Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8089 del 23/03/2021

Cassazione civile sez. I, 23/03/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 23/03/2021), n.8089

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16492/2015 proposto da:

Centro Oncologico Fiorentino Casa Cura Villanova s.r.l., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Piazzale Clodio 61, presso lo studio dell’avvocato Anna

Mattioli, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Monica Passalacqua, in forza di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Azienda Usl (OMISSIS) Firenze, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Largo Dei Lombardi

4, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Turco e rappresentata e

difesa dall’avvocato Gaetano Viciconte, in forza di procura speciale

a margine del controricorso;

– controricorrente ricorrente incidentale –

e contro

Centro Oncologico Fiorentino Casa Cura Villanova s.r.l., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma Piazzale Clodio 61, presso lo studio dell’avvocato Anna

Mattioli che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Monica

Passalacqua, in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2189/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/02/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato il 6/4/2005 l’Azienda Sanitaria USL (OMISSIS) di Firenze, avvalendosi della clausola compromissoria contenuta nella convenzione inter partes del 25/11/1997,ha dato impulso alla costituzione di un collegio arbitrale nei confronti del Centro Oncologico Fiorentino – Casa di Cura Villanova s.r.l. per l’accertamento della indebita percezione da parte di questa di rimborsi a titolo di DRG (diagnosis related group) negli anni dal 1997 al 2000 per le prestazioni di personale medico strutturato in regime libero professionale, facendo seguito alla pronuncia del giudice amministrativo (T.A.R. Toscana) che con sentenza del 28/11/2002 aveva ritenuto vigente la convenzione e tuttora valida la clausola compromissoria ivi contenuta.

Il Collegio arbitrale, in contraddittorio con la Casa di Cura con il primo lodo, non definitivo, del 26/1/2007 ha dapprima ritenuto valida la clausola arbitrale e la sussistenza del giudicato amministrativo sulla competenza del collegio stesso; con il secondo lodo, definitivo, del 24/7/2007, ha quindi accolto le domande della USL di restituzione di indebito oggettivo quantificato nei limiti della somma di Euro 432.313,57, condannando la Casa di Cura Villanova alla restituzione di tale importo indebitamente percepito con gli interessi legali dal 11/7/2007 e ha rigettato le domande riconvenzionali della Casa di Cura.

Secondo gli arbitri non erano dovuti i rimborsi percepiti dalla Casa di Cura relativi alle prestazioni del prof. G., perchè costui era stato direttamente retribuito dagli utenti.

2. Avverso le due decisioni ha proposto impugnazione dinanzi alla Corte di appello di Roma la Casa di Cura ai sensi dell’art. 828 c.p.c., lamentando l’esorbitanza delle questioni sottoposte agli arbitri rispetto al contenuto della clausola arbitrale, l’omessa pronuncia sulla questione della rinuncia ad avvalersi della clausola da parte della Azienda USL (OMISSIS) e, nel merito, la violazione di varie regole di diritto.

L’Azienda USL (OMISSIS) ha resistito, proponendo impugnazione incidentale e invocando una maggior entità del rimborso richiesto.

Con sentenza dell’8/4/2015 la Corte di appello di Roma, in sede rescindente, ha dichiarato la nullità di entrambi i lodi ed assorbiti gli altri motivi di impugnazione; in sede rescissoria, ha accolto parzialmente la domanda originaria proposta dall’Azienda USL (OMISSIS) e ha condannato la Casa di Cura a corrisponderle la somma di Euro 432.313,57, oltre interessi dalla data della domanda di arbitrato; ha posto a carico delle parti l’onere del procedimento arbitrale e a carico della Casa di Cura i due terzi delle spese del processo di impugnazione.

2. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 2/7/2015, ha proposto ricorso per cassazione il Centro Oncologico – Casa di Cura Villanova s.l., svolgendo quattro motivi, uno in principalità e gli altri in subordine

2.1. Con il primo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente deduce violazione di legge perchè la Corte di appello, dopo aver dichiarato la nullità di entrambi i lodi per violazione dell’art. 829 c.p.c., n. 4 e aver quindi ritenuto che i lodi fossero stati pronunciati al di fuori dei limiti della clausola compromissoria – e ciò del tutto correttamente, secondo la ricorrente – aveva erroneamente ritenuto di non dover esaurire il proprio compito con la fase rescindente, ma era passata alla fase rescissoria in un caso in cui ciò non era previsto dalla legge, poichè il lodo promanava da arbitri sforniti del potere di decidere.

2.2. Con il secondo motivo, subordinato, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente deduce violazione di legge con riferimento agli artt. 2033,2041,1218 e 2043 c.c., ed assume che non faceva affatto difetto una idonea causa debendi, avendo la Casa di Cura fornito agli utenti la prestazione richiesta.

2.3. Con il terzo motivo, subordinato, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente deduce violazione di legge con riferimento all’art. 132 c.p.c. e all’omessa motivazione, essendo del tutto irrilevante sia il diverso rapporto, peraltro ignoto alla Casa di Cura, intercorrente fra paziente e sanitario, sia la remunerazione corrisposta dal primo al secondo, remunerazione riconosciuta peraltro ininfluente dalla stessa Corte di appello nel caso che non fosse stata integrale.

2.4. Con il quarto motivo, subordinato, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente deduce violazione di legge con riferimento agli artt. 1362,1363 e 1366 c.c., con riferimento alla motivazione con cui era stata rigettata la sua richiesta di compensazione in via riconvenzionale, ritenuta coperta dalla transazione del 2001, nonostante l’espressa esclusione ivi pattuita delle problematiche relative alle prestazioni effettuate presso la Casa di Cura da sanitari in regime libero professionale.

3. Con atto notificato il 15/9/2015 ha proposto controricorso e ricorso incidentale la Azienda USL (OMISSIS) Firenze, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a sua volta, con il supporto di due motivi, per la cassazione della sentenza impugnata, diretta contro le statuizioni in sede rescindente, sia contro le statuizioni rese in sede rescissoria, proponendo al riguardo cinque motivi.

3.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale, diretto contro la pronuncia in sede rescissoria, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, con violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; lamenta altresì motivazione meramente apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile e contraddittoria, per aver la Corte di appello ritenuto immuni da censure gli accertamenti e criteri seguiti dal Consulente tecnico e per aver disatteso la deliberazione dell’Azienda USL n. 408/2001, dichiarata legittima inter partes dal Consiglio di Stato in favore della pubblicazione ministeriale del 1997, considerata più affidabile.

3.2. Con il secondo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente, in subordine, assume che dovevano essere considerate illegittime le statuizioni rese in sede rescindente, per violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c..

Secondo la ricorrente, la Corte di appello era pervenuta alla pronuncia di nullità solamente attraverso un errato iter logico giuridico e una motivazione erronea, ravvisando una omessa pronuncia degli arbitri, in realtà insussistente perchè l’eccezione al proposito sollevata era stata implicitamente respinta con l’accoglimento di una tesi incompatibile; infatti il Collegio arbitrale, accogliendo la domanda, aveva ritenuto la propria competenza.

3.3. Ciò dava la stura – secondo la ricorrente incidentale – alla riproposizione dei motivi di impugnazione del lodo erroneamente ritenuti assorbiti ossia dei seguenti tre motivi:

3.3.1 violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 829 c.p.c., D.Lgs. n. 502 del 1992, D.Lgs. n. 229 del 1999, art. 1362 c.c., perchè con le convenzioni stipulante anteriormente al 2001 le parti avevano espressamente escluso che la Casa di Cura potesse chiedere alla USL il rimborso a titolo di DRG quando l’utente aveva scelto di ricevere la prestazione sanitaria da medico di sua fiducia, in regime libero-professionale, all’interno delle strutture della Casa di Cura accreditata, fatturato direttamente all’utente;

