Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8077 del 29/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 29/03/2017, (ud. 22/02/2017, dep.29/03/2017),  n. 8077

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19611/2012 proposto da:

ICA IMPOSTE COMUNALI AFFINI SRL SOCIETA’ UNIPERSONALE, elettivamente

domiciliato in ROMA VIALE TIZIANO 110, presso lo studio

dell’avvocato SIMONE TABLO’, rappresentato e difeso dall’avvocato

ALESSANDRO CARDOSI;

– ricorrente –

contro

NEON GALLARATESE DI V.C. & C. SNC, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA SALARIA 292, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCO BALDI, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FRANCO TABORELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 31/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/02/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RILEVATO

che la società unipersonale I.C.A. – Imposte Comunali Affini s.r.l. ricorre nei confronti di V.C., nella sua qualità di legale rappresentante della Neon Gallaratese di V.C. & C. s.n.c., con due motivi, per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha respinto l’appello avverso la sentenza di annullamento di due avvisi di accertamento emessi, quale Concessionario del Comune di Gallarate, per imposta sulla pubblicità, relativamente agli anni 2008 e 2009;

che l’I.C.A., con gli impugnati avvisi di accertamento, aveva richiesto il pagamento dell’imposta sulla pubblicità con riferimento a taluni cartelli stradali indicatori della direzione del locale della contribuente, apposti sulle strade del suddetto comune, ritenendo che detti cartelli assolvessero ad una funzione pubblicitaria e non di mera agevolazione della circolazione stradale;

che la Commissione Tributaria Regionale, per quanto qui interessa, ha confermato l’annullamento degli avvisi di accertamento, disposto in primo grado, facendo leva sulle lettere autorizzative del Comune di Gallarate nelle quali era specificato che si trattava di segnaletica stradale e non già di insegne pubblicitarie, quindi, di installazioni non soggette alla imposta sulla pubblicità pretesa dal Concessionario;

che l’intimata società Neon Gallaratese di V.C. & C. resiste con controricorso;

che entrambe le parti hanno depositato ex art. 380 bis 1 c.p.c. memorie difensive.

Diritto

CONSIDERATO

che la ricorrente, con il primo motivo di doglianza, deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 5e 17, D.Lgs. n. 295 del 1992, art. 39 (C.d.S.), D.P.R. n. 495 del 1992, art. 134 (reg. esec. e att. nuovo C.d.S.), giacchè il Giudice di appello ha ritenuto trattarsi, nel caso di specie, di segnaletica stradale e non di insegne pubblicitarie soggette a tassazione, sulla scorta della autorizzazione dell’Amministrazione comunale all’installazione di tali segnali;

che, con il secondo motivo, deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione antecedente la modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione alle conclusioni, cui è apoditticamente pervenuto il Giudice di appello, secondo cui i segnali stradali non integrano alcuna funzione pubblicitaria;

che, quanto al primo motivo, in più d’una occasione, questa Corte ha affermato il principio per cui è soggetto ad imposta sulla pubblicità, ai sensi del D.Lgs. del 15 novembre 1993, n. 507, art. 5 “qualsiasi mezzo di comunicazione con il pubblico, il quale risulti – indipendentemente dalla ragione e finalità della sua adozione – obbiettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili acquirenti ed utenti cui si rivolge il nome, l’attività ed il prodotto di una azienda, non implicando la funzione pubblicitaria una vera e propria operazione reclamistica o propagandistica; ne consegue che anche i segnali di indicazione elencati al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 39, lett. c), (nuovo C.d.S.), i quali includono i segnali turistici e di territorio – aventi, D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, ex art. 134 (reg. esec. e att. nuovo C.d.S.), la funzione di fornire agli utenti della strada informazioni necessarie o utili per la guida e la individuazione di località, itinerari, servizi e impianti -, nonchè, in particolare, i segnali di avvio a fabbriche e stabilimenti, ove racchiudano il riferimento nominativo a una determinata ditta, svolgono, per la loro sostanziale natura di insegne, anche una funzione pubblicitaria tassabile ai sensi del sopra citato art. 5” (Cass. nn. 17852/2004; 4905/2005; ord. n. 6313/2009);

che la CTR, tuttavia, non si è discostata da tale orientamento giurisprudenziale ma, con specifico riferimento alla fattispecie esaminata, ha inteso fornire una spiegazione, sia pure sintetica, del perchè i segnali in questione assolvono, come preteso dalla originaria ricorrente, la esclusiva finalità di fornire agli utenti della strada indicazioni utili per la guida e la circolazione, non essendo caratterizzati da una vocazione pubblicitaria in quanto diretti a promuovere la domanda del bene o del servizio offerto dalla ditta indicata ovvero a accreditarne la immagine presso la generalità dei potenziali clienti;

che i Giudici di merito, a tale proposito, hanno richiamato il contenuto delle lettere autorizzative del Comune di Gallarate, basate sugli D.Lgs. n. 295 del 1992, art. 39 e D.P.R. n. 495 del 1992, art. 134, osservato come “i cartelli in esame non integrano alcuna funzione pubblicitaria, ma sono semplici segnali stradali”, e poi sottolineato che gli stessi, per quanto pure “si ricava dalle foto allegate”, “indicano la via da seguire per raggiungere la ditta di cui trattasi”, con funzione di utilità pubblica e non già di interesse privato;

che, pertanto, appare fondata l’obiezione, svolta nel controricorso, destinata a sostenere che l’avversa censura è in verità destinata a riaprire in sede di legittimità una legittima valutazione di merito operata dal giudice tributario sulla base delle prove acquisite;

che, infatti, vale richiamare il principio secondo cui “Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (ex multis, Cass. n. 6288/2011);

che, pertanto, il ricorso va rigettato non essendo l’impugnata sentenza affetta dagli errori di diritto e motivazionali denunciati, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 1.500,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2017

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