalla Corte
d’appello, con motivazione congruente.
3.1.2. – L’ulteriore profilo di censura, con il quale il
ricorrente invoca una diversa valutazione delle prove testimoniali riguardo al possesso dei beni in contestazione, si risolve in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in
una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia

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oggetto di rivendica, bensì l’inefficacia del trasferimento

sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio
di cassazione

(ex plurimis,

Cass., sez. lavoro, sentenza n.

7394 del 2010).
PER QUESTI moTrvI

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 31 gennaio
2014.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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