3.3.2. violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 829 c.p.c., D.Lgs. n. 502 del 1992, Delib. Giunta Regionale Toscana n. 283 del 2001, Delib. D.G. della ASL (OMISSIS) n. 409 del 2001, perchè la Giunta regionale toscana con la Delib. n. 283 del 2001, aveva disposto il recupero delle somme indebitamente poste a carico del servizio sanitario regionale in caso di ricovero ospedaliero connesso alla erogazione di prestazioni in regime libero professionale e il Direttore generale della ASL (OMISSIS) con Delib. n. 409 del 2001, aveva disciplinato il rimborso di tali prestazioni solo per il futuro e con riduzione del 35% dell’importo del DRG;

3.3.3. violazione e falsa applicazione di norme di diritto, artt. 823 e 829 c.p.c., per il mancato rilievo conferito alla documentazione prodotta dalla ASL nel giudizio arbitrale, e in particolare alle indagini penali del NAS, alla sentenza penale 3252/2007 del Tribunale di Firenze e il rilievo conferito alla relazione peritale fatta eseguire e contestata dalla ASL.

3.4. Con controricorso notificato il 19/10/2015 la Casa di Cura ha resistito al ricorso incidentale avversario.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, occorre mettere a fuoco i profili della sentenza impugnata investiti dai contrapposti ricorsi.

1.1. La Corte di appello di Roma, investita dall’impugnazione di entrambi i lodi arbitrali, ha ritenuto, esprimendosi in sede rescindente, che entrambi i lodi fossero nulli perchè pronunciati in eccedenza dai limiti del patto compromissorio contenuto nella Convenzione del 25/11/1997, ritenuto circoscritto alla sola “determinazione del numero massimo dei ricoveri e dimissioni (ordinari e per riabilitazione) per gli anni 1997 e 1998 e dell’ammontare massimo della copertura finanziaria, con previsione delle tariffe per il pagamento delle prestazioni (comprese quelle chirurgiche), da ridurre in caso di superamento del tetto massimo di ricoveri”.

Di conseguenza – secondo la Corte capitolina – era assolutamente estraneo alla Convenzione il tema della controversia che riguardava ” la duplicazione dei compensi al chirurgo operante nella struttura in regime libero professionale, retribuito dalla Casa di Cura convenzionata ma contemporaneamente destinatario di un onorario anche a carico del paziente”; invece, nella fattispecie non si discuteva di tetti massimi dei ricoveri o di tetti massimi finanziari, nè di ammontare delle tariffe, o ancora di tipologia e qualità delle prestazioni, ma di un tema neppure analogicamente assimilabile al contenuto specifico della Convenzione.

1.2. La sentenza impugnata si è quindi articolata in una pronuncia rescindente che ha dichiarato la nullità di entrambi i lodi e una pronuncia rescissoria che, a valle della prima, ha giudicato nel merito delle domande proposte dalle parti.

1.3. Il ricorso della Casa di Cura non si dirige contro la pronuncia rescindente, che anzi ha accolto la sua impugnazione, ma contro la decisione della Corte di appello di non limitarsi alla caducazione dei lodi impugnati e di procedere all’esame del merito della controversia, a suo parere viziata ai sensi dell’art. 830 c.p.c., comma 2, poichè l’annullamento dei lodo era avvenuto nel caso disciplinato dall’art. 829 c.p.c., n. 4, ossia “se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti della convenzione d’arbitrato, ferma la disposizione dell’art. 817, comma 4, o ha deciso il merito della controversia in ogni altro caso in cui il merito non poteva essere deciso”.

1.4. Al proposito la controricorrente Azienda USL (OMISSIS), nel difendersi dal primo motivo avversario, si limita a sostenere che la Corte di appello ben aveva fatto a entrare nel merito della controversia dopo aver dichiarato la nullità dei lodi, perchè l’ingresso nel merito della fase rescissoria sarebbe precluso solo in caso di inesistenza del compromesso o della clausola compromissoria o di materia non compromettibile per legge.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale, svolto in subordine rispetto alla principale richiesta di reiezione del ricorso principale e all’accoglimento del ricorso incidentale in via rescissoria (vedi pag. 36, primo paragrafo del controricorso), la USL 10 attacca la pronuncia rescindente, osservando che la Corte di appello aveva ravvisato erroneamente una omessa pronuncia sull’esorbitanza del lodo rispetto al tenore della clausola compromissoria, che non esisteva affatto in presenza di una statuizione implicita ma inequivocabile di circa la propria competenza ravvisabile nella decisione del merito (controricorso, pag. 37-40).

