Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8094 del 23/03/2021

Cassazione civile sez. I, 23/03/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 23/03/2021), n.8094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10903/2016 proposto da:

Costruzioni D. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Barnaba Tortolini n.

13, presso lo studio dell’avvocato Verino Mario Ettore, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Mansutti Maurizio,

Tonon Sebastiano, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Sezze (LT), in persona del sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Donatello n. 75, presso lo

studio dell’avvocato Costantini Alberto, che lo rappresenta e

difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 624/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/02/2021 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

nel dicembre 1993 veniva stipulata, tra il Comune di Sezze e la Costruzioni D. s.p.a., una convenzione per l’affidamento in concessione dei servizi relativi al ciclo idrico nel territorio comunale;

avvalendosi della clausola compromissoria contenuta nell’art. 20 della convenzione, il Comune di Sezze avviava, nel giugno 2005, un procedimento arbitrale per sentir condannare la società al pagamento di alcune fatture concernenti la fornitura idrica;

la società, costituendosi dinanzi agli arbitri, chiedeva a sua volta la condanna del comune al pagamento dei corrispettivi per consumi idropotabili su varie utenze di spettanza dell’ente, oltre al risarcimento dei danni per mancati adeguamenti tariffari;

con lodo depositato il 17-12-2008 il collegio arbitrale accoglieva le domande proposte hinc et inde e, operate le compensazioni, condannava il Comune di Sezze al pagamento dell’eccedenza;

il lodo veniva impugnato dal comune, dinanzi alla corte d’appello di Roma, ai sensi dell’art. 828 c.p.c.;

nella resistenza della società D., la corte accoglieva l’impugnazione e dichiarava la nullità del lodo siccome fondato su clausola compromissoria nulla, essendo inibito, in materia di concessioni di pubblici servizi anteriori alla L. n. 205 del 2000, ricorrere all’arbitrato, stante la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo della L. n. 1034 del 1971, ex art. 5; reputava nulli la clausola compromissoria e il conseguente lodo anche sotto un diverso profilo, vale a dire per il fatto di esser stato previsto un arbitrato rituale da decidere non secondo diritto ma secondo equità, in contrasto con la L. n. 205 del 2000, art. 6;

per la cassazione della sentenza, depositata il 20-1-2016, non notificata, la società D. ha proposto ricorso al quale il comune di Sezze ha replicato con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – il ricorso è affidato a tre motivi:

(i) il primo motivo assume la violazione della L. n. 1034 del 1971, art. 5 (cd. legge Tar), del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33 e della L. n. 205 del 2000, art. 6, oltre che degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 132 c.p.c., per avere la corte d’appello ritenuto la nullità della clausola compromissoria e del lodo senza alcuna distinzione in ordine all’oggetto della domanda, e anzi esplicitamente valutando come ininfluente la circostanza che la domanda avesse avuto a oggetto il pagamento di somme di denaro traenti origine da obblighi contrattuali; in tal senso la corte d’appello avrebbe errato poichè oggetto del giudizio non era mai stato l’esercizio di poteri autoritativi, e poichè peraltro era intervenuta tra le parti una pronuncia del Tar del Lazio (n. 75 del 2007) che aveva revocato il decreto ingiuntivo ottenuto dal comune di Sezze per il pagamento delle medesime fatture in contestazione, in base alla giurisdizione del giudice ordinario determinata dalla devoluzione di questioni, appunto, solo patrimoniali;

(ii) il secondo motivo assume la violazione della L. n. 205 del 2000, art. 6, art. 11 preleggi, artt. 113,114,806 e 822 c.p.c., artt. 24 e 11 Cost. e art. 132 c.p.c., in relazione alla ritenuta nullità della clausola (e del lodo) sotto il profilo della previsione di un arbitrato secondo equità, a fronte invece della inapplicabilità della L. n. 205 del 2000, in quanto norma sopravenuta alla convenzione inter partes, nonchè della circostanza che l’oggetto della controversia – come detto riguardante corrispettivi contrattuali – non poteva considerarsi compreso nell’ambito della legge citata; e in ogni caso in relazione all’erroneità del presupposto, non avendo gli arbitri deciso secondo equità, sebbene secondo diritto;

