Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8083 del 23/03/2021

Cassazione civile sez. I, 23/03/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 23/03/2021), n.8083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13518/2016 proposto da:

Società Consoli S.r.l., già Immobiliare LA.CON s.r.l., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Anicia n. 6, presso lo studio dell’avvocato Nanna Vito,

rappresentata e difesa dall’avvocato Violante Andrea, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Polignano a Mare, in persona del sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via S. Giovanni in Laterano n.

226/210, presso lo studio dell’avvocato Casadei Bianca Maria,

rappresentato e difeso dall’avvocato Nocco Gianluca, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 772/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

pubblicata il 19/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/02/2021 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Con atto di citazione notificato il 17/7/1998, la Società Immobiliare LA.CON. SRL convenne in giudizio, dinanzi alla Corte di appello di Bari, il Comune di Polignano a Mare opponendosi all’indennità provvisoria di esproprio, di cui al Decreto Presidente della Giunta Regionale Puglia 6 giugno 1977, n. 1386 e chiedendo la condanna del Comune al pagamento, previa determinazione delle relative misure, dell’indennità di occupazione e dell’indennità definitiva di espropriazione per le porzioni di suolo di sua proprietà contraddistinte in catasto rustico al fg. (OMISSIS), p.lle (OMISSIS), per complessivi mq. 1623, in relazione alle quali era stato emesso prima il Decreto Presidente della Giunta della Regione Puglia 14 giugno 1976, n. 1323, di autorizzazione all’occupazione d’urgenza in favore dell’I.A.C.P. di (OMISSIS) e, successivamente, venne emesso il Decreto Sindacale 21 settembre 1982, n. 98, di espropriazione e occupazione definitiva in favore del Comune di Polignano a Mare. Il Comune si costituì chiedendo il rigetto ed eccependo la prescrizione del diritto alle indennità reclamate.

Con sentenza n. 882 pubblicata il 3/10/2000 la Corte distrettuale rigettò la domanda ritenendo estinto per prescrizione il diritto alle indennità, avendo riguardo all’arco temporale trascorso tra l’epoca del Decreto di Esproprio (21 settembre 1982) e la data di notifica dell’atto di citazione (17/7/1998). In particolare, rispetto a quest’ultima data considerò che sarebbe risultata inefficace l’interruzione della prescrizione riconducibile al sollecito di pagamento recapitato al Comune il 18/6/1988 (prot. n. 7817), documento per altro prodotto tardivamente in giudizio, perchè, comunque, da tale data il termine decennale era decorso senza ulteriore interruzione.

Avverso detta sentenza la società LA.CON. SRL propose impugnazione per revocazione, assumendo che la Corte di appello per errore materiale aveva omesso di considerare, ai fini del decorso del termine prescrizionale, anche l’atto di invito e diffida notificato il 16/8/1997 idoneo, nella prospettiva della società, ad interrompere la prescrizione.

La Corte distrettuale con la sentenza n. 962 pubblicata il 19/11/2002 rigettò l’impugnazione per revocazione perchè ritenne coperto da giudicato l’accertamento operato dalla stessa Corte in ordine alla tardività della produzione in giudizio del sollecito del 18/6/1988, con la conseguenza che il termine prescrizionale decennale era da ritenersi irrimediabilmente decorso non solo in relazione alla data di introduzione del giudizio (17/7/1998), ma anche in relazione alla diffida del 16/8/1997, documento ritenuto pertanto non decisivo dalla Corte in sede di giudizio di revocazione.

La Corte di legittimità, con la sentenza n. 21290 del 10/10/2007, ha accolto il ricorso proposto dalla società avverso la sentenza di merito n. 962/02, in quanto ha escluso la configurabilità del giudicato sulla tardiva della produzione del documento del 18/6/1988, e la ha cassata con rinvio.

Con la sentenza in epigrafe indicata, oggetto della presente impugnazione, la Corte di appello di Bari, in sede di rinvio, ha rigettato l’impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, proposta dalla società Consoli SRL (già Società Immobiliare LA.CON. SRL) nei confronti del Comune di Polignano a Mare, compensando interamente tra le parti le spese del grado e del giudizio di legittimità e ponendo le spese della CTU a carico di ciascuna parte al 50%.

