Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8093 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. un., 23/04/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 23/04/2020), n.8093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34592-2018 proposto da:

P. & FIGLI SERVICE S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA SAN BERNARDO 101, presso lo STUDIO LEGALE CANCRINI E

PARTNERS, rappresentata e difesa dagli avvocati ARTURO CANCRINI,

FRANCESCO VAGNUCCI e MARCO D’ALBERTI;

– ricorrente –

contro

AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

e contro

APPLICAZIONI ELETTRICHE GENERALI S.R.L., D. MOTORS S.P.A.,

ELETTROMECCANICA CAMPANA S.P.A., ELETTROMECCANICA PM S.R.L., FIREMA

TRASPORTI S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, ELETTROMECCANICA

DI C.A. & C. S.N.C., ELETTROMECCANICA S.R.L., MOTORTECNICA

S.R.L., P.M. & C. S.C.A.R.L., RETAM SUD INDUSTRIA

ELETTROMECCANICA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, ELETTROMECCANICA SO.EL.TA.

S.R.L., INDUSTRI ELETTROMECCANICHE EUROPEE S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4211/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 10/07/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

lette le conclusioni scritte dell’Avvocato Generale LUIGI SALVATO, il

quale chiede che la Corte dichiari inammissibile il ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1.1 La P. & Figli Service srl propone un articolato motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 4211 del 10 luglio 2018, con la quale il Consiglio di Stato ha respinto l’appello da essa proposto contro la sentenza del TAR Lazio n. 2673/16; con ciò confermando il provvedimento n. 25488/15, con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato le aveva inflitto la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 402.090,00 in quanto partecipe – unitamente ad altre dodici imprese – di un’intesa restrittiva della concorrenza operante dal 2008 al 2011 e “consistente in una complessa pratica concordata volta a distorcere i meccanismi di confronto concorrenziale in ventiquattro procedure di gara indette da Trenitalia spa, principalmente per l’approvvigionamento di beni e servizi elettromeccanici ad uso ferroviario”.

Il Consiglio di Stato, per quanto qui interessa, ha rilevato che:

– l’Autorità Garante aveva fornito la prova (emergente anche dall’indagine penale avviata per gli stessi fatti) dell’esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’infrazione contestata e, in particolare, dell’esistenza di una pratica concordata, vietata dalla L. n. 287 del 1990, art. 2 e art. 101 TFUE, in forza della quale le società interessate alle procedure pubbliche di acquisto indette da Trenitalia, tra le quali la P., “concordavano quali imprese avrebbero partecipato, quali avrebbero dovuto risultare aggiudicatarie e quali sarebbero stati i prezzi da offrire”;

– corretta era stata la quantificazione delle sanzioni (sulle quali il giudice amministrativo esercitava un sindacato anche di merito) in base ai criteri di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 15, comma 1, alla L. n. 689 del 1981, art. 11, alle “Linee Guida” approvate dall’Autorità con Delib. 22 ottobre 2014, n. 25152, nonchè agli “Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 23, p. 2. lett. a) Reg. CE 1/2003” di cui alla Comunicazione della Commissione 2006/C 210/02;

– in proposito, doveva considerarsi che le intese orizzontali di prezzo o di ripartizione dei mercati costituivano per loro natura infrazioni “molto gravi”;

– nella specie, si trattava di pratica concordata stabile nel tempo (da marzo 2008 a settembre 2011) e comportante l’illecita negoziazione di tutte le principali variabili concorrenziali (quantità, prezzo, numero dei contendenti);

– le quote di mercato detenute dalle imprese partecipanti al cartello erano pressochè pari alla totalità degli operatori attivi sul mercato di riferimento;

– l’intesa aveva comportato l’alterazione effettiva, non solo potenziale, dei prezzi medi di aggiudicazione delle gare;

– in applicazione di quanto previsto dal punto 18 delle citate “linee guida”, l’Autorità aveva applicato la percentuale minima del 15% sugli importi oggetto di aggiudicazione, con aumenti proporzionali a carico delle società che avevano esercitato nella vicenda il maggior ruolo (Meis ed Elca);

– per alcune società, tra cui la P., la sanzione così risultante era stata poi ridotta, con misura di favore, in ragione della soglia legale massima di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 15, comma 1, pari al 10% del fatturato totale realizzato nell’ultimo esercizio (2014) chiuso prima della notifica della diffida;

– privo di fondamento era il motivo della P. circa la mancata considerazione, nella quantificazione proporzionale della sanzione a suo carico, del ruolo marginale da essa svolto nell’illecito anticoncorrenziale (in quanto aggiudicataria di sole due gare sulle ventiquattro considerate, di cui una poi revocata ed annullata), dal momento che quest’ultimo elemento doveva ritenersi del tutto irrilevante nel disegno spartitorio, in quanto “la mancata acquisizione di commesse con Trenitalia o la mancata partecipazione alle relative procedure non implicava l’estraneità all’intesa, atteso che ad alcune imprese non partecipanti veniva ceduta, dagli altri membri del cartello risultanti vincitori, una quota parte dei lavori o forniture (ad esempio, proprio la società P. ebbe ad acquisire due ulteriori commesse in subappalto)”.

