Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8094 del 21/04/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 8094 Anno 2016
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: NAPPI ANIELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Francesca Cecchini, domiciliata in Roma, via Vittoria 10, presso l’avv. Luigi Molinaro, rappresentata
e difesa dall’avv.Giuseppe Bergamaschi, come da
madato a margine del ricorso
– ricorrente Contro
Comune di Rufina e Casa s.p.a., domiciliati in Roma, via Silla n. 2/a, presso l’avv. Lucia Cecchi
Aglietti, rappresentati e difesi dall’avv. Adele
D’Elia, come da mandato a margine del controricorso

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Data pubblicazione: 21/04/2016

2

– controricorrente

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wks-6- E’ avverso

NT Mit- rh

la sentenza n. 414/2009 della Corte d’appello di
Firenze, depositata il 23 marzo 2009
Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott.

uditi i

difensori avv. A.Caroselli, delegato per

la ricorrente, e D’Elia per i resistenti
Udite le conclusioni del P.M., dr. Alberto Cardino,
che ha chiesto il rigetto del ricorso
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Firenze, in riforma della decisione di primo grado,
rigettò la domanda proposta da Marino Cecchini, e
poi dall’erede Francesca Cecchini, di accertare o
comunque disporre il trasferimento in proprio favore della proprietà di un alloggio di edilizia economica e popolare concesso in locazione al de ouius
nel 1961 dall’INA Casa con promessa di vendita.
In accoglimento poi della domanda riconvenzionale
proposta da Comune di Rufina e Casa s.p.a., i giudici d’appello dichiararono altresì risolto per inadempimento il preliminare di vendita stipulato
nel 1961, perché ritennero che, pur avendo ultimato
il 30 settembre 1977 il pagamento del

prezzo del

Aniello Nappi

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riscatto, Marino Cecchini aveva lasciato fin dal
1968 l’alloggio, concesso in godimento a terzi senza la necessaria previa autorizzazione e presumibilmente a titolo oneroso.
Contro la sentenza d’appello ha proposto ricorso

cinque motivi d’impugnazione, cui resistono con
controricorso il Comune di Rufina e la Casa s.p.a.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione della deci10n9 impugnmtm, 1amentandri che i (giudici d’s9.12pv11e,
abbiann omesso di CQniderJ

ritto

già ilecluisito il di-

al trasferimento della proprietà a Marino

Cecchini, in quanto l’Ater gli aveva richiesto di
attestare con atto notorio che la cessione a terzi
del godimento dell’alloggio controverso era a titolo gratuito, così manifestando implicitamente
l’accoglimento della domanda di riscatto.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce ancora
violazione di legge e vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano escluso la giustificabilità
dell’abbandono dell’alloggio per fini non specula-

per cassazione Francesca Cecchini sulla base di

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tivi, riconosciuta invece dalle sopravvenute leggi
n. 513 del 1977 e n. 457 del 1978.
Con il terze motivo la ricorrente deduce che, in
mancanza di una delibera comunale di revoca
dell’assegnazione, il giudice adito non aveva giu-

dal Comune di Rufina.
Con il quarto motivo la ricorrente lamenta che i
giudici del merito abbiano erroneamente ricorso a
una prova presuntiva di onerosità della cessione
dell’alloggio in godimento a terzi, argomentando
dalla durata della cessione e dall’estraneità dei
cessionari alla famiglia del concedente, senza considerare che Marino Cecchini aveva fornito prova
scritta della gratuità della cessione e
dell’esigenza di abbandonare l’alloggio per far
fronte ai continui furti subiti nell’albergo di sua
proprietà.
Con il quinto motivo la ricorrente deduce violazione di legge e contraddittorietà della motivazione
con la quale la corte d’appello, pur avendo dato
atto che era vietata solo la locazione
dell’alloggio, ritiene tuttavia sufficiente a determinare la decadenza anche la cessione a titolo
gratuito.

risdizione sulle difese formulate solo in appello

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2. Il ricorso è infondato.
Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza
di questa corte, «in materia di edilizia residenziale pubblica, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, che ha dichiara-

d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito
dall’art.

7,

lettera a), della legge 21 luglio

2000, n. 205, è necessario tenere distinta la prima
fase, antecedente all’assegnazione dell’alloggio,
di natura pubblicistica, da quella successiva
all’assegnazione, di natura privatistica, nella
quale la posizione dell’assegnatario assume natura
di diritto soggettivo, dovendosi attribuire alla
giurisdizione del giudice amministrativo le controversie attinenti a pretesi vizi di legittimità dei
provvedimenti emessi nella prima fino all’assegnazione, mentre sono riconducibili alla giurisdizione
del giudice ordinario le controversie in cui siano
in discussione cause sopravvenute di estinzione o
di risoluzione del rapporto» (Cass., sez. un., 28
dicembre 2011, n. 29095, m. 620144).
Ciò posto,

i

giudici d’appello hanno ritenuto che

la durata pluriennale della cessione e l’estraneità
dei cessionari alla famiglia di Marino Cecchini

to la parziale incostituzionalità dell’art. 33

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rendesse assai poco plausibile un rapporto a titolo
non oneroso, aggiungendo che comunque la gratuità
non garantirebbe il rispetto del fine istituzionale
dell’edilizia residenziale pubblica.
Sicché deve ritenersi che siano due le rationes de-