La USL (OMISSIS) sostiene inoltre che la decisione rescindente era errata perchè la clausola “si estendeva senz’altro alla ripetizione di quanto indebitamente corrisposto in eccedenza rispetto alla convenzione, dal momento che la domanda di ripetizione involgeva per l’appunto la definizione di quanto dovuto in forza della convenzione medesima” (controricorso, pag. 40-41).

In sintesi, invero resa disagevole dall’intreccio di domande e di vincoli di subordinazione, la USL (OMISSIS) chiede il rigetto del primo motivo avversario circa l’indebita transizione al merito e solo in subordine a tale rigetto e al mancato accoglimento del proprio ricorso incidentale sulla pronuncia rescissoria (controricorso, pag. 36, primo paragrafo) la caducazione della pronuncia rescindente.

2. Per tali ragioni, il Collegio procede quindi, con priorità logico giuridica all’esame del primo motivo di ricorso principale.

2.1. Si è detto che la ricorrente lamenta l’erronea “transizione al merito” perchè la Corte di appello, dopo aver dichiarato la nullità di entrambi i lodi perchè pronunciati al di fuori dei limiti della clausola compromissoria, aveva ritenuto di non dover esaurire il proprio compito con la fase rescindente, ma era passata alla fase rescissoria in un caso in cui ciò non era previsto dalla legge, poichè il lodo promanava da arbitri sforniti del potere di decidere.

2.2. Il testo attuale dell’art. 830 c.p.c. (come sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 24, a far data dal 2 marzo 2006) conforta la tesi del ricorrente.

In effetti l’art. 830 prevede nel comma 1 chela Corte d’appello decida sull’impugnazione per nullità e, se l’accoglie, dichiari con sentenza la nullità del lodo e contempla nel comma 2 il passaggio alla fase rescissoria con decisione della controversia nel merito solo nel caso in cui il lodo sia annullato per i motivi di cui all’art. 829, comma 1, nn. 5), 6), 7), 8), 9), 11) o 12), terzo, quarto o quinto, a meno che le parti non abbiano stabilito diversamente nella convenzione di arbitrato o con accordo successivo.

Pertanto se l’annullamento del lodo viene disposto ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 4, la legge non prevede la fase rescissoria.

2.3. Ai sensi del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 4, le disposizioni della riforma in questione “si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente all’entrata in vigore del presente decreto”.

Nel caso la domanda di arbitrato era stata proposta il 6/4/2005 e il Collegio arbitrale si era formalmente costituito il 1/2/2006.

La Novella arbitrale del 2006 non era quindi applicabile alla fattispecie, regolata dalla disciplina previgente e dal testo dell’art. 830, risultante dalla precedente riforma arbitrale (a suo tempo introdotta con la L. 5 gennaio 1994, n. 25 e in particolare con l’art. 22), secondo cui la Corte di appello, quando accoglieva l’impugnazione, dichiarava con sentenza la nullità del lodo e, salvo volontà contraria di tutte le parti, pronunciava anche sul merito, se la causa era in condizione di essere decisa, ovvero rimetteva con ordinanza la causa all’istruttore, se per la decisione del merito era necessaria una nuova istruzione.

2.4. La Corte di appello ha quindi, sia pur senza dar esplicitamente conto delle ragioni del suo operato, ha agito correttamente ed ha applicato la regola processuale valida ratione temporis; il primo motivo di ricorso della Casa di Cura deve essere respinto, sia pure per ragioni diverse da quelle indicate dalla contro ricorrente.

3. Con il secondo motivo, subordinato, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente ha dedotto violazione di legge con riferimento agli artt. 2033,2041,1218 e 2043 c.c..