(iii) il terzo motivo assume la violazione degli artt. 2 e 111 Cost., artt. 829 e 88 c.p.c., artt. 1175 e 1375 c.c., poichè il giudizio arbitrale era stato introdotto dallo stesso comune; in questa prospettiva la ricorrente sostiene che la corte d’appello abbia errato nel ritenere la circostanza irrilevante, visto che essa palesava, invece, l’esistenza di un abuso del processo, a misura di contestazioni sollevate dall’ente solo dopo la sopravvenienza del lodo evidentemente non gradito;

II. – il primo motivo è infondato;

non possiede alcuna rilevanza la sopravvenienza costituita dalla sentenza del Tar richiamata in ricorso, dal momento che non viene in esame, nella presente sede, una questione di giurisdizione, quanto piuttosto una questione di merito, in ordine alla validità o meno della clausola compromissoria sulla base della quale il lodo è stato adottato;

da questo punto di vista la Corte può ben prescindere dalla citata sentenza, non essendone in modo alcuno vincolata;

III. – la corte d’appello di Roma, nel ritenere la nullità della clausola compromissoria, ha fatto riferimento al principio di diritto affermato da due decisioni delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 27336-08 e Cass. Sez. U. n. 21585-13), alla luce delle quali ha ritenuto ininfluente che il comune (come del resto anche la società, in riconvenzione) avesse svolto solo una domanda di pagamento di corrispettivi monetari di fonte convenzionale, non tale da investire valutazioni e accertamenti in ordine all’attività amministrativa istituzionale e discrezionale propria dell’ente concedente;

la conclusione è esatta in diritto, benchè non sia appropriato il riferimento a Cass. Sez. U. n. 21585-13;

IV. – secondo un insegnamento ripetutamente affermato con riguardo alle concessioni di servizio anteriori alla L. n. 205 del 2000, la possibilità di ricorrere all’arbitrato è in questi casi preclusa, con conseguente nullità della clausola compromissoria, dalla sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi della Legge Tarn. 1034 del 1971, art. 5, senza rilevanza della sopravvenuta facoltà riconosciuta della L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2, la quale ha sì introdotto anche per le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la facoltà di avvalersi di un arbitrato rituale di diritto per la soluzione delle controversie concernenti diritti soggettivi, ma con norma alla quale non è attribuibile, in mancanza di un’espressa previsione di efficacia retroattiva, un effetto sanante della originaria invalidità del compromesso o della clausola compromissoria stipulati durante la vigenza della legge del 1971 (v. Cass. Sez. U. n. 27336-08, dettata in fattispecie relativa al servizio di distribuzione del gas metano, nonchè Cass. Sez. U. n. 19808-08);

V. – non può invece nella presente causa, che attiene pacificamente a una mera concessione di servizio, evocarsi l’eguale principio, sempre riferito alla non compromettibilità in arbitri delle relative controversie, affermato, ratione temporis, in rapporto alle concessioni di costruzione e gestione di opere pubbliche da Cass. Sez. U. n. 21585-13, citata dalla corte territoriale;

non lo si può fare vuoi perchè, appunto, si discute qui di una concessione di servizio, e non di una concessione di costruzione e gestione di opera pubblica, vuoi perchè l’estensione a questa sfera del principio sopra richiamato è stata superata dalla giurisprudenza successiva delle medesime Sezioni unite, a proposito del presupposto discrimine della giurisdizione ordinaria (v. Cass. Sez. U. n. 11022-14), alla luce della direttiva comunitaria di codificazione del 31 marzo 2004, n. 2004/18-CE (poi recepita dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 3, comma 11), della direttiva 14 giugno 1993, n. 93/37-CEE, e dell’art. 1, lett. d), della direttiva 18 luglio 1989, n. 89/440-CEE; norme tutte che impediscono – si è detto – di invocare la violazione del principio di perpetuatio iurisdictionis per affermare la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione a controversie di tale natura che risultino instaurate anteriormente alla citata direttiva di codificazione e al suddetto D.Lgs. n. 163 del 2006; e che quindi osterebbero pure – può qui aggiungersi – a ravvisare esistente un caso di giurisdizione esclusiva impeditivo della facoltà di devoluzione in arbitrato delle liti concernenti convenzioni anteriori al 2000;

