Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8077 del 08/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/04/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 08/04/2011), n.8077

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.E., C.D.;

– intimati –

e sul ricorso n. 15460/2007 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

GENTILE 8, presso lo studio dell’avvocato MARTORIELLO MASSIMO,

rappresentato e difeso dall’avvocato COGO GIOVANNA, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 303/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/04/2006 R.G.N. 1598/04 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

accoglimento ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata l’11 aprile 2006 la Corte di appello di Milano rigettava, dopo averle riunite, le impugnazioni di Poste Italiane s.p.a. avverso le separate decisioni di primo grado, che, accogliendo le domande rispettivamente avanzate da B. E. e C.D., avevano dichiarato la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro, stipulati da costoro con la predetta società – per B. il 5 luglio 2002 e per l’altro il 14 giugno 2002 – e la conversione per entrambi del rapporto di lavoro in quello a tempo indeterminato, con la condanna della datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora.

Nel disattendere l’appello della società, il giudice del gravame, premessa l’applicabilità alla fattispecie in esame della disciplina dettata dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, riteneva che la causale della ristrutturazione aziendale, senza alcun riferimento alla sua durata, era di un’ampiezza tale da non soddisfare il requisito di specificità delle ragioni legittimanti l’assunzione di lavoratori a termine, richiesto dall’art. 1 della citata normativa. Mentre l’altra causale, dell’attuazione cioè degli accordi collettivi intervenuti da ottobre a dicembre 2001, e poi da gennaio ad aprile 2002, era considerata “ulteriormente confusiva”, ed in ogni caso Poste Italiane non aveva dimostralo il coinvolgimento nel processo di mobilità dell’ufficio postale di rispettiva destinazione degli appellati. Il predetto giudice riteneva infine assorbita l’altra causale addotta per la B., concomitanza del contratto con le assenze del personale per il periodo feriale, in quanto, a suo avviso, ammissibile solo se indicata come concorrente, e non anche nel caso in cui fosse stata considerata nel contratto come alternativa.

Per la cassazione della sentenza la società ha proposto ricorso con cinque motivi.

C.D. ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale, contrastato dal controricorso della società.

B.E. non ha espletato alcuna attività difensiva.

C.D. e Poste Italiane hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente denuncia contraddittoria motivazione, e addebita alla sentenza impugnata di avere dapprima affermato che il ricorso al D.Lgs. n. 368 del 2001 costituisce una legittima causale per la stipulazione di contratti a termine, ma al contempo che tale previsione è invalida qualora non sia offerta dal datore di lavoro la prova dell’eccezionalità dell’assunzione a tempo determinato, in sostanza cosi ammettendo e subito dopo negando la pienezza dell’autonomia delle parti sociali.

Con il secondo motivo Poste Italiane, nel denunciare violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1 e 11, deduce l’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata nell’escludere le ragioni previste dalla normativa denunciata, ove sia fatta valere una causale così ampia come quella della ristrutturazione a tempo indeterminato: la causale riportata nel contratto precisa invece, ad avviso della ricorrente, le ragioni giustificative, “che sono la riorganizzazione aziendale, l’introduzione di nuove tecnologie, prodotti e servizi, nonchè l’attuazione degli accordi di mobilità, tutte circostanze notorie e provate documentalmente”.

Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1 e 11 nonchè degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. Assume che l’illegittimità del termine non può derivare automaticamente, a differenza di quanto ritenuto dal giudice del gravame, dalla menzione nella stessa causale di più eventi tra loro concorrenti e addebita alla sentenza impugnata di non avere tenuto della delega in bianco conferita dalla legge alla contrattazione collettiva; le ipotesi pattizie di cui si discute facevano esclusivo riferimento ad una situazione aziendale presente a livello nazionale e di conseguenza non poteva il giudice richiedere la prova di esigenze eccezionali presenti a livello del singolo ufficio di assegnazione del lavoratore assunto a tempo, diversamente imponendosi ai fini della legittimità del termine un elemento aggiuntivo non concordato dalle parti sociali; infatti, la valutazione della esigenza conseguente ai processi di riorganizzazione non poteva che essere fatta con riferimento ai processi e agli accordi richiamati nella lettera di assunzione.

