Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8093 del 08/04/2011

Cassazione civile sez. II, 08/04/2011, (ud. 15/02/2011, dep. 08/04/2011), n.8093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.A., residente in (OMISSIS), rappresentata e difesa per

procura a margine del ricorso dagli Avvocati Pastore Luigi e Angela

Stasi, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato

Giunio Rizzelli in Roma, piazza Verbano n. 22, sca. A, int. 8;

– ricorrente –

contro

M.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 411 del Tribunale di Lecce, depositata il 25

febbraio 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15

febbraio 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udite le difese della ricorrente, svolte dall’Avvocato Luigi Pastore;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso per denunzia di nuova opera M.A. si rivolse al pretore di Gallipoli chiedendo che venisse ordinato a A.A., proprietaria confinante, di arretrare le quote del suo erigendo fabbricato, in quanto eseguito in violazione delle distanze legali.

All’esito del giudizio, in cui veniva disposta la sospensione dei lavori e svolti accertamenti tecnici, con sentenza del 16 maggio 1986 il giudice di primo grado accolse il ricorso e condanno’ la convenuta ad arretrare le quote di edificio antistanti quello della ricorrente a metri 3 la quota posta a metri 2,34 ed a metri 10 le quote poste a metri 4,70 e 6,70.

Interposto gravame da parte della A., con sentenza n. 411 del 25 febbraio 2005 il Tribunale di Lecce riformo’ in parte la decisione, annullando, in ragione delle nuove disposizioni introdotte dal sopravvenuto regolamento edilizio comunale, l’ordine di arretramento concernente le quote relative alle distanze di metri 4.70 e 6,70, confermando la condanna per la quota a distanza di metri 2,34, in luogo di 3, esistente tra il tratto dell’edificio della A. contrassegnato dalle lettere E-F, costruito sul confine, ed il tratto del fabbricato della M. contrassegnato dalle lettere D-C. In particolare, con riferimento a quest’ultima statuizione, per quanto qui interessa, il tribunale motivo’ la sua decisione osservando che il nuovo regolamento comunale prevedeva una distanza tra gli edifici comunque non inferiore a tre metri, che la M. aveva edificato per prima a distanza inferiore, che nel progetto della M. non era prevista, nella zona retinata posta al confine, alcuna veranda in senso proprio e che, essendo il muro di confine di altezza inferiore a tre metri. esso non poteva essere considerato al fine del computo delle distanze tra costruzioni, con l’effetto che, avendo la M. costruito per prima ad una distanza inferiore alla meta’ di quella prescritta, la A., non intendendo costruire rispettando la distanza minima tra gli edifici, avrebbe dovuto edificare in aderenza o in appoggio al muro del vicino, ma a tal fine avrebbe dovuto, cosa che non aveva fatto, prima di iniziare a costruire, interpellare il vicino ai sensi dell’art. 875 cod. proc. civ., se intendesse estendere il muro fino al confine oppure demolirlo e, soltanto in caso di risposta positiva, avrebbe potuto costruire in appoggio.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 22 luglio 2005, ricorre A.A., affidandosi a due motivi, illustrati da successiva memoria.