dimento dell’alloggio a terzi; e l’inidoneità comunque della pur eventualmente ritenuta gratuità a
escludere la decadenza.
La prima ratio decidendi è idonea da sola a giustificare il rigetto del ricorso.
Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti,
«l’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso alla presunzione quale mezzo di prova e la
valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di
presunzione, sono incensurabili in sede di legittimità, l’unico sindacato in proposito riservato al
giudice di cassazione essendo quello sulla coerenza
della relativa motivazione» (Cass., sez. I, 20 novembre 2003, n. 17596, m. 568316). Sicché, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di
cassazione non deve stabilire se la decisione di
merito proponga effettivamente la migliore possibi-

cidendi esibite: l’onerosità della cessione in go-

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le ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso
comune e con i limiti di una plausibile opinabilità
di apprezzamento. Ed è perciò indiscusso che «il

sentito dall’art. 360 n. 5 c.p.c., non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia
dell’opzione che ha condotto il giudice del merito
ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà,
non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata
dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del
vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte
di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di
merito attraverso l’autonoma, propria valutazione
delle risultanze degli atti di causa» (Cass., sez.
L, 5 marzo 2002, n. 3161, m. 552824, Cass., sez. L,
25 settembre 2004, n. 19306, m. 577365, Cass., sez.
L, 9 febbraio 2004, n. 2399, m. 569983, Cass., sez.
L, 25 settembre 2003, n. 14279, m. 567156, Cass.,
sez. L, 18 novembre 2000, n. 14953, m. 541875).

controllo di logicità del giudizio di fatto, con-

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Né può ritenersi che il ricorso a questa prova presuntiva risulti invalidato dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa dai cessionari
dell’alloggio circa la gratuità del rapporto, essendo indiscusso in giurisprudenza che tali dichia-

in giudizio (Cass., sez. I, 21 maggio 2014, n.
11223, m. 631253, Cass., sez. un., 14 ottobre
1998, n. 10153, m.

519693).

Considerato dunque che l’art. 1571 c.c. definisce
contratto di locazione la cessione in godimento di
un bene verso un corrispettivo, risulta incensurabilmente accertato che l’assegnatario Marino Cecchini aveva concesso in locazione a terzi
l’alloggio controverso, in violazione del divieto
previsto dall’art. 27 d.p.R. n. 1265 del 1956 e
senza la prescritta previa autorizzazione. E questo
inadempimento determinò di per sé la decadenza di
Marino Cecchini dal diritto di riscatto.
Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti,
«ai sensi sia dell’art. 27 del d.P.R. 9 aprile
1956, n. 1265, che dell’art. 11 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035 è fatto divieto agli assegnatari di alloggi dell’edilizia residenziale pubblica
di cedere in sublocazione gli alloggi stessi senza

razioni non hanno efficacia di prova ove prodotte

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la preventiva autorizzazione dell’ente concedente,
legittimato a reprimere le relative violazioni,
prevista dall’ex art. 26 della legge 8 agosto 1977,
n. 513, con provvedimento di decadenza dall’assegnazione – rispetto al quale è data all’interessato

una sanzione di diritto pubblico che costituisce
oggetto di un potere – dovere dell’ente stesso, incidente sul diritto soggettivo di godimento
dell’alloggio sorto a seguito della stipulazione
del contratto di locazione con l’assegnatario, senza che rilevi in contrario l’avvenuta presentazione, da parte di quest’ultimo, di domanda di trasferimento in proprietà, ancorché da ritenere accettata ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 58
della legge 5 agosto 1978, n. 457, atteso che tale
accettazione non preclude alla P.A., nell’esercizio
dei poteri ad essa spettanti, una dichiarazione di
decadenza per sopravvenuto accertamento di comportamenti anteriori, impedita, invece, soltanto
dall’atto di trasferimento della proprietà dell’alloggio, che definitivamente sottrae il bene al patrimonio dell’ente ed all’esercizio di quei poteri
di tutela» (Cass., sez. III, 19 giugno 2008, n.
16628, m. 603838). Sicché «il divieto di cessione

tutela davanti al giudice ordinario, trattandosi di

Io

in sublocazione a terzi dell’alloggio economico e
popolare oggetto di assegnazione sussiste, a carico
dell’assegnatario con patto di futura vendita (così
come a carico dell’assegnatario semplice), fino a
quando, con la stipula del contratto, non si perfe-

le e questo esca dal patrimonio dell’ente, né resta
escluso dalla presentazione, da parte dell’assegnatario, della domanda di riscatto, ancorché questa
sia da considerarsi accettata a norma della legge
n. 457 del 1978, atteso che la disposizione transitoria dettata in ordine a siffatta accettazione
dell’art. 52 comma terzo di tale ultima legge va
intesa non nel senso della costituzione “ope legis”
del vincolo contrattuale e del conseguente trapasso
di proprietà, bensì in quello della definitività ed
incontestabilità del diritto dell’assegnatario a
conseguire la cessione mediante la stipula del contratto di compravendita» (Cass., sez. III, 19 giugno 2008, n. 16628, m. 603841).
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resisten-

zioni il trasferimento della proprietà dell’immobi-

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1

te, liquidandole in complessivi E. 7.200, di cui E.
7.000 per onorari, oltre spese generali e accessori
come per legge.
Roma, 9 marzo 2016

Il consigliere rei. ore
(dr. Aniello appi)

Il resi ente

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