Resiste con controricorso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, mentre nessuna attività difensiva è stata svolta in questa sede dalle altre società sanzionate, pur esse intimate.

Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

La società ricorrente ha depositato memoria con istanza di trattazione in pubblica udienza.

p. 1.2 Quest’ultima istanza non può trovare accoglimento.

Se è vero che nel giudizio di cassazione la rimessione di una causa alla pubblica udienza dall’adunanza camerale prevista nell’art. 380 bis.1 c.p.c., è ammissibile in applicazione analogica dell’art. 380 bis c.p.c., comma 3, rientrando la valutazione degli estremi per la trattazione del ricorso in pubblica udienza e, in particolare, della particolare rilevanza della questione di diritto coinvolta, nella discrezionalità del collegio giudicante e non del presidente della sezione (Cass. n. 5533/17 ord.), altrettanto indubbio è che il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di tale valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza “in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare al caso di specie” (Cass. SSUU n. 14437/18, ord.), ed allorquando non si verta di “decisioni aventi rilevanza nomofilattica, idonee a rivestire efficacia di precedente, orientando, con motivazione avente anche funzione extra processuale, il successivo percorso della giurisprudenza” (Cass. n. 19115/17); il che è appunto quanto accade, come apparirà evidente, nel caso in esame.

p. 2. Con l’unico articolato motivo di ricorso la P. lamenta “violazione dell’art. 7, comma 6 e art. 134, comma 1, lett. c) cpa; omesso esercizio di potere giurisdizionale da parte del Consiglio di Stato; diniego di giustizià.

Si assume, in particolare, che:

– il giudice amministrativo esercitava nella specie cognizione estesa al merito ex art. 134, comma 1, lett. c) cpa, con potestà sostitutiva delle determinazioni dell’Amministrazione, là dove il Consiglio di Stato si era invece limitato ad un sindacato meramente estrinseco di legittimità formale del provvedimento sanzionatorio (conformità alle “linee guida” ed ai citati “orientamenti” della Commissione), senza riconoscere alla P. la circostanza attenuante del “ruolo marginale” alla partecipazione dell’infrazione (espressamente prevista dall’art. 23 Linee Guida cit.);

– dalle risultanze istruttorie, la marginalità del ruolo emergeva dalla partecipazione di P. a due sole gare sulle ventiquattro considerate e, soprattutto, dal fatto che ruolo fondamentale nella vicenda era stato ricoperto da altre società (Meis ed Elca) alle quali erano state nondimeno applicate sanzioni pecuniarie (rispettivamente di Euro 403.878,30 ed Euro 210.597,30) in termini assoluti sostanzialmente pari o addirittura inferiori rispetto a quella applicata a P.;

– il vizio della sentenza del Consiglio di Stato appariva tanto più grave in considerazione della natura sostanzialmente penale delle sanzioni in oggetto e della conseguente necessità (art. 6 Cedu) che fosse alla parte garantita la pienezza di tutela giurisdizionale nell’ambito di un “giusto processo”, anche nell’esigenza di pari trattamento rispetto a quello riservato dall’ordinamento ai soggetti raggiunti da sanzioni applicate da altre Autorità indipendenti ed attribuite al pieno sindacato di merito del giudice ordinario;

– del tutto obliterata, nel giudizio di adeguatezza della sanzione, era stata la considerazione dei parametri costituiti dalla “personalità” dell’agente e della “gravità della violazione”, pure rilevanti per legge (L. n. 689 del 1981, art. 11 e L. n. 287 del 1990, art. 31);

– inconferente doveva ritenersi l’affermazione secondo cui la riduzione della sanzione entro il tetto massimo del 10% dell’ultimo fatturato costituiva misura di favore per P., trattandosi di riduzione in realtà riconosciuta ex lege indipendentemente dal giudizio specifico di adeguatezza;

– parimenti omessa era stata la considerazione equitativa di parametri di tipo economico-finanziario, attesa la crisi economica nella quale si trovava P., così come indotta sia dalla difficoltà e dilazione di riscossione dei corrispettivi contrattuali dalla propria committenza, sia dai maggiori costi di fornitura e trasporto derivanti dal crollo del ponte autostradale (OMISSIS); sicchè il pagamento della sproporzionata sanzione inflitta era in grado di aggravare tale stato di crisi, di per sè costituente circostanza attenuante “atipica” rilevante L. n. 689 del 1981, ex art. 11, secondo cui nella determinazione della sanzione si deve avere riguardo, tra il resto, anche alle “condizioni economiche” dell’agente.

