Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8086 del 02/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 02/04/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 02/04/2010), n.8086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 424/2005 proposto da:

DI BIASE F.LLI & C. SOCIETA’ SEMPLICE in persona

dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AURELIA 325 presso lo Studio

degli Avvocati CIOFANI CARMINE E DI GIOVANNI NICOLETTA,

rappresentata e difesa dall’Avvocato DI CARLO FABRIZIO giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12 presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 86/2 004 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE SEZIONE DISTACCATA di PESCARA, depositata il 22/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2010 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato FABRIZIO DI CARLO, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato DIANA RANUCCI, che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

A seguito di verifica della Guardia di finanza di Pescara l’Ufficio I.V.A. di quella città notificava, in data 26.11.2001, alla società semplice Di Biase Fratelli & C. avviso di rettifica I.V.A. per Tanno 1996 con il quale veniva rideterminata l’imposta in misura ordinaria invece che nella misura forfetaria, come dichiarata dalla società D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 34, sul presupposto che nella specie si vertesse in materia di carattere industriale per l’attività di trasformazione dell’uva e della vendita del vino.

Avverso detto atto la società adiva la C.T.P. di Pescara chiedendo l’annullamento dell’avviso di rettifica, per quanto ancora rileva nel presente giudizio, per violazione dell’art. 12, commi 4 e 5, dello Statuto dei contribuenti e nel merito la sussistenza del diritto di usufruire del regime agevolato di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34. Resisteva l’Ufficio.

La C.T.P. accoglieva parzialmente il ricorso, rigettando, invece, le domande in relazione alle violazioni delle Statuto del contribuente e sulla spettanza del regime I.V.A. forfetario, deducendo la natura industriale dell’attività di trasformazione delle uve svolta dalla società evidenziando la prevalenza dell’uva acquistata rispetto a quella prodotta.

Appellava la società riproponendo i motivi di primo grado, insistendo sul possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi per usufruire del regime speciale e contestando il dato di resa AGEA dei terreni, sulla base del quale i primi giudici avevano determinato la prevalente quantità dell’uva acquistata rispetto a quella prodotta nei terreni di proprietà o comunque nella disponibilità della società. Chiedeva, inoltre, che la C.T.R. dell’Abruzzo disponesse C.T.U. al fine di accertare la potenzialità produttiva dei terreni o che volesse acquisire la perizia disposta dalla stessa C.T.P. nel parallelo giudizio sull’I.LO.R.. Sosteneva, infine, che l’Ufficio avrebbe dovuto almeno applicare il regime dell’art. 34 citato sulla parte di prodotto compatibile con la produttività dei terreni e quello ordinario per l’eccedenza. Resisteva l’Ufficio, contrastando quanto dedotto dall’appellante, rilevando l’inammissibilità della richiesta del regime fiscale differenziato perchè nuova ed instando anche con appello incidentale.

La C.T.R., acquisita la perizia eseguita nel giudizio relativo all’I.LO.R., respingeva ambedue gli appelli.

Avverso detta decisione la società Di Biase propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi. Resistono con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate, contrastando quanto dedotto da parte ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 1990, artt. 6, 7, 10 e 12, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la C.T.R. preso in considerazione, respingendola, solo la domanda relativa all’omessa allegazione del processo verbale della Guardia di finanza, senza esaminare gli altri profili di violazione dello Statuto dei contribuenti, pure evidenziati, quali la contraddittorietà tra il processo verbale del 7.6.2001 dal quale non erano emerse irregolarità di sorta e quello successivo del 19.7.2001 nel quale erano state ravvisate irregolarità in merito all’applicazione del regime speciale agricolo.

Con la seconda doglianza si deduce la viola/ione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, e di ogni altra norma in materia di determinazione del regime I.V.A., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la C.T.R. valutato l’attività della società come industriale e non agricola sulla base del criterio di prevalenza della quantità d’uva destinata alla trasformazione acquistata rispetto a quella prodotta nei terreni di proprietà della contribuente o comunque in quelli nella sua disponibilità. Mentre, sostiene parte ricorrente il criterio della prevalenza è stato introdotto nell’art. 34 citato mediante il richiamo all’art. 2135 c.c., nel testo modificato con il D.Lgs. n. 228 del 2001, che appunto prevede nella nuova versione a decorrere dal 18.5.200 detto criterio, mentre nel testo precedente a detta modifica, applicabile ratione temporis, tale metodo non era previsto, per cui andava solo interpretata la norma nel senso se l’attività svolta (trasformazione dell’uva) rientrasse o meno nella normalità dell’esercizio dell’agricoltura, con criterio qualitativo e non quantitativo, tenuto, inoltre, conto che l’enopolio svolgeva attività solo sull’uva prodotta o acquistata dalla società e non per conto terzi.

Contesta, infine, parte ricorrente i criteri seguiti nell’accertamento della resa dei terreni (uva/ettari), non ritenendo attendibili i dati statistici della media regionale che comprende anche terreni di bassa produttività ben diversi da quelli a vocazione specifica come quelli de quibus.

Il primo motivo è infondato.

Lamenta sostanzialmente la società contribuente che la C.T.R. non abbia rilevato la contraddittorietà esistente tra i due verbali emessi dalla Guardia di finanza a seguito dei quali l’Ufficio I.V.A. avrebbe emesso l’accertamento per cui è causa.

