Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8088 del 23/03/2021

Cassazione civile sez. I, 23/03/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 23/03/2021), n.8088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3769/2018 proposto da:

Agenzia di Tutela della Salute (ATS) della Brianza, in persona del

Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Via di Ripetta n. 142, presso lo studio dell’Avvocato Giuseppe

Franco Ferrari, che la rappresenta e difende giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.B. Mangioni Hospital S.p.a. (ora G.B. Mangioni Hospital S.r.l.),

Regione Lombardia;

– intimate –

avverso la sentenza n. 3599/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

pubblicata il 2/8/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

3/2/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Lecco, con sentenza n. 322/2016, disapplicate le deliberazioni del direttore generale dell’ASL di Lecco n. 251, 252 e 253 del 5 giugno 2013 e 219 del 13 maggio 2014, dichiarava la prescrizione del diritto di credito vantato dalla medesima ASL a titolo di recupero per le verifiche del nucleo operativo di controllo (NOC) compiute negli anni 1998, 2000 e 2001 presso la casa di cura G.B. Mangioni Hospital s.p.a., condannando l’Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Lecco a restituire alla medesima struttura sanitaria la somma di Euro 247.091,85.

2. La Corte d’appello di Milano, con sentenza pubblicata in data 2 agosto 2017, rigettava l’impugnazione proposta dall’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) della Brianza, quale ente successore e incorporante l’ex ASL di Lecco.

La Corte distrettuale, in particolare, condivideva la decisione del primo giudice in merito all’infondatezza dell’eccezione preliminare di estinzione del processo L. n. 69 del 2009, ex art. 59, in quanto la parte attrice, nell’ambito del giudizio di accertamento introdotto davanti all’autorità giudiziaria ordinaria dopo che il T.A.R. della Lombardia aveva declinato la propria giurisdizione, aveva esposto i fatti e i motivi di diritto posti a base della propria domanda, trascrivendo il contenuto del ricorso amministrativo, e aveva poi rimodulato le proprie conclusioni in coerenza con il diverso contesto processuale.

La Corte di merito, una volta precisato che competeva al giudice ordinario il potere di accertamento incidenter tantum dell’illegittimità degli atti amministrativi e di disapplicazione degli stessi anche d’ufficio, individuava il dies a quo del recupero delle somme asseritamente versate in eccesso nel momento di completamento dei controlli NOC (o al più all’avvenuta liquidazione del saldo delle prestazioni per ciascuna annualità di riferimento); di conseguenza riteneva prescritto il diritto di recupero di eccedenze eventualmente versate, in assenza di alcun atto interruttivo della prescrizione, tali non potendosi considerare le riserve contenute nelle circolari della direzione generale della Regione Lombardia e nelle delibere di liquidazione del saldo, e in considerazione del fatto che la normativa vigente all’epoca degli atti di liquidazione conteneva elementi sufficienti a determinare l’oggetto del rapporto di credito.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia di Tutela della Salute della Brianza prospettando tre motivi di doglianza.

Le intimate G.B. Mangioni Hospital s.p.a. (ora G.B. Mangioni Hospital s.r.l.) e Regione Lombardia non hanno svolto difese.

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 3,24 e 97 Cost., L. n. 241 del 1990, artt. 1 e 3, L. n. 69 del 2009, art. 59, D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 11, art. 125 disp. att. c.p.c., artt. 163 e 164 c.p.c.: l’introduzione del giudizio avanti al giudice ordinario a seguito della statuizione del T.A.R. che aveva disconosciuto la giurisdizione amministrativa aveva comportato il passaggio da un regime prevalentemente impugnatorio a un regime esclusivamente cognitivo del rapporto, con la conseguente necessità che la domanda riproposta fosse ragguagliata alla regola del giudice innanzi al quale il processo veniva a continuare e al relativo rito.

La mera trascrizione del ricorso già introdotto innanzi al T.A.R. all’interno dell’atto di citazione non era stata idonea – secondo la ricorrente – a rimodulare la domanda al nuovo contesto processuale, non valendo a tale scopo le domande di accertamento, condanna alla restituzione e disapplicazione inserite in calce, dato che le stesse non trovavano corrispondenza nel corpo dell’atto.

L’irrituale prosecuzione del giudizio in sede ordinaria aveva così determinato la sua estinzione, ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 4.

5. Il motivo non è fondato.

La Corte di merito, preoccupandosi di valutare le modalità con cui era avvenuto il passaggio da un processo di tipo prevalentemente impugnatorio ad uno esclusivamente di cognizione sul rapporto, ha correttamente verificato se l’atto di prosecuzione avesse assunto la forma di una riproposizione della domanda a cui si unisse il necessario adattamento del petitum.