I suddetti motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati nei limiti appresso specificati.

Secondo quanto questa Corte ha già avuto modo di affermare in merito all’interpretazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 (cfr.

pronuncia n. 2279 del 1 febbraio 2010), “in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datore di lavoro delle specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, ha inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (…), un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che e riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto; tale specificazione può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem ad altri testi scritti accessibili alle parti”.

Tale principio è stato poi confermato da altre decisioni di questa Corte regolatrice, le quali hanno precisato che “l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa” (cfr. Cass. 27 aprile 2010 n. 10033, e fra le altre successive Cass. 14 febbraio 2011 n. 3614). Le quali hanno pure rimarcato che spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata e priva da vizi giuridici, resta esente dal sindacalo di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto.

Si è inoltre precisato (v. Cass. 28 luglio 2010 n. 17646, che ha richiamato anche Cass. 17 giugno 2008 n. 16396) che, con riferimento sia alla disciplina pregressa di cui alla L. n. 230 del 1962 sia alla nuova dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, “l’indicazione di due o più ragioni legittimanti l’apposizione di un termine ad un unico contratto di lavoro non è in sè causa di illegittimità del termine per contraddittorietà o incertezza della causa giustificatrice delle stesso, restando tuttavia impregiudicata la valutazione di merito dell’effettività e coerenza delle ragioni indicate”, ben potendo le parti, nel caso in cui concorrano due ragioni legittimanti, indicarle entrambe, nel rispetto del criterio di specificità, e sempre che non sussista incompatibilità o intrinseca contraddittorietà, nè ciò comportando di per sè, salvo un diverso accertamento in concreto, indeterminatezza della causa giustificatrice dell’apposizione del termine.

In contrasto con tali principi, e con motivazione assolutamente insufficiente, la sentenza impugnata si è limitata ad escludere che una causale, quale quella della ristrutturazione aziendale, possa integrare per la sua ampiezza le ragioni previste dal denunciato D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 ed a negare qualsiasi valenza agli accordi collettivi intervenuti nei periodi ottobre/dicembre 2001 e gennaio/aprile 2002, richiamati nel contratto individuale, malgrado alcuni di essi, secondo quanto rilevato dal primo giudice, con annotazione riportata nella sentenza qui impugnata, prevedessero il ricorso ai contratti a termine, genericamente osservando che “la doppia causale è ulteriormente confusiva” e che era necessaria la prova del “coinvolgimento nel processo di mobilità anche dell’ufficio” ove era stato assegnato il lavoratore assunto e nell’ambito della funzione di recapito. In tal modo, però, ha finito con l’omettere di esaminare in concreto gli elementi di specificazione emergenti dal contratto a termine de quo, attraverso i richiami agli accordi collettivi là riportati, alla luce delle deduzioni della società, al fine di valutarne l’effettiva sussistenza nonchè la sufficienza sul piano della ricorrenza o meno del requisito di cui al citato D.Lgs., art. 1, comma 2.

L’accoglimento dei primi tre motivi comporta l’assorbimento degli altri successivi due mezzi di annullamento, concernenti le conseguenze economiche derivanti dalla illegittimità della clausola di apposizione del termine, e la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla stessa Corte d’appello, in diversa composizione, la quale procederà a nuovo esame per verificare alla luce dei principi innanzi esposti se la causale riportata nel contratto rispettivamente da B.E. e da C.D. sia adeguatamente specificata, considerando, ove concluda per l’illegittimità della clausola in questione, e con riguardo alle relative conseguenze economiche, l’incidenza della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32.

Il giudice di rinvio provvederà, inoltre, al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2011

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