Riferisce, infatti, la società che dal primo verbale, redatto in data 7.6.2001, non si evidenziavano alcun irregolarità ai fini I.V.A., mentre nel secondo verbale si dava atto di una realtà diametralmente opposta nel senso che si procedeva ad una nuova verifica essendo state durante la prima rilevate delle irregolarità ai fini I.V.A. in merito all’applicazione del regime speciale agricolo (c.d. forfetario).

Tale contraddittorietà non sussiste. Dallo stesso ricorso della società si evince che la prima verifica era diretta al “controllo delle operazioni riguardanti a richiesta-concessione degli aiuti comunitari per la campagna”; conseguentemente, essendo finalizzata ad un scopo diverso da quello del controllo fiscale non occorreva che i militari verificatori esponessero nel verbale rilievi estranei da quelli per i quali stavano esercitando il controllo, ma riscontrate, a loro giudizio, talune irregolarità, avevano proceduto ad un’ulteriore verifica per accertare la regolarità o meno della situazione fiscale della società.

Il secondo motivo è invece fondato.

Occorre premettere che appare ragionevole il dissenso palesato dalla società ricorrente rispetto ai criteri AGEA accettati passivamente dalla C.T.R., trattasi invero di criteri astratti, diretti a fini diversi da quelli per gli accertamenti fiscali che incidono direttamente sull’economia dell’agricoltura; infatti la media ottenuta in quel contesto non può tenere nel dovuto conto che nella specie non si trattava di un fondo qualsiasi a coltura mista, ma, data la rilevante incidenza di tale accertamento occorreva verificare le reali caratteristiche di quei terreni, le eventuali peculiarità e l’effettiva sussistenza della vocazione vitivinicola di quei terreni, senza alcun dubbio, dotati di culture specializzate.

Nè, peraltro, appare sproporzionato, tenuto conto dell’estensione dei terreni nella disponibilità della società e della univoca cultura degli stessi, che l’attività fosse esercitata mediante un enopolio di mq. 2.000 del valore di circa due miliardi di vecchie lire, essendo notorio che detta cifra per un moderno impianto di trasformazione delle uve non rappresenta certo una cifra sproporzionata alle esigenze di una tenuta di quelle dimensioni, per la quale una moderna tecnologia non rappresenta certo uno spreco o indice di attività industriale, ma una necessità per sopravvivere, stare al passo dell’evoluzione dei tempi per fronteggiare la concorrenza sia nazionale che estera, anche nell’esercizio normale dell’agricoltura.

Passando all’esame della questione di diritto, si rileva che la C.T.R., nel valutare se la società potesse essere considerata produttore agricolo ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, come indicato nell’art. 1235 c.c., abbia errato nel determinare la situazione di fatto sulla base del criterio della “prevalenza”, criterio introdotto solo in epoca successiva all’annualità per cui è causa. Infatti detto criterio è stato introdotto a seguito della modifica dell’art. 2135 c.c., con la novella del 18.5.2001 n. 228, mentre il testo applicabile, ratione temporis, disponeva soltanto che fosse “imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura.”, facendo, quindi, esclusivo riferimento alla natura dell’attività svolta, che nella specie è incontestato tra le parti che attenesse alla viticoltura ed alla successiva trasformazione delle uve in vino, con conseguente vendita dello stesso, attività quest’ultime anche ricomprese tra quelle agricole.

Tuttavia la C.T.R. aderendo alla tesi dell’Ufficio, ritenendo sproporzionata la quantità del prodotto, deduceva che l’attività della società non rientrasse nell’ambito dell’esercizio normale dell’agricoltura, ma in quello industriale atteso che la parte di prodotto proveniente dai terreni nella disponibilità della società non era superiore alta metà rispetto a quella acquistata da terzi, pur riconoscendo che, perche l’attività di trasformazione ed alienazione dei prodotti del terreno potesse definirsi agricola (e come tale usufruire del regime forfetario I.V.A.) la normativa in materia permetteva l’acquisto di prodotto altrui, purchè non travalicasse tali limiti, donde l’applicazione del criterio di prevalenza, criterio legittimamente contestato in radice da parte ricorrente.

Questa Corte pertanto ritiene che la C.T.R. debba accertare, su dati concreti e non facendo riferimento ad astratte medie, quanta parte dell’uva sia stata effettivamente prodotta e quanta acquistata da terzi onde valutare l’effettiva eccedenza.

Peraltro, questa Corte non può fare a meno di rilevare l’incoerenza o l’inadeguatezza del nostro sistema fiscale che, mentre nella previsione dell’imposizione fiscale sui redditi in omologhe situazioni e cioè in ipotesi di eccedenza del prodotto rispetto alla normale attività agricola, solo per tale eccedenza è prevista un’imposizione come per reddito d’impresa (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 1) mentre per la parte di reddito compatibile quantitativamente con l’attività normale di agricoltura si applica il più favorevole trattamento riservato ai redditi agricoli, nulla di questo invece è previsto nella disciplina I.V.A., per cui in assenza di un qualunque diversa disciplina ritiene di poter estendere tale disposto anche all’I.V.A., considerando del tutto irrazionale imporre una tassazione più gravosa sull’intera attività, modificando la qualificazione da agricola ad industriale solo sulla base di un dato quantitativo e non qualitativo.

Tutto ciò premesso e dichiarata assorbita ogni altra censura, il primo motivo deve essere respinto, mentre il secondo va accolto, e cassata la sentenza impugnata in relazione alla censura riconosciuta fondata, rinvia la causa per un nuovo esame ad altra sezione della C.T.R. dell’Abruzzo che provvederà anche al governo delle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della C.T.R. dell’Abruzzo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

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