In particolare la Corte distrettuale, pur avendo riscontrato l’errore di fatto consistito nella mancata percezione della diffida del 26/8/1997, tempestivamente versata in atti dalla società, e avendo preso atto che non si era formato un giudicato in merito alla tardiva produzione della diffida del 1998 (fol. 4), come affermato dalla S.C., ha escluso che tale circostanza fosse idonea a provocare la revocazione della sentenza n. 882/2000 perchè “quand’anche si consideri il documento pretermesso (diffida del 1997), andrebbe comunque confermata la declaratoria di estinzione per prescrizione dei crediti azionati”, ciò perchè ha escluso, in concreto e con proprio accertamento, sia l’ammissibilità e la rituale utilizzabilità del sollecito del 18/6/1988 che il difetto di tempestivi atti interruttivi della prescrizione, utilizzabili a far data dal decreto di esproprio risalente al 21/9/1982.

La società Consoli SRL ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi, corroborato da memoria. Il Comune di Polignano a Mare ha replicato con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 384 c.p.c. e degli artt. 392 e 394 c.p.c..

La ricorrente sostiene che la Corte di appello di Bari in sede di rinvio non ha correttamente applicato il principio di diritto enunciato in sede di legittimità con la sentenza n. 21290/2007 e non si è attenuta ai limiti ai quali è assoggettato il sindacato del giudice del merito.

A parere della ricorrente la Corte distrettuale non poteva dichiarare inutilizzabile per tardività il sollecito del 1988, perchè sulla questione si era creata una preclusione in quanto la tardività non era stata rilevata nel primo giudizio di legittimità.

1.2. Il primo motivo è infondato e va respinto.

1.3. Risulta preliminare ricordare che:

– La Corte di cassazione, con la sentenza n. 21290/2007, aveva escluso che si fosse formato un giudicato sulla tardività della produzione del documento di sollecito del 18 giugno 1988, ed aveva accolto il primo motivo del ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo, demandando alla Corte di appello in sede di rinvio di riesaminare la questione sottoposta al suo esame in considerazione di quanto affermato in ordine alla non configurabilità di un giudicato sulla tardività della produzione del documento del 18 giugno 1988, segnatamente affermando “4.2. – Il vizio dal quale è affetta la sentenza impugnata consiste nell’avere in modo arbitrario ed illogico ritenuto la esistenza di un giudicato sull’affermazione, contenuta nella decisione impugnata per revocazione, della tardività della produzione della documentazione relativa all’invio del sollecito di pagamento da parte della società intimata all’odierno ricorrente.”;

– La Corte barese in sede di rinvio, dopo avere affermato che a seguito della riassunzione del giudizio dopo la cassazione con rinvio si era riaperto il giudizio di revocazione della sentenza n. 822/2000, nei sensi e nei limiti originariamente proposti, con l’ulteriore riferimento costituito dal principio enunciato dalla S.C. con la sentenza di rinvio, ha rigettato l’impugnazione per revocazione;

– La Corte di appello ha affermato che la S.C. aveva escluso che si fosse formato un giudicato sulla tardività della produzione documentale, in questione, ma non aveva – di contro – affermato che si era formato un giudicato in ordine alla sua tempestiva produzione, rimarcando che l’assorbimento dei motivi secondo e terzo aveva comportato la remissione di ogni decisione allo scrutinio del giudice del rinvio.

1.4. La decisione della Corte di appello, sotto questo profilo è corretta, perchè la statuizione di legittimità aveva accertato la “mancata formazione del giudicato” sulla possibile “tardività” della produzione e non la tardività o meno della produzione documentale del sollecito del 1988, con l’effetto che detta ultima questione, rimasta impregiudicata, necessariamente doveva essere esaminata ex novo ed accertata nella fase del giudizio di rinvio perchè strettamente incidente sia sulla fase rescindente, che sulla eventuale fase rescissoria del giudizio revocatorio, ai fini dell’accertamento della prescrizione o meno della pretesa.