Tutto ciò denotava, da parte del Consiglio di Stato, eccesso di potere giudiziario censurabile tramite ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 8, perchè integrante difetto assoluto di giurisdizione nella forma del c.d. “arretramento”.

p. 3.1 Il ricorso è inammissibile.

Queste Sezioni Unite hanno innumerevoli volte affermato che il ricorso per cassazione avverso le pronunce del Consiglio di Stato è consentito solo per motivi inerenti alla giurisdizione, secondo quanto previsto dall’art. 111 Cost., comma 8 (disposizione recepita dall’art. 362 c.p.c. e art. 110 cpa) e, quindi: “a) nell’ipotesi in cui la sentenza abbia violato l’ambito della giurisdizione in generale (esercitando la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, oppure negando la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non potesse costituire in modo assoluto oggetto di esame giurisdizionale); b) nell’ipotesi di violazione dei cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione (giudicando in materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure negando la propria giurisdizione sull’erroneo presupposto che questa spetti ad altro giudice, oppure esercitando un sindacato di merito in materia attribuita esclusivamente alla propria giurisdizione di legittimità degli atti amministrativi)”.

Questo indirizzo (tra le molte, Cass. SSUU n. 956/17, con ulteriori richiami) vale ad escludere l’ammissibilità del ricorso per cassazione finalizzato, nella sua portata sostanziale, a lamentare “solo un cattivo esercizio da parte del Consiglio di Stato della propria giurisdizione, cioè un vizio che attiene all’esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge a detto giudice” (SSUU cit.).

Sulla questione è anche intervenuta la Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 6/2018, dalla quale si trae conferma del fatto che il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti – previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, per i “soli” motivi inerenti alla giurisdizione – non possa riguardare anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando, in quanto una siffatta opzione interpretativa, basata su un adattamento dinamico-evolutivo del concetto stesso di giurisdizione, si porrebbe senz’altro in contrasto con la lettera e lo spirito della norma costituzionale.

Sicchè “l”eccesso di potere giudiziario, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei Conti affermino la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghino sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonchè a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici” (C. Cost. sent. cit.).

Cass. SS.UU. n. 8311/19 ha osservato che: “alla luce della sentenza n. 6 del 2018 della Corte Costituzionale – la quale ha carattere vincolante perchè volta ad identificare gli ambiti dei poteri attribuiti alle diverse giurisdizioni dalla Costituzione, nonchè i presupposti e i limiti del ricorso ex art. 111 Cost., comma 8 – il sindacato della Corte di Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per “invasione” o “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per “arretramento” rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonchè le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell’attribuzione. L’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore è configurabile solo allorchè il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento “abnorme o anomalo” ovvero abbia comportato uno “stravolgimento” delle “norme di riferimento, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un error in iudicando, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione” (tra le molte, anche Cass. SS.UU. nn. 30653/18; 7926/19; 29082/19; 413/20).

p. 3.2 La ricostruzione dei limiti del vaglio di giurisdizione così evincibile non muta nei casi, come quello di specie, in cui il Consiglio di Stato risulti investito di cognizione estesa al merito (art. 134, lett. c) cpa).

L’ampliamento di tale cognizione, non vincolata al giudizio di sola legittimità del provvedimento amministrativo censurato, opera infatti tutta all’interno della giurisdizione del Consiglio di Stato, il cui sindacato di cassazione resta dunque vincolato ai limiti, di natura esclusivamente esterna, che si sono indicati.

Neppure nei casi di cognizione estesa al merito, altrimenti detto, è consentito alla parte di far valere con il ricorso per cassazione eventuali errori procedurali o di giudizio e, con essi, il cattivo esercizio di tale cognizione da parte del Consiglio di Stato; e nemmeno le è consentito di dedurre nella forma del diniego di giustizia ovvero dell’omesso esercizio di potere giurisdizionale “per arretramento” (nei connotati già descritti) quello che risulti essere unicamente un rigetto, appunto nel merito, di una determinata istanza sostanziale (in concreto, di riduzione della sanzione pecuniaria inflitta dall’Autorità Garante).