3.1. Secondo la ricorrente non faceva affatto difetto una idonea causa debendi, poichè la Casa di Cura aveva fornito agli utenti la prestazione richiesta.

3.2. Secondo la Corte di appello, pur in difetto di una espressa regolazione della fattispecie, la Casa di Cura non poteva richiedere il rimborso integrale dei DRG (che comprendevano sia la remunerazione del servizio di degenza e assistenza, sia quella del chirurgo “primo operatore”) nel caso in cui il paziente avesse provveduto a pagare “integralmente” la prestazione del medico, a differenza del caso in cui tale pagamento non fosse stato integrale.

Poichè la Casa di Cura aveva richiesto il rimborso dei DRG, senza decurtare la quota relativa al compenso del professionista, pur essendo a conoscenza che costui era stato pagato integralmente dal paziente in forza di apposite dichiarazioni in suo possesso, secondo la Corte romana vi era stata una duplicazione di pagamento che doveva essere restituita alla USL.

3.3. La censura è infondata e neppure si confronta con la motivazione addotta dalla Corte territoriale, essenzialmente basata sulla remunerazione integrale della prestazione del libero professionista da parte del paziente, con conseguente difetto di un titolo valido di pagamento del sanitario da parte della Casa di Cura e, tantomeno, per il rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale di una prestazione già totalmente pagata dal privato.

Inoltre la ricorrente non indica il contenuto della clausola convenzionale che, a suo dire, permetterebbe di ritenere dovuto il rimborso del compenso pagato al professionista in duplicazione di quello già corrisposto, integralmente, dal paziente.

3.4. Nella seconda parte del motivo la ricorrente argomenta sulla sua buona fede e nega qualsiasi proprio arricchimento ai danni della Azienda USL, argomentando da un passaggio della relazione del Consulente tecnico secondo il quale la Casa di Cura avrebbe corrisposto al professionista compensi molto superiori a quelli che essa avrebbe sostenuto avvalendosi di un medico strutturato e a tempo pieno.

La censura è del tutto eccentrica rispetto alla motivazione della sentenza impugnata, che non ha formulato alcun riferimento al passaggio citato della relazione peritale, che è stata invece presa in considerazione per l’accertamento dei compensi ricevuti dal prof. G. in duplicazione di quelli ricevuti dai singoli pazienti.

L’argomentazione critica non attinge la ratio del provvedimento impugnato, che ha dato rilievo al fatto che la Casa di Cura avesse chiesto e ottenuto il rimborso di compensi al professionista già interamente retribuito dal paziente privato.

4. Con il terzo motivo la Casa di Cura ricorrente deduce in subordine violazione di legge con riferimento all’art. 132 c.p.c. e all’omessa motivazione.

4.1. Sarebbe del tutto irrilevante – secondo la ricorrente – sia il diverso rapporto, peraltro ignoto alla Casa di Cura, intercorrente fra paziente e sanitario, sia la remunerazione corrisposta dal primo al secondo, remunerazione riconosciuta peraltro ininfluente dalla stessa Corte di appello nel caso che non fosse stata integrale.

4.2. La censura è infondata nella sua prima parte laddove si fonda su di una circostanza di fatto – l’ignoranza da parte della Casa di Cura dei rapporti economici fra paziente privato e libero professionista – in flagrante contrasto con il diverso accertamento compiuto dalla Corte di appello (pag. 6, primo paragrafo), secondo cui la Casa di Cura era in possesso delle dichiarazioni sottoscritte dal paziente nell’86% dei casi.

4.3. La censura è inammissibile nella parte in cui si rivolge all’affermazione della Corte di appello che non escludeva il diritto al rimborso nel caso in cui il pagamento del paziente al professionista non fosse stato integrale, mero obiter dictum, privo di rilevanza decisoria per la semplice e dirimente considerazione che la Corte di appello ha ravvisato l’indebito nei casi in cui il pagamento era stato integrale.

5. Con il quarto motivo subordinato la ricorrente deduce violazione di legge ex artt. 1362,1363 e 1366 c.c., con riferimento alla motivazione con cui era stata rigettata la sua domanda riconvenzionale, ritenuta coperta dalla transazione del 2001, nonostante l’espressa esclusione ivi pattuita delle problematiche relative alle prestazioni effettuate presso la Casa di Cura da sanitari in regime libero professionale.