Ciò la Corte distrettuale ha fatto e, valutata la tempistica della produzione del sollecito, lo ha ritenuto tardivo ed inutilizzabile ed ha emesso una nuova sentenza che sostanzialmente ha il medesimo contenuto decisorio di quella oggetto del precedente giudizio di cassazione (rigetto della domanda di revocazione), ma con una motivazione parzialmente differente, perchè questa volta la tardità della produzione documentale del sollecito del 1988, è conseguita ad uno specifico accertamento – nel rispetto del dictum della S.C. ed in osservanza dei limiti imposti dall’art. 384 c.p.c. – e non è frutto del recepimento di un preteso giudicato.

Quindi sulla scorta dell’accertata tardività della produzione del sollecito del 1998, la Corte di appello ha escluso la decisività del documento pretermesso (diffida del 1997) perchè questo, da solo, non era idoneo ad impedire la declaratoria di prescrizione, ed ha respinto la domanda di revocazione.

1.5. Questa decisione risulta immune da vizi perchè frutto di un originale percorso valutativo logico/giuridico ed accertativo, compiuto nel solco delle indicazioni espresse dalla Corte di legittimità. Risulta, inoltre, rettamente compiuto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, non è un nesso di causalità storica, ma di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità logico-giuridica (Cass. n. 6038 del 29/03/2016): nel caso in esame, il giudice, accertato l’errore di fatto esposto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, ha valutato la ricorrenza o meno della decisività alla stregua del contenuto della sentenza impugnata, operando un ragionamento di tipo controfattuale che, sostituita mentalmente l’affermazione errata con quella esatta, ha accertato la resistenza della decisione stessa fondata sull’accoglimento dell’eccezione di prescrizione, stante la mancanza di altri atti interruttivi della stessa tempestivamente documentati, ed ha respinto la domanda di revocazione (Cass. n. 8051 del 23/04/2020).

2.1. Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 333,329,336 e 346 c.p.c., nonchè degli artt. 371,394 c.p.c.; la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la nullità della sentenza.

Secondo la ricorrente, la sentenza sarebbe, comunque, erronea e nulla in violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè il giudice del rinvio non avrebbe potuto riesaminare l’eccezione di tardività del sollecito del 1988 formulata dal Comune in quanto la stessa era stata oggetto di statuizione implicita di rigetto nella sentenza n. 822/2000 e non era stata impugnata in via incidentale dal Comune di Polignano, nonostante si trattasse di questione di natura pregiudiziale rispetto alla questione sollevata dalla società con l’impugnativa per revocazione proposta avverso detta sentenza.

Sostiene quindi che il Comune non avrebbe nemmeno manifestato, nella comparsa di risposta depositata nel primo giudizio di revocazione, l’intendimento di volersi avvalere, in proposito, dell’istituto della cd. riproposizione prevista dall’art. 346 c.p.c..

2.2. Il motivo è inammissibile e il complessivo assunto della ricorrente non può essere condiviso.

2.3. Le questioni risultano infatti proposte in relazione al primo giudizio per revocazione svoltosi dinanzi alla Corte di appello, in merito al quale questa Corte si è già pronunciata con la sentenza n. 21290/2007 prima esaminata, e confliggono proprio con detta decisione di legittimità.

Con la sentenza n. 21290/2007, questa Corte ha escluso la avvenuta formazione di un giudicato sulla tardività o meno della produzione documentale de quo e, quindi, anche l’esistenza di pronuncia sulla stessa questione, di guisa che la ipotizzata pronuncia di rigetto implicita risulta in evidente ed inconciliabile contrasto logico/giuridico con detta statuizione; ha, inoltre, accertato l’attualità e decisività della questione stessa, di guisa che anche la questione proposta ex art. 346 c.p.c., non appare più scrutinabile.

2.4. Va aggiunto che la Corte di appello ha, anche, sottolineato come il Comune abbia coltivato in tutti i gradi e fasi del giudizio la questione della ritualità delle prove e della loro corretta utilizzazione, inclusa l’utilizzazione del sollecito del 18/6/1988, ritenuto tardivo, di guisa che la stessa non poteva ritenersi estranea al giudizio per revocazione.

