Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8083 del 29/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 29/03/2017, (ud. 22/02/2017, dep.29/03/2017),  n. 8083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1041/2013 proposto da:

SAGAPRINT SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARLO POMA 4,

presso lo studio dell’avvocato EDOARDO TORALDO, rappresentato e

difeso dagli avvocati EDOARDO FERRAGINA, ALESSANDRO PALASCIANO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 50/2012 della COMM. TRIB. REG. di CATANZARO,

depositava il 16/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/02/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. Sagaprint srI propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 50/4/12 del 16 maggio 2012 con la quale la commissione tributarla regionale di Catanzaro, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di recupero del credito d’imposta per l’anno 2004 notificatole dalla agenzia delle entrate per la ravvisata violazione del regime di compensazione del credito di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 1 e L. n. 388 del 2000, art. 8 (investimenti in aree svantaggiate). La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che la violazione di legge da parte della ricorrente fosse attestata da quanto stabilito dalla commissione tributaria provinciale, e da quanto riferito dall’Ufficio nelle proprie note e controdeduzioni.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

2. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992 , art. 36, comma 2, n. 4; art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.. Ciò per non avere la commissione tributaria regionale esplicitato in maniera adeguata, e con specifico riferimento ai motivi di appello, il proprio convincimento di legittimità della pretesa impositiva.

3. Il motivo è fondato.

La commissione tributaria regionale ha infatti motivato la sentenza in oggetto in maniera meramente apparente. Dopo aver richiamato la normativa applicabile al caso di specie, essa ha infatti omesso di adeguatamente motivare sui criteri di applicazione della stessa al caso concreto. La decisione si basa essenzialmente sul richiamo – per un verso di quanto statuito dal giudice di primo grado, e – dall’altro – di quanto affermato dall’Ufficio impositore nelle proprie note e controdeduzioni in appello.

Il semplice richiamo di questi atti non era però sufficiente a dare conto della formazione di un autonomo convincimento di infondatezza dei motivi di appello proposti dalla società contribuente. Tanto più in considerazione del fatto che quest’ultima aveva, con l’atto di gravame, non soltanto riproposto gli originari motivi di impugnazione dell’atto impositivo (illegittimità della procedura di accertamento e recupero; violazione dell’art. 3 Cost.; erronea applicazione, da parte dell’agenzia delle entrate, della L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 1, lett. f) e g), in rapporto tanto all’anno di corretta imputazione del credito oggetto di compensazione, quanto alla esattezza del conteggio del dovuto), ma anche lamentato la carenza di motivazione della sentenza di primo grado in ordine a tali originari motivi. La mancanza di una reale motivazione si evince anche dall’apodittico richiamo, in sentenza, alla “elusione” che la società avrebbe posto in essere, ed alla circostanza che essa legittimerebbe di per sè la sanzione della decadenza dai contributi; richiamo per nulla esplicitato nell’accertamento in concreto dei presupposti fattuali di tale “elusione” e, dunque, nell’iter di formazione del convincimento del giudice sul punto. Sicchè è condivisibile l’assunto della ricorrente, secondo cui la sentenza in questione non esprimerebbe una vera e propria “ratio decidendi” formatasi all’esito del vaglio critico delle censure proposte; quanto soltanto la ripetizione tralaticia ed immotivata di convincimenti altrui.

Va pertanto qui richiamato l’orientamento di legittimità secondo cui la motivazione “per relationem” può sì ritenersi legittima, anche ex art. 111 Cost., comma 6, ma solo quando il rinvio ad altra decisione venga operato: in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione; – dando conto della ritenuta pertinenza della motivazione richiamata in rapporto alle argomentazioni e (qualora si verta di giudizio di impugnazione) alle censure proposte dalle parti; – in maniera consapevole e ragionata, e non sulla base del recepimento meccanico ed acritico della motivazione richiamata (Cass. n. 7347/12; Cass. n. 3367/11).

Nel caso di specie tali requisiti, per le indicate ragioni, non risultano soddisfatti.

PQM

LA CORTE

– accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale di Catanzaro, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2017

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