5.1. Il motivo presenta profili di inammissibilità e infondatezza.

5.2. Come ancora recentemente riaffermato da questa Corte (Sez. 2, 25/11/2019 n. 30686), la denunzia della violazione dei canoni legali in materia d’interpretazione del contratto non può costituire lo schermo, attraverso il quale sottoporre impropriamente al giudizio di legittimità valutazioni di esclusivo merito.

Non è quindi certamente sufficiente la mera enunciazione della pretesa violazione di legge, volta a rivendicare il risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, ma è necessario, per contro, individuare puntualmente e specificamente il canone ermeneutico violato, correlato al materiale probatorio acquisito.

L’opera dell’interprete mira a determinare una realtà storica ed obiettiva, ossia la volontà delle parti espressa nel contratto, e pertanto costituisce accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 c.c. e segg., oltre che per vizi di motivazione nella loro applicazione. Perciò, per far valere la violazione di legge, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali asseritamente violati; di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, non è idonea la mera critica del convincimento espresso nella sentenza impugnata mediante la mera contrapposizione d’una difforme interpretazione, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex multis, Sez. 3, n. 13603 del 21/05/2019, Rv. 653922 – 01; Sez. 3, n. 11254 del 10/05/2018, Rv. 648602 – 01; Sez. 1, n. 29111 del 05/12/2017, Rv. 646340 – 01; Sez. 3, n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 – 01; Sez. 1, n. 27136 del 15/11/2017, Rv. 646063 – 02; Sez. 2, n. 18587, 29/10/2012; Sez. 6-3, n. 2988, 7/2/2013).

5.3. In ogni caso, la stessa impostazione della deduzione da parte della Casa di Cura non regge, perchè si limita a sottolineare che la transazione del 2001 faceva salve le problematiche relative alle prestazioni effettuate da sanitari, strutturati e non, in regime libero professionale e le azioni già intraprese tra le parti, assunto questo per nulla contraddetto dalla decisione impugnata.

Invece la ricorrente vorrebbe riesumare i crediti pregressi (per DRG non versati per il raggiungimento dei tetti finanziari pro tempore vigenti), coperti dalla transazione, per opporli in compensazione con le pretese oggetto di controversia in questa sede, pacificamente non coperte dalla transazione.

6. Con il primo motivo di ricorso incidentale, diretto contro la pronuncia in sede rescissoria, l’Azienda USL (OMISSIS) denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, con violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; lamenta altresì motivazione meramente apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile e contraddittoria, per aver la Corte di appello ritenuto immuni da censure gli accertamenti e criteri seguiti dal Consulente tecnico e per aver disatteso la Delib. dell’Azienda USL n. 408 del 2001, dichiarata legittima inter partes dal Consiglio di Stato in favore della pubblicazione ministeriale del 1997, considerata più affidabile.

6.1. La ricorrente incidentale lamenta omesso esame di un fatto decisivo (che deve essere un fatto storico), neppure individuato con precisione (parrebbero gli atti del procedimento penale alla stregua di quanto esposto a pagina 33, secondo capoverso) e tantomeno prospettato e dimostrato come decisivo.

Manca infatti del tutto una argomentazione volta a dimostrare come tali elementi potessero inficiare il procedimento seguito dal consulente e recepito dalla Corte territoriale per individuare i compensi pagati al prof. G..

6.2. Non merita miglior sorte la seconda parte del motivo con cui la ricorrente incidentale critica la decisione della Corte di appello di basarsi sulla pubblicazione del Ministero della Sanità dell’ottobre 1997, come suggerito dal C.t.u., e non sulla Delib. Direttore generale dell’Azienda USL n. 409 del 2001, pur dichiarata legittima inter partes dal Consiglio di Stato.

La Corte di appello non ha affatto affermato che tale deliberazione non fosse legittima, così infrangendo il giudicato invocato, e ha semplicemente sostenuto, così avallando il parere del proprio consulente, che i valori riportati nel primo documento fossero più adeguati ratione temporis per la valorizzazione delle prestazioni del sanitario il cui compenso doveva essere restituito per la ravvisata duplicazione, scorporandolo dal DRG.

La censura poi non è neppure autosufficiente perchè non trascrive il contenuto della Delib. invocata e non dimostra come e perchè avrebbe dovuto essere ritenuta applicabile alla fattispecie e si riversa ampiamente nel merito per chiedere alla Corte di legittimità una rivalutazione del fatto.

6.3. Non appare agevolmente comprensibile l’ultima parte del motivo laddove, apparentemente in via consequenziale, la ricorrente incidentale pretenderebbe di desumere dal diverso criterio proposto (che comunque comporterebbe, a suo dire, un abbattimento del 35%) la fondatezza di un suo credito restitutorio molto superiore e pari Euro 4.832.307,56 (Lire 9.356.652.162) corrispondente alle somme individuate dai NAS di Firenze, oltre a tutte le somme dovute per l’anno 2000 con un ragionamento apodittico, privo di ogni esplicazione argomentativa e di collegamenti più precisi alla vicenda intercorsa, sostanziale e processuale, e per giunta non autosufficiente nel riferimento al documento richiamato.

Il motivo deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

7. Con il secondo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente, in subordine, assume che dovevano essere considerate illegittime le statuizioni rese in sede rescindente, per violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c..

7.1. Secondo la USL (OMISSIS), la Corte di appello era pervenuta alla pronuncia di nullità solamente attraverso un errato iter logico giuridico e una motivazione erronea, ravvisando una omessa pronuncia degli arbitri, in realtà insussistente perchè l’eccezione al proposito sollevata era stata implicitamente respinta con l’accoglimento di una tesi incompatibile; infatti il Collegio arbitrale, accogliendo la domanda, aveva ritenuto la propria competenza.

Invece – prosegue la ricorrente incidentale – la clausola “si estendeva senz’altro alla ripetizione di quanto indebitamente corrisposto in eccedenza rispetto alla convenzione, dal momento che la domanda di ripetizione involgeva per l’appunto la definizione di quanto dovuto in forza della convenzione medesima” (controricorso, pag. 40-41).

7.2. Poichè è stato respinto il ricorso principale e poichè viene respinto anche il primo motivo di ricorso incidentale avverso la pronuncia rescissoria, sussistono le condizioni fissate dalla ricorrente incidentale per l’esame del suo secondo motivo di ricorso avverso la pronuncia rescindente.

7.3. La prima parte della doglianza non è specifica e pertinente alla decisione impugnata.

La Corte di appello non ha mai parlato di omessa pronuncia, nè tantomeno di violazione dell’art. 112 c.p.c., pur affermando (pag.4, primo paragrafo) che l’eccezione della esorbitanza dalla clausola compromissoria delle questioni rimesse alla valutazione degli arbitri non era per nulla stata esaminata da costoro e ha invece ragionato proprio nella direttrice prospettata dalla ricorrente incidentale del rigetto tacito ed implicito dell’eccezione inequivocabilmente sancito dalla pronuncia resa nel merito delle pretese.

La Corte romana infatti ha decretato l’incompetenza degli arbitri e l’esorbitanza della lite rispetto alla clausola, valutandone il contenuto di quello che ha chiamato “patto commissorio” (rectius: compromissorio) e analizzando il tenore della clausola.

7.4. Con la seconda parte del motivo la ricorrente incidentale censura la tesi accolta dalla Corte di appello, limitandosi a contrapporre il risultato dell’operazione ermeneutica auspicato, senza affrontare, e tantomeno inficiare, i passaggi logici del procedimento interpretativo seguito nella sentenza impugnata, volto a circoscrivere in modo specifico il contenuto della Convenzione del 1997 (numero massimo di ricoveri e dimissioni; ammontare massimo della copertura finanziaria; tariffe per il pagamento delle prestazioni) e conseguentemente la portata della clausola riferibile alle controversie insorte per la sua applicazione.

Tantomeno la ricorrente riporta il contenuto della Convenzione del 1997 in modo tale da sorreggere la propria tesi della massima capacità inclusiva.

7.5. In realtà, la ricorrente incidentale propone una censura riversata nel merito nei confronti dell’operazione interpretativa di una clausola contrattuale, insindacabile in sede di legittimità, senza neppure prospettare una violazione dei criteri legali di interpretazione del contrato fissati dalla legge e supponendo incongruamente una inesistente violazione dell’art. 829 c.p.c., per aver la Corte di appello interpretato la clausola compromissoria e il testo della convenzione in un modo meno ampio di quello auspicato.

Il motivo deve essere perciò dichiarato inammissibile.

8. Il rigetto dell’avversaria impugnazione “dà la stura” secondo la ricorrente incidentale (pag. 41, cpv.) – alla riproposizione, quali mezzi di ricorso per cassazione, dei motivi di impugnazione del lodo erroneamente ritenuti assorbiti dalla Corte di appello, tutti proposti per violazione e falsa applicazione di norme di diritto.

8.1. I motivi di impugnazione del lodo proposti dall’Azienda USL (OMISSIS) per violazione e falsa applicazione di norme di diritto sono stati ritenuti assorbiti del tutto correttamente dalla Corte di appello (pag. 5, secondo capoverso), visto che essa ha ritenuto di annullare i lodi, per esorbitanza dalla convenzione arbitrale

8.2. In realtà e in sostanza, più che la ineccepibile decisione di assorbimento, la ricorrente sembra voler sostenere che la Corte di appello non avrebbe dovuto emettere la pronuncia rescindente sollecitata dalla controparte per esorbitanza dal contenuto della convenzione arbitrale (come ha argomentato con il suo secondo motivo di ricorso incidentale) e avrebbe quindi dovuto esaminare i suoi motivi di impugnazione circa il contenuto del lodo.

8.3. Tuttavia tanto il primo motivo di ricorso principale, quanto il suo secondo motivo di ricorso incidentale, diretto avverso la pronuncia rescindente (il secondo) sono stati respinti o dichiarati inammissibili.

8.4. Questi ulteriori tre motivi (terzo, quarto e quinto, riassunti nei p. 3.3.1.,3.3.2. e 3.3.3. dell’espositiva) sono diretti contro il lodo definitivo che è stato però annullato dalla Corte di appello con statuizione rescindente, rimasta indenne dal ricorso principale e dallo stesso secondo motivo del ricorso incidentale.

Per questa ragione i motivi contengono critiche inammissibili perchè non pertinenti e del tutto fuori bersaglio, rivolte come sono contro la decisione arbitrale annullata e non contro la decisione rescissoria della Corte capitolina.

Vedasi, quanto al terzo motivo, pag. 44, primo, secondo e terzo capoverso, pag. 45 primo, secondo e terzo capoverso; quanto al quarto motivo, pag. 48 penultimo e ultimo capoverso, pag. 49, primo capoverso del controricorso; quanto al quinto motivo, pag. 53, secondo, terzo e quarto capoverso, pag. 54, primo, terzo e quinto capoverso, pag. 55, primo, secondo, terzo e quarto capoverso, pag. 56, primo, secondo e terzo capoverso, pag. 58, ultimo capoverso, pag. 59, primo paragrafo.

I motivi in parola, del resto trasposti “di peso” dall’impugnazione incidentale ex art. 828 c.p.c., sono rivolti contro il lodo e non contro la decisione rescissoria della Corte di appello (pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata) e non possono essere automaticamente rielaborati da questa Corte di legittimità avverso le statuizioni resa dal giudice in sede rescissoria, ancorchè analoga nel risultato a quella contenuta nel lodo.

9. Da tutto quanto esposto consegue il complessivo rigetto del ricorso principale, proposto sulla base di motivi in parte inammissibili e in parte infondati, e la dichiarazione di inammissibilità quello incidentale, a spese compensate tra le parti, in ragione della soccombenza reciproca.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2021

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