Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8077 del 07/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 8077 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: GHINOY PAOLA

SENTENZA

sul ricorso 6125-2008 proposto da:
PROVINCIA DI GORIZIA c.f. 0012306311, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA TRIONFALE 5697, presso lo
studio dell’avvocato BATTISTA DOMENICO, rappresentata
e difeso dagli avvocati CATTARINI RICCARDO, ALLEVA
2014

PIERGIOVANNI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

550

contro

ESPOSITO GIUSEPPE;
– intimato –

Data pubblicazione: 07/04/2014

e sul ricorso 10613-2008 proposto da:
ESPOSITO

_

GIUSEPPE

C.F.

SPSGPP48D16F027Y,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 58,

é-

presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE
FELICE MICHELE, giusta delega in atti;
– controri corrente e ricorrente incidentale contro

PROVINCIA DI GORIZIA c.f. 0012306311, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA TRIONFALE 5697, presso lo
studio dell’avvocato BATTISTA DOMENICO, rappresentata
e difeso dagli avvocati CATTARINI RICCARDO, ALLEVA
PIERGIOVANNI, giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 65/2007 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 11/07/2007 R.G.N. 76/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/02/2014 dal Consigliere Dott. PAOLA
GHINOY;
uditi gli Avvocati CATTARINI RICCARDO e ALLEVA
PIERGIOVANNI;
udito l’Avvocato COSSU BRUNO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI ; che ha concluso per
l’inammissibilità e rigetto del ricorso principale e4
àtl, ‘LiCiPlo -kfri.
– càctewtat

s

..

R. Gen. N.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il dott. Giuseppe Esposito, Dirigente della Provincia di Gorizia dal dicembre 1982,
impugnava davanti al Tribunale di Gorizia il licenziamento intimatogli con lettera del
7 febbraio 2003 per giusta causa, configurata nell’avere presentato denunce
all’Autorità tiudiziaria penale nei confronti della Giunta provinciale, del suo

aventi ad oggetto fatti falsi e privi di riscontro, tanto che il Tribunale aveva assolto
gli imputati per insussistenza del fatto.
Chiedeva in principalità l’applicazione della tutela reale prevista dall’art. 18 dello
Statuto dei lavoratori e, in subordine, il pagamento dell’indennità supplementare
prevista dall’art. 30 del CCNL dirigenti enti locali e l’indennità sostitutiva del
preavviso.
Il Tribunale con la sentenza n. 66/2004 riteneva l’insussistenza della giusta causa e
della giustificatezza del recesso; riteneva inapplicabile la reintegrazione e
condannava la provincia di Gorizia a corrispondere al ricorrente l’indennità di
mancato preavviso e l’indennità supplementare.
La sentenza veniva gravata d’ appello dal dott. Esposito, cui resisteva la Provincia di
Gorizia che proponeva a sua volta appello incidentale.
La Corte d’Appello di Trieste confermava la sentenza impugnata, solo ritoccando in
aumento le indennità riconosciute. In motivazione, ribadiva il difetto di giusta causa
e di giustificatezza del licenziamento ed argomentava che l’avere presentato
denuncia penale non poteva configurare un atto illegittimo, costituendo
manifestazione dei diritti riconosciuti dagli artt. 21 e 24 della Costituzione e non
risultando che l’Esposito avesse travalicato con dolo o colpa grave i limiti di tali
diritti. Aggiungeva che non poteva tenersi conto dell’esito del giudizio penale, atteso
che avverso la sentenza del Tribunale che aveva assolto gli imputati con la formula
“perché il fatto non sussiste” era stato proposto appello da parte del Pubblico
Ministero e che l’Amministrazione non aveva dimostrato l’esistenza di un danno
all’immagine ed alla credibilità dell’istituzione. Riteneva poi l’inapplicabilità della
c.d. tutela reale, sia perché ciò avrebbe comportato una tutela rafforzata del dirigente
pubblico rispetto a quello privato, sia perché sarebbe stato in contrasto con la

Paola inoy, estensore
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Presidente e del Segretario t enerale, cui la stampa locale aveva dato ampio rilievo,

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previsione degli artt. 27 e 30 del CCNL di settore, che prevedono la corresponsione
di un’indennità supplementare per il caso di licenziamento illegittimo; inoltre,
l’Esposito non aveva dimostrato di essere un c.d. dirigente minore, categoria cui
ricollegava una tutela più intensa.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Provincia di Gorizia, affidato

incidentale affidato a due motivi, cui la Provincia di Gorizia ha replicato con
controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente i ricorsi devono essere riuniti ex art. 335 c.p.c. in quanto proposti
avverso la medesima sentenza.
2. Come primo motivo del ricorso principale la Provincia di Gorizia deduce la
“Violazione e falsa applicazione dell’art. 2129 c.c. e degli artt. 24 e 21 della
Costituzione, in relazione alla configurazione come giusta causa della falsità della
denuncia penale presentata da un lavoratore a carico del datore di lavoro”.
Sostiene che la falsità dell’accusa costituisce un elemento sicuramente rilevante nella
valutazione della giusta causa, com’è dimostrato dal fatto che l’esercizio dei diritti di
libera manifestazione del pensiero e di difesa non scrimina dai reati di calunnia o
diffamazione chi falsamente accusa un altro soggetto.
3. Come secondo motivo, deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c.
e dell’art. 295 c.p.c. in relazione alla non definitività dell’accertamento penale”.
Argomenta che poiché la Corte d’Appello riteneva che l’accertamento della falsità o
meno della denuncia fosse rilevante, avrebbe dovuto sospendere il processo ex art.
295 c.p.c.. Aggiunge che oggi la falsità delle accuse mosse dal dott. Esposito è
definitivamente accertata, considerato che la Corte d’Appello di Trieste con la
sentenza del 13 febbraio 2008 ha dichiarato inammissibile l’appello del Pubblico
Ministero avverso la sentenza di assoluzione del Tribunale.
2.3.a. I primi due motivi sono connessi in quanto attengono entrambi alla condotta
contestata al dott. Esposito, per cui possono essere esaminati congiuntamente.
Essi sono entrambi infondati.

Paol
A
Ghinoy,
f.._
,

estensore
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a quattro motivi, cui ha resistito il dott. Esposito che ha proposto altresì ricorso

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La rilevanza a fini disciplinari della denuncia da parte del dipendente all’autorità
giudiziaria di fatti attributi ai propri superiori è stata oggetto di numerose pronunce di
questa Corte, che ha sempre ritenuto che essa non viola i doveri di diligenza, di
subordinazione o di fedeltà (artt. 2104 e 2105 c.c.), non potendosi ipotizzare che
rientri fra i doveri del prestatore di lavoro il tacere fatti illeciti (da un punto di vista

lo riