Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8089 del 02/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 02/04/2010, (ud. 03/02/2010, dep. 02/04/2010), n.8089

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

LA TECNICA DI ROBERTO TORALBO & C. S.N.C., in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

PARIOLI 43 presso lo studio dell’Avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO,

che la rappresenta e difende unitamente agli Avvocati MARONGIU GIANNI

e ODINO LUIGI giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GENOVA;

– intimato –

e sul ricorso n. 5782/2007 proposto da:

COMUNE DI GENOVA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4 presso lo studio

dell’Avvocato PAFUNDI GABRIELE, che lo rappresenta e difende

unitamente all’Avvocato ODONE EDDA giusta delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

LA TECNICA DI ROBERTO TORALBO & C. S.N.C., in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

PARIOLI 43 presso lo studio dell’Avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO,

che la rappresenta e difende unitamente agli Avvocati MARONGIU GIANNI

e ODINO LUIGI giusta procura in calce al ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 72/2005 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di GENOVA, depositata il 14/11/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

03/02/2010 dal Consigliere Dott. MARIGLIANO Eugenia;

udito per il resistente l’Avvocato GABRIELE PAFUNDI, che si riporta

agli scritti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del

ricorso principale e di quello incidentale.

 

Fatto

La societa’ La Tecnica di Roberto Toralbo & C. s.n.c., esercente l’attivita’ produttiva di semilavorati, quali serramenti in metallo, alluminio ecc, e, pertanto, produttrice di rifiuti speciali, impugnava innanzi alla C.T.P. di Genova l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), per la TA.R.S.U relativa all’anno 2002 con riferimento ad un locale adibito a magazzino di mq. 65, sostenendo l’intassabilita’ delle superfici ove vengono prodotti rifiuti speciali, allo smaltimento del quale provvedeva la societa’ a proprie cure e spese e che la tariffa era stata impugnata innanzi al T.A.R. della Liguria.

Lamentava inoltre, l’omessa applicazione della riduzione del 30% ex art. 11, comma 3, lett. d) del Regolamento comunale n. 34/2001 e la mancanza o l’insufficienza di motivazione dell’atto. Resisteva il Comune.

La C.T.P. respingeva il ricorso.

La societa’ proponeva appello, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado Si costituiva il Comune, eccependo l’inammissibilita’ del gravame e contrastando quanto argomentato dall’appellante.

La C.T.R. respingeva il gravame, premettendo che, nella specie, la controversia verteva su un’area destinata a magazzino;

conseguentemente non era sostenibile che si eccepisse la specialita’ dei rifiuti, trattandosi di rifiuti ordinari o assimilati agli urbani e che comunque era provato che la stessa produce rifiuti speciali che rispondevano ai criteri quantitativi di cui all’art. 5 del Regolamento comunale. Respingeva la richiesta in ordine alla riduzione del 30% della TA.R.S.U., stante la mancanza della relativa istanza.

Avverso detta decisione la societa’ La Tecnica propone ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso e ricorso incidentale, articolato in unico motivo il Comune. La societa’ resiste a detto atto con controricorso.

Diritto

Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 62, 65 e 69 per sopravvenuto annullamento della tariffa TA.R.S.U. per il 2002 a seguito delle sentenze del T.A.R. Liguria, che, a giudizio di parte ricorrente, travolgerebbe l’intera pretesa, non potendosi nella specie applicare la tariffa di anni precedenti in mancanza di specifica previsione legislativa, dato che l’ultrattivita’ delle tariffe e’ prevista solo in caso di inerzia del Comune e non a seguito di annullamento degli atti amministrativi che la dispongono, ne’ infine nella specie era stata introdotta domanda giudiziale in merito ad una diversa determinazione del quantum.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 2 bis, e L. n. 212 del 2000, art. 7 nonche’ omessa pronuncia e/o omessa motivazione in quanto l’avviso di accertamento non conteneva una motivazione comprensibile per la contribuente facendo la stessa semplicemente generico riferimento ad un contenzioso tra le due parti e la C.T.R. sul punto non si e’ pronunciata.