Queste Sezioni Unite hanno varie volte affrontato il problema della giurisdizione con riguardo specifico ai provvedimenti di tale Autorità, affermando in effetti (ed in ciò può convenirsi, ma solo in linea di principio, con la società ricorrente) che se il giudice amministrativo non può sostituirsi all’autorità medesima nelle attività di accertamento e di applicazione della legge con un proprio provvedimento, non per questo il sindacato giurisdizionale è limitato ai soli profili giuridico-formali dell’atto amministrativo (Cass. SS.UU. 1013/14), dovendosi invece estendere anche alla risoluzione delle eventuali contestazioni in punto di fatto, allorquando da tali contestazioni dipenda la legittimità del provvedimento amministrativo incidente su posizioni di diritto soggettivo (Cass. SS.UU. nn. 1013/14; 30974/17; 11929/19).

E’ anzi solo in presenza di tale condizione (con l’unica preclusione all’esercizio di attività sostitutiva dell’Autorità, peraltro qui neppure allegata) che la giurisdizione in materia può dirsi effettiva; e ciò anche quanto a piena tutela dell’amministrato che si veda raggiunto, come anche osservato dalla ricorrente, da sanzioni particolarmente afflittive e di natura sostanzialmente penale secondo i noti parametri CEDU.

Sennonchè, fermo tutto ciò, dalla sentenza qui impugnata emerge come il Consiglio di Stato non abbia affatto disconosciuto nè denegato, ma anzi esplicitato ed esercitato appieno la propria giurisdizione di merito in materia, nel senso poc’anzi specificato, facendone seguire coerenti conseguenze decisorie di legalità sostanziale e non puramente formale del provvedimento sanzionatorio.

La questione nevralgica di lite, data appunto dall’entità della sanzione pecuniaria inflitta alla P., è stata affrontata del Consiglio di Stato nella verifica non soltanto (come erroneamente sostiene la ricorrente) della sua astratta rispondenza alle fonti normative del potere sanzionatorio e dei parametri legali di determinazione, ma anche della congruità ed adeguatezza alla fattispecie concreta del quantum applicato.

Ciò mediante:

– la valutazione di oggettiva gravità dell’intesa anticoncorrenziale in questione, anche in ragione della durata pluriennale dei suoi effetti distorsivi e della effettiva incidenza dell’accordo illecito sui prezzi di aggiudicazione delle procedure di acquisto;

– l’argomentata esclusione, per P., della attenuante del ruolo marginale, stante il tenore degli accordi anticoncorrenziali volti a favorire, con il sistema delle compensazioni successive, anche le imprese non direttamente partecipanti alle gare concordate (con conseguente ritenuta ininfluenza, a tal fine, della partecipazione di P. a due sole gare sulle ventiquattro oggetto di indagine);

– la ravvisata proporzionalità della sanzione inflitta a P. pur in ragione del tetto legale massimo del 10% dell’ultimo fatturato prima della diffida, criterio che aveva ex lege determinato un certo livellamento sanzionatorio tra tutte le imprese coinvolte, ma ciò per effetto non di una sproporzionata o inadeguata valutazione del ruolo svolto da ciascuna, bensì appunto in applicazione del beneficio legale dato dal limite sanzionatorio massimo incidente su valori assoluti, non relativi.

Quanto alla ulteriore circostanza attenuante, asseritamente omessa, del dedotto stato di crisi economica, neppure può dirsi che il Consiglio di Stato sia venuto meno al proprio obbligo decisionale, non avendo P. neppure allegato di aver dedotto tale circostanza avanti al giudice amministrativo, tanto più che la circostanza qui invocata si basa anche su fatti (aumento dei costi di trasporto derivanti dal crollo del ponte (OMISSIS)) addirittura sopravvenuti, non solo all’illecito, ma anche alla decisione censurata; e però, se così non fosse, ancora ci si muoverebbe nell’ambito di un error in procedendo, privo di influenza in questa sede.

E’ in definitiva fin troppo evidente come il ricorso sia in realtà volto a sindacare, non già un eccesso o un difetto di esercizio giurisdizionale nel senso indicato, bensì un vizio di convincimento; vale a dire, il merito di tale esercizio all’esito di una valutazione fattuale alla quale il giudice amministrativo non si affatto è sottratto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità a favore della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che liquida in Euro 6.000,00 oltre spese prenotate a debito;

v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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