VI. – per contro quel che rileva, nel caso concreto, è che la convenzione alla quale accedeva la clausola compromissoria era una convenzione di affidamento in concessione di un semplice servizio pubblico;

la ricorrente insiste nel dire che la corte d’appello avrebbe errato poichè le questioni poste coi quesiti arbitrali afferivano in realtà a posizioni di diritto soggettivo, e quindi ben avrebbero potuto essere devolute alla cognizione del collegio arbitrale previsto dall’art. 20 della convenzione del 1993;

l’affermazione non può essere condivisa in quanto non tiene conto che quel che interessa, ai fini della individuazione della giurisdizione in questa specifica situazione e prospettiva, vale a dire ai fini della devoluzione delle relative controversie ad arbitri, è la natura del rapporto instaurato tra le parti, che è devoluto alla giurisdizione esclusiva per la compresenza – qui – di situazioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo; dacchè la conseguenza è che la previsione della devoluzione delle dette controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo (in base alla norme allora rilevanti: della L. n. 1034 del 1971, artt. 5 e 7) comunque preclude – in mancanza di previsioni derogatorie – la compromettibilità in arbitri;

ancora va ricordato che ai fini della verifica della compromettibilità delle controversie relative a una convenzione di servizi, occorre avere riguardo alla situazione normativa esistente al momento della stipula della stessa e dell’annessa clausola compromissoria;

VII. – il rigetto del primo motivo determina l’inammissibilità del secondo, per difetto di interesse;

VIII. – è infondato anche il terzo motivo;

in linea generale deve essere sottolineato che è prevalente, nella giurisprudenza di questa Corte, l’affermazione per cui l’attore che abbia incardinato una causa dinanzi a un determinato giudice, e sia rimasto soccombente nel merito, non è poi legittimato a impugnare la sentenza per denunciarne il difetto di giurisdizione, in quanto non soccombente – si dice – su tale autonomo capo della decisione, che attiene al presupposto processuale (v., per varie applicazioni, Cass. Sez. U. n. 22439-18, Cass. Sez. U. n. 1309-17, Cass. Sez. U. n. 21260-16);

tale affermazione non giustifica tuttavia un’estensione del criterio di giudizio al caso di specie, in cui si è in presenza – come all’inizio osservato – di una fattispecie di nullità della clausola compromissoria che investe direttamente la questione di merito, non la questione del presupposto processuale (la giurisdizione); non può affermarsi allora che il comune, soccombente nel giudizio arbitrale in ragione della condanna a pagare l’eccedenza debitoria dopo la disposta compensazione, a fronte dell’avversa domanda riconvenzionale, non fosse legittimato a proporre l’impugnazione del lodo per nullità, nè che, così facendo, finisse col piegare il processo al perseguimento di fini estranei alla tutela del suo diritto;

IX. – da questo punto di vista il riferimento della ricorrente all’istituto dell’abuso del processo non è corretto;

l’abuso del processo ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità deviate o eccedenti rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti;

ciò non è dato di affermare laddove l’azione (di impugnativa del lodo) sia stata avanzata per privare di efficacia una sentenza arbitrale emessa in controversia non devolvibile agli arbitri;

il fatto che l’arbitrato sia stato promosso dall’una o dall’altra parte niente toglie al profilo, poichè in ogni caso l’impugnativa rimane funzionale al ripristino della legalità processuale, secondo le previsioni ratione temporis ostative all’arbitrato;

X. – il ricorso, in conclusione, è rigettato;

la difficoltà intrinseca delle questioni controverse induce a compensare le spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2021

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