In tesi di parte ricorrente il petitum, riadattato, risulterebbe “disallineato” rispetto al testo dell’atto, meramente riprodotto, e ciò comprometterebbe la possibilità di evincere chiaramente il contenuto della domanda presentata e l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della stessa.

Ora, se la causa petendi si risolve nel riferimento a quei fatti che siano affermati e allegati come costitutivi del diritto fatto valere, nessun adeguamento, oltre che del petitum, poteva essere preteso anche nell’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda ove, al di là della tecnica redazionale prescelta (costituita dalla trascrizione integrale del testo del ricorso al T.A.R.), fosse comunque riconoscibile – nella sostanza ed a prescindere dalla forma, “in considerazione dell’identicità della res litigiosa del giudizio amministrativo” – il fatto costitutivo della pretesa.

Tale riconoscibilità, unita all’opportuno riadattamento delle conclusioni in sintonia con la natura cognitiva del processo, fa sì che non si presti a censura la valutazione della Corte di merito relativa alla ritualità della riproposizione della domanda.

5. Il secondo mezzo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 3,24 e 97 Cost., L. n. 241 del 1990, artt. 1 e 3, L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, all. E, artt. 99,100,112,163,164 e 183 c.p.c., L. n. 69 del 2009, art. 59,D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 11 e art. 125 disp. att. c.p.c.: la compagine attrice – assume il ricorrente all’interno del proprio atto di citazione in riassunzione aveva limitato la propria domanda di disapplicazione alle deliberazioni e ai soli atti già oggetto dell’impugnazione davanti al T.A.R., senza estendere la richiesta alla deliberazione n. 219/2014 ed alla nota di comunicazione dei saldi per l’anno 2013, di modo che rimaneva preclusa ogni contestazione in merito alla legittimità dei medesimi.

Era infatti necessaria – a mente della L. n. 2248 del 1865, art. 4, all. E – la deduzione nell’oggetto del giudizio che il diritto fosse stato pretesamente leso da tali atti dell’autorità amministrativa.

6. Il motivo non è fondato.

L’odierna ricorrente vorrebbe far dipendere il potere di disapplicazione di un atto amministrativo da parte dell’autorità giudiziaria dall’espressa deduzione all’interno della res controversa dell’atto amministrativo pretesamente lesivo del diritto in contesa, pena il venir meno del potere riconosciuto dalla L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E.

La norma invocata, tuttavia, non introduce un simile onere formale tanto meno al fine di limitare la regola di disapplicazione prevista dal successivo art. 5 -, ma stabilisce che il Tribunale si limiti “a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio”, intendendo così prevedere che il giudice debba arrestarsi alla pronuncia in ordine agli effetti dell’atto nei limiti della domanda, in modo che il contenuto delle sue statuizioni non possa valere oltre l’ambito della fattispecie portata alla sua cognizione.

Il potere di disapplicazione investe perciò tutti gli atti amministrativi che influiscano sulla res controversa e non siano conformi alla legge, a prescindere dalla loro espressa evocazione all’interno dell’atto introduttivo del giudizio (soprattutto ove si consideri che all’interno di un giudizio non impugnatorio ma di cognizione è il convenuto a far valere l’esistenza di un atto amministrativo al fine di paralizzare la pretesa attorea).

Quello che conta è che il giudice sia chiamato a conoscere non della disapplicazione di uno specifico atto, ma degli effetti di un atto amministrativo in relazione all’oggetto del giudizio.

E non vi è dubbio che in una lite in cui si pretenda il pagamento di una somma dovuta dall’amministrazione il giudice adito sia investito degli effetti di ogni atto amministrativo che tale diritto di credito intenda disconoscere (sotto forma vuoi di Delibera di procedere al recupero di somme versate in eccesso, vuoi di Delibera di realizzare tale recupero tramite compensazione).

7. Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata, a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., L. n. 241 del 1990, artt. 1 e 3, artt. 2934,2935,2936,2943,2945,2946,2948,2962 e 2963 c.c.: la Corte di merito ha erroneamente ritenuto – in tesi di parte ricorrente – che la prescrizione fosse decorsa dall’esaurimento dei controlli del nucleo operativo di controllo (NOC), ovvero dal momento della liquidazione del saldo delle prestazioni, senza considerare che la necessità di procedere al recupero era sorta solo all’esito delle verifiche ispettive della Guardia di Finanza, che si erano tenute negli anni 2012 e 2013. Per di più solo nel 2009 erano intervenute specifiche precisazioni da parte della Regione Lombardia volte a definire la corretta contabilizzazione degli effetti economici dei controlli compiuti dai NOC, di modo che solo dall’emanazione delle indicazioni relative al recupero per gli anni pregressi potevano essere fatti decorrere i termini prescrizionali.

I recuperi, riguardando provviste economiche pubbliche, dovevano inoltre considerarsi non soggetti nè a decadenza, nè a prescrizione. Infine, le regole di sistema licenziate dalla Regione Lombardia e susseguitesi in ogni anno solare avevano di fatto posto in differimento ogni successivo recupero da parte dell’azienda sanitaria in occasione degli acconti o dei saldi nell’ambito dei budget con le strutture di ricovero e cura accreditate, così come gli atti regionali via via adottati in materia di gestione del servizio sanitario avevano rinviato nel tempo la problematica della valorizzazione economica dei controlli compiuti dai NOC con ogni conseguente riserva di recupero, riserva di volta in volta espressamente richiamata nelle delibere della ex ASL di liquidazione dei saldi a favore della controparte.

Le note di comunicazione relative ai saldi, contenenti le riserve di recupero, dovevano quindi considerarsi dotate di efficacia interruttiva della prescrizione, in quanto a tali fini era sufficiente la chiara manifestazione di volontà del creditore di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto.

8. Il motivo risulta, nel suo complesso, infondato.

8.1 Il diritto dell’amministrazione al rimborso di un pagamento non dovuto, essendo regolato dalle comuni norme sui diritti di credito, è soggetto, in mancanza di disposizione specifiche, alla prescrizione ordinaria decennale, decorrente dal momento in cui il diritto può essere fatto valere.

8.2 L’art. 2935 c.c., nel prevedere che il diritto incominci a decorrere dal momento in cui può essere fatto valere, ha riguardo alla sola possibilità legale dell’esercizio del diritto (possibilità a cui ha correttamente inteso riferirsi la Corte di merito laddove ha evidenziato che “la normativa vigente all’epoca degli atti di liquidazione e al momento dei controlli compiuti dai NOC conteneva elementi sufficienti a determinare l’oggetto del rapporto di credito”), mentre non rileva l’impossibilità di fatto in cui venga a trovarsi il titolare del diritto.

In questa prospettiva la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente chiarito che l’impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c., è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, in relazione ai quali il successivo art. 2941 c.c., prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione della prescrizione, tra le quali, salva l’ipotesi di occultamento doloso del debito, non rientra l’ignoranza da parte del titolare del fatto generatore del suo diritto, nè il dubbio soggettivo sull’esistenza di tale diritto o il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento (Cass. 22072/2018, Cass. 19193/2018, Cass. 10828/2015).

Non si presta quindi a censure la mancata valorizzazione da parte della Corte d’appello delle verifiche ispettive compiute dalla Guardia di Finanza, non valendo ai fini dell’individuazione del termine di decorrenza della prescrizione il ritardo correlato alla necessità dell’accertamento del credito.

Allo stesso modo è corretta la mancata valorizzazione a tal fine delle indicazioni fornite dalla Direzione Generale Sanità nel 2009 sulle modalità di corretta contabilizzazione e recupero dei controlli compiuti dai NOC (a chiarimento del dubbio se tali recuperi dovessero essere o meno correlati e compensati con gli abbattimenti che le strutture accreditate dovevano subire nel caso di superamento dei tetti di spesa regionali, creando una duplicazione della penalizzazione), giacchè il dubbio soggettivo sull’esistenza del diritto di credito non influisce sul decorso della prescrizione.

8.3 Non si presta a censure neppure la constatazione della Corte di merito in ordine al fatto che i rinvii della valorizzazione economica dei controlli compiuti dai NOC e le riserve a questo scopo esplicitate, tanto negli atti della direzione generale sanità quanto negli atti della ASL, non avessero alcuna influenza sul decorso della prescrizione.

In vero secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 15714/2018) un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo).

Ne consegue, da un lato, che non è ravvisabile tale requisito in semplici sollecitazioni sfornite del carattere di intimazione ed espressa richiesta di adempimento al debitore, dall’altro che è priva di efficacia interruttiva la riserva, anche se contenuta in un atto scritto, di agire per il recupero degli effetti di controlli già effettuati e sulla base di determinazioni da assumersi da parte della Regione, trattandosi di espressione che, per genericità ed ipoteticità, non può in alcun modo equipararsi ad una intimazione o ad una richiesta di pagamento (Cass. 3371/2010).

9. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.

La mancata costituzione in questa sede delle parti intimate esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2021

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