Con la terza censura si evidenzia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62 e L. n. 22 del 1999, art. 21 e, premesso che questa Corte, con le sentt. nn. 18101 e 18106 del 2004, avrebbe statuito gia’ nei confronti delle stesse parti con efficacia di giudicato, l’intassabilita’ dei locali della societa’ adibiti all’attivita’ di produzione ed ad uso di magazzino, si sostiene la non assoggettabilita’ alla tassa de qua, come statuito in quelle decisioni, per il produttore di rifiuti speciali, compresi nelle tabelle allegate al D.Lgs. n. 22 come nella specie quando questi elimina a propria cura detti rifiuti, restando irrilevante il fatto che detto smaltimento sia fatto a costo zero.

Si contesta, inoltre, la facolta’ del Comune di assimilare i rifiuti speciali a quelli urbani, sostenendo che la Delib. Comune di Genova 9 luglio 1985, art. 3507 con la quale detto ente aveva provveduto a dichiarare l’assimilabilita’ dei rifiuti speciali, successivamente individuati con Regolamento approvato dal consiglio comunale l’11.7.1994, era illegittima in quanto non aveva seguito i criteri previsti dal D.P.R. n. 915 del 1982, artt. 2, 4 e 5 ed al sopravvenuto D.Lgs. n. 22 del 1997 relativi alla qualita’ e quantita’ dei rifiuti speciali da smaltire e volti a garantire la tutela della salute umana e dell’ambiente, mentre tale atto era stato emesso solo per ragioni di bilancio.

Con l’ultimo motivo si lamenta l’omessa o insufficiente motivazione per avere sia la C.T.P. che la C.T.R. omesso di pronunciarsi in ordine all’espressa richiesta in ambedue i gradi di giudizio di estendere l’esenzione anche al locale de qua, che, pur essendo destinato a magazzino, era funzionalmente unito all’area produttiva, costituendo spazio di stoccaggio del semilavorato al termine della lavorazione; la C.T.R. aveva solo apoditticamente affermato che nel locale magazzino non aveva luogo la produzione di rifiuti speciali.

Con il ricorso incidentale il Comune lamenta che la C.T.R. non abbia dichiarato inammissibile l’appello per essere stato lo stesso formulato solo per relationem al ricorso introduttivo. Lamenta, inoltre, che, malgrado il fatto che il Sindaco avesse mutato il domicilio eletto, rilasciando procura speciale presso il nuovo difensore, il presente ricorso fosse stato comunque notificato presso l’Ufficio della Direzione tributi.

E’ necessario, pregiudizialmente, riunire il ricorso n. 5782/2007 a quello n. 1516/2007, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

Occorre esaminare preliminarmente le censure avanzate con il ricorso incidentale in quanto logicamente preordinate all’esame dei motivi del ricorso principale, dette censure sono infondate, essendo state anche formulate in modo del tutto generico.

Dall’esame degli atti permesso a questa Corte trattandosi di denuncia di vizio in procedendo si evince che invero la societa’ appellante aveva introdotto i motivi di appello richiamandosi alla numerazione tenuta per le censure avanzate con il ricorso introduttivo, ma rendendo comprensibili le doglianze per le quali proponeva l’impugnativa, per come peraltro si rileva da quanto risulta esposto nella sentenza di secondo grado, dal cui testo si deduce che la C.T.R. ha e seguito la valutazione di sufficiente specificita’ dei motivi (valutazione di sua competenza) (cfr., cass. civ. sentt. nn. 2211 e 23469 del 2007); conseguentemente detta eccezione e’ da ritenere infondata, risultando l’atto di appello conforme al disposto dell’art. 342 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53.

La seconda censura e’ fondata in quanto la notificazione degli atti devono essere eseguiti presso l’ultimo domicilio eletto del soggetto destinatario, tuttavi’a tale nullita’ puo’ essere sanata a seguito del raggiungimento dello scopo e, nella specie, essendosi la parte intimata ritualmente costituita in giudizio, malgrado che il ricorso per cassazione sia stato notificato presso l’Ufficio tributi del Comune e non nel domicilio eletto presso il nuovo difensore, il vizio dell’errata notifica risulta sanato.

Il primo motivo del ricorso principale e’ infondato.

L’eventuale annullamento della tariffa non incide assolutamente sull’an dell’obbligazione fiscale, ma unicamente sul quantum;

pertanto sulla base di tale considerazione non puo’ addivenirsi all’annullamento dell’avviso di accertamento come richiesto dalla societa’, ne’ incide su tale decisione la considerazione che in caso di annullamento della tariffa non potrebbe applicarsi la tariffa degli anni precedenti in mancanza di specifica previsione legislativa, dato che l’ultrattivita’ delle tariffe e’ prevista solo nell’ipotesi di inerzia del Comune e non a seguito di annullamento degli atti amministrativi che la dispongono. Questa Corte, pero’, in una recente pronuncia n. 5722 del 2007 ha statuito che dal testo del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 69 puo’ ricavarsi un principio di carattere generale secondo il quale la conseguenza di eventuale illegittimita’ di una delibera riguardante le tariffe e’ non gia’ la liberazione del contribuente da qualsiasi obbligo di pagamento per il servizio prestatogli di raccolta dei rifiuti, bensi’ l’applicazione della tariffa vigente in precedenza.

Il secondo motivo e’ inammissibile per carenza di autosufficienza, infatti, la societa’ lamenta il vizio di motivazione in relazione all’avviso di accertamento, ma parte ricorrente ha omesso di trascrivere nel ricorso il testo di quella parte dell’atto investita dalla doglianza, non permettendo cosi’ a questa Corte di verificare la sussistenza del vizio dedotto, atteso che l’avviso di accertamento non e’ atto processuale, bensi’ amministrativo, il cui esame diretto non e’ consentito in questa sede di legittimita’.

Peraltro tale doglianza e’ anche infondata in quanto la C.T.R. sembra avere esaminato la fattispecie sotto il profilo della produzione di rifiuti nei locali adibiti a magazzino.

Il terzo motivo e’ infondato.

Sostiene sostanzialmente parte ricorrente che nel locale sottoposto ad accertamento si produrrebbero rifiuti speciali terrosi, come rottami di ferro e di altri metalli e che, pertanto, non possono essere assimilati a quelli urbani, tenuto anche conto de fatto che il Comune di Genova con la Delib. 9 luglio 1985, art. 3507 aveva provveduto a dichiarare l’assimilabiliia’ dei rifiuti speciali, successivamente individuati con Regolamento approvato dal consiglio comunale l’11.7.1994, senza seguire i criteri previsti dal D.P.R. n. 915 del 1982, artt. 2, 4 e 5 e dal sopravvenuto D.Lgs. n. 22 del 1997 relativi alla qualita’ e quantita’ dei rifiuti speciali da smaltire e volti a garantire la tutela della salute umana e dell’ambiente, mentre tale atto era stato emesso solo per ragioni di bilancio.

Occorre premettere che le disposizioni relative allo smaltimento dei rifiuti hanno subito nel tempo numerose modifiche legislative; cosi’ al fine di attuare le direttive CEE 75/442, 76/403 e 78/319 veniva emanato, in base alla Legge Delega 9 febbraio 1982, n. 42 il D.P.R. 10 settembre 982, n. 915, che all’art 8 classificava i rifiuti in urbani, speciali, tossici e nocivi, definendo, al comma 4, punto 1, come rifiuti speciali “i residui derivanti da lavorazioni industriali; quelli derivanti da attivita’ agricole, artigianali, commerciali e di servizi che, per quantita’ o qualita’, non siano dichiarati assimilabili ai rifiuti urbani”, al cui smaltimento (stesso D.P.R., art. 3, comma 3) erano tenuti a provvedere a proprie spese i rispettivi produttori, direttamente o attraverso imprese o enti autorizzati dalla regione, o mediante conferimento ai gestori del servizio pubblico con i quali fosse stata stipulata apposita convenzione.

Il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 60 equiparava ai rifiuti urbani i rifiuti derivanti da attivita’ artigianali, commerciali e di servizi che fossero dichiarati assimilabili ai rifiuti urbani interni, con apposito regolamento, dai comuni, mantenendo il regime convenzionale per i rifiuti speciali non equiparabili.

Su tale impianto normativo interveniva la L. 22 febbraio 1994, n. 146, il cui art. 39 abrogava il citato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 60 disponendo l’assimilazione ope legis ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali “indicati al n. 1, punto 1.1.1, lettera a), della Delib. 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale di cui al D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 5 nonche’ gli accessori per l’informatica”. A sua volta, tale delibera aveva fatto riferimento ai punti 1, 3, 4 e 5 del ricordato D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 2, comma 4 (residui derivanti da lavorazioni industriali, da attivita’ agricole, artigianali, commerciali e di servizi, che per quantita’ e qualita’ non fossero inizialmente assimilabili ai rifiuti urbani; materiali provenienti da demolizioni, costruzioni e scavi;

macchinari e apparecchiature deteriorati o obsoleti; veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso; residui dell’attivita’ di trattamento dei rifiuti).

Venivano cosi’ assimilati ai rifiuti urbani sostanzialmente tutti i rifiuti speciali, esclusi quelli ospedalieri e quelli tossici e nocivi di cui al D.P.R. n. 915 del 1982, art. 2, comma 4, punto 2, e comma 5 (non incisi, come visto, dalla delibera interministeriale). A seguito di tale nuovo regime non poteva interferire l’apprezzamento discrezionale dei Comuni circa l’assimilabilita’ o meno dei rifiuti speciali, riferendosi l’auto smaltimento anche in regime di convenzione, menzionato alla L. n. 146 del 1994, art. 39, n. 2 esclusivamente alle ultime tre categorie predette.

La L. n. 146 del 1994, art. 39 veniva successivamente abrogato da parte della L. 24 aprile 1998, n. 128, art. 17, comma 3 entrata in vigore il 22 maggio 1998, che ha reso operativo il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (cd. Decreto Ronchi) e, conseguentemente, reintrodotto (vedi artt. 7 e 21 di detto decreto) la necessita’ di un provvedimento dell’ente impositore di assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali derivanti da attivita’ commerciali, industriali e di servizi, tra le quali e’ astrattamente iscrivibile quella esercitata dalla contribuente, per come risulta anche dall’impugnata sentenza.

Tuttavia tale ultimo decreto legislativo all’art. 21, comma 2, dispone che “I comuni disciplinano la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che… stabiliscono in particolare:…..lett. g:

l’assimilazione per qualita’ e quantita’ dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell’art. 18, comma 2, lett. d).” e tale disposizione sancisce le competenze dello Stato ed, in particolare, per quanto rileva nel presente giudizio, al comma 2, lett. g, deferisce all’autorita’ statale “la determinazione dei criteri qualitativi e quali – quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani.”, per cui per stabilire detti criteri bisogna rifarsi a quanto stabilito nel n. 1, punto 1.1.1, lettera a), della Delib. 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale di cui al D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 5 tuttora in vigore.

Tutto cio’ premesso, poiche’ le delibere del Comune di Genova non hanno fatto riferimento ai criteri stabiliti dalla legge, ma l’assimilazione dei rifiuti e’ avvenuta senza alcuna limitazione, senza tener conto dell’effettiva composizione di determinati scarti industriali, come quelli prodotti dalla societa’ La Tecnica, costituiti da materiali di risulta di spezzoni di ferro o metallici, e senza valutare il contenuto dell’elenco della delibera del Comitato Interministeriale 27.7.1984 redatto dal Comitato interministeriale di cui al D.P.R. n. 915 del 1983 (Criteri generali per l’assimilabilita’ dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani), deve affermarsi che, laddove si tratti di rifiuti speciali che non possono essere assimilati a quelli urbani per non essere compresi nell’elenco di cui alla piu’ volte citata delibera interministeriale, sussiste l’intassabilita’ prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, prima parte.

Tuttavia, nella specie, non si verte nell’ipotesi di locale adibito a laboratorio e quindi suscettibile di produrre rifiuti speciali, ma e’, invece, incontroverso tra le parti che si tratti di un locale ad uso magazzino, dove non si svolge il ciclo industriale, per cui si puo’ senz’altro affermare che i rifiuti prodotti in detta area siano assimilabili a quelli urbani per come questa sezione ha gia’ ritenuto, con la recentissima sentenza n. 23392 del 2009, con la quale e’ stato ribadito che i locali e le aree destinati all’immagazzinamento rientrano nella previsione di generale tassabilita’, a qualsiasi uso siano destinati, atteso che il collegamento funzionale con l’area produttiva non e’ stata prevista come causa di esclusione dalla tassazione.

Tutto cio’ premesso, il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno respinti. Stante la reciproca soccombenza, si ritiene equo compensare le spese di questa fase di giudizio.

PQM

LA CORTE Riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa le relative spese.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 3 febbraio 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

 

 

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