M.A. non si e’ costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 873, 875, 877 e 878 cod. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. e) del Regolamento edilizio del comune di (OMISSIS), violazione e falsa applicazione della L. n. 765 del 1967, art. 17, comma 1, lett. c) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. La ricorrente assume che la decisione impugnata e’ fondata su due presupposti di fatto errati, risultato di una non corretta lettura degli accertamenti tecnici svolti, rappresentati, il primo, dalla circostanza che il muro di confine avrebbe un’altezza inferiore a tre metri, ed il secondo dal rilievo che l’edificio della M. era stato realizzato in arretramento, in quanto il progetto non prevedeva una costruzione (cioe’ la veranda) in aderenza al muro. Nel primo caso il giudice a qua ha infatti considerato un tratto di muro che si trovava oltre la veranda, non gia’ quello in corrispondenza della stessa, che era altro metri 3,35; nel secondo caso non ha considerato che sulla veranda si affacciava una porta del vano cucina. Si assume pertanto, che il giudice territoriale non avrebbe potuto ordinare l’arretramento, atteso che la ricorrente aveva costruito in aderenza al muro di confine, come del resto aveva riconosciuto la stessa controparte nella propria comparsa di costituzione in appello, con l’effetto che il giudicante ha anche violato al disposizione di cui all’art. 112 cod. proc. civ., andando oltre i fatti posti dalla parte attrice a sostegno della propria domanda. Sotto altro profilo, il ricorso lamenta l’erroneita’ della decisione anche nel caso in cui la costruzione della veranda venga ritenuta manufatto in arretramento rispetto al confine, avendo il giudice statuito sul presupposto che la parte appellante non avesse proposto l’interpello ex art. 875 cod. civ., adempimento che ella invece aveva avanzato fin dal suo primo atto difensivo, aggiungendo che, diversamente da quanto ritenuto dal giudicante, nessuna norma prevede che esso debba essere fatto prima di costruire.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e 875 cod. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. e) del Regolamento edilizio del comune di (OMISSIS), violazione e falsa applicazione della L. n. 765 del 1967, art. 17, comma 1, lett. c) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., assumendo che l’interpello ex art. 875 cod. civ. avanzato dalla convenuta era legittimo e che esso avrebbe dovuto essere valutato alla luce della disciplina sulle distanze in vigore al momento in cui era stato formulato e non in ragione della nuova disciplina posta dal regolamento edilizio comunale e che, in ogni caso, tale valutazione era necessaria ai fini della statuizione in ordine alla condanna delle spese di giudizio. I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in ragione della loro connessione obiettiva, sono in parte inammissibili e in parte infondati. Le censure che lamentano l’erroneita’ della decisione impugnata nella parte in cui il tribunale ha accertato l’altezza inferiore a tre metri del muro di confine nel tratto interessato e la posizione in arretramento della costruzione della M. sono inammissibili, in quanto introducono un sindacato su accertamenti di fatto, non consentito in sede di giudizio di legittimita’. Ne’ la ricorrente deduce precisi e specifici elementi di fatto, risultanti dagli atti di causa, il cui esame sarebbe stato omesso da parte del giudice di merito, in grado di inficiarne la completezza e sufficienza della motivazione. Il ricorso infatti si limita a richiamare a tal fine, ma in modo del tutto generico, fotografie e rilievi che riconduce al consulente tecnico d’ufficio, ma senza riprodurne esattamente il contenuto in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sollecitando in definitiva questa Corte ad una mera rivalutazione di tali elementi, che, come tale, deve ritenersi inammissibile. Premesso pertanto che la decisione del ricorso non puo’ prescindere dagli accertamenti di fatto svolti dal giudice di merito sopra richiamati, la tesi giuridica sostenuta dalla ricorrente non appare fondata. In senso contrario va infatti richiamata la disposizione di cui all’art. 878 cod. civ., che, dopo avere precisato che il muro di cinta che ha un’altezza inferiore a tre metri non deve essere considerato ai fini delle distanze tra edifici, non integrando esso una costruzione in senso proprio (comma 1), stabilisce che questo muro non puo’ essere reso comune, allo scopo di appoggio, se al di la’ di esso esiste un edificio a distanza inferiore a quella legale, circostanza quest’ultima che ricorre nel caso di specie, avendo sia la sentenza impugnata che lo stesso ricorso affermato che l’edificio della M., costruito per primo, non rispettava la distanza legale dal confine. Ne deriva che la costruzione dell’attuale ricorrente, prevenuta rispetto alla controparte, non poteva essere eseguita in aderenza al muro o sul confine, ma doveva rispettare a distanza tra fabbricati disposta dal regolamento comunale.

La statuizione impugnata, che ha disposto l’arretramento dell’edificio della A. nel tratto posto sul confine merita pertanto di essere confermata, sia pure correggendone la motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, nel senso sopra precisato.

Ogni altro profilo di censura, attinente in particolare alla legittimita’ dell’interpello ai fini della comunione forzosa del muro, appare assorbito dalle presenti considerazioni.

Il ricorso va pertanto respinto.

Nulla si dispone sulle spese di giudizio, non avendo la parte intimata svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 15 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2011

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