3.1. Con il terzo motivo, proposto in via ulteriormente gradata, è denunciata la violazione degli artt. 183 e 184 c.p.c., nonchè dell’art. 345 c.p.c., comma 3; la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la nullità della sentenza.

Sostiene la ricorrente che la produzione documentale doveva ritenersi tempestiva perchè, all’epoca dei fatti l’art. 345 c.p.c., comma 3, doveva essere interpretato, alla luce del cd. “diritto vivente”, nel senso che non vi era alcuna preclusione per la produzione in appello di prove cd. precostituite; con altro argomento, invoca l’applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo vigente ratione temporis (nella formulazione introdotta con la L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52), e sostiene che il collegio avrebbe dovuto compiere una valutazione circa l’indispensabilità o meno del documento, prima di dichiararlo inammissibile, richiamando all’uopo Cass. Sez. U. n. 8203/2005.

3.2. Il motivo è infondato.

3.3. Come accertato dalla Corte di appello, ed incontestato, il documento di cui si discute venne prodotto in giudizio per la prima volta all’udienza di precisazione delle conclusioni del 10/5/2000, oltre i termini processuali di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c..

La ricorrente, pur richiamando la disciplina degli artt. 183 e 184 c.p.c., nella formulazione all’epoca vigente, in realtà non svolge argomenti in merito alla violazione di dette norme, ma, sull’erroneo presupposto dell’applicabilità dell’art. 345 c.p.c., comma 3, ne lamenta la violazione.

Tale prospettazione va disattesa sotto tutti profili esposti perchè la controversia in esame si colloca all’interno di un giudizio di opposizione alla stima, disciplinato ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 (attualmente dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54), che si svolge in unico grado di fronte alla Corte distrettuale ed al quale si applicano, pertanto, le disposizioni prescritte per il primo grado di giudizio e non quelle previste per il gravame.

3.4. Ne consegue, quindi, l’infondatezza del motivo perchè, in merito all’applicazione degli artt. 183 e 184 c.p.c., trova applicazione il principio secondo il quale “Nei giudizi instaurati dopo il 30 aprile 1995, non trova più applicazione il principio secondo cui l’inosservanza del termine per la produzione di documenti deve ritenersi sanata qualora la controparte non abbia sollevato la relativa eccezione in sede di discussione della causa dinanzi al collegio: l’art. 184 c.p.c., nel testo novellato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, non si limita infatti a prevedere l’eventuale assegnazione alle parti di un termine entro cui dedurre prove e produrre documenti, ma stabilisce espressamente il carattere perentorio di detto termine, in tal modo sottraendolo alla disponibilità delle parti (stante il disposto dell’art. 153 c.p.c.), come del resto implicitamente confermato anche dal successivo art. 184-bis, che ammette la rimessione in termini, ma solo ad istanza della parte interessata ed a condizione che questa dimostri di essere incorsa nella decadenza per una causa ad essa non imputabile. Pertanto, nel giudizio di appello l’eventuale indispensabilità dei documenti, in tanto può essere valutata dal giudice, in quanto si tratti di documenti nuovi, nel senso che la loro ammissione non sia stata richiesta in precedenza, e che comunque non si sia verificata la decadenza di cui all’art. 184 c.p.c., la quale è rilevabile d’ufficio, in quanto sottratta alla disponibilità delle parti.” (Cass. n. 24606 del 20/11/2006) in ragione del quale, rettamente, la ravvisata tardività risulta rettamente accertata.

3.5. Sotto altro aspetto, risulta non pertinente il richiamo all’applicabilità del diritto vivente in merito alla produzione documentale, concernente l’art. 345 c.p.c., comma 3, vigente ratione temporis, così come anche la disposizione che consente la valutazione di indispensabilità della prova, trattandosi di disposizioni che risultano proprie e circoscritte al giudizio di gravame e non sono applicabili al giudizio di opposizione alla stima in unico grado.

4. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 7.000,00, oltre Euro 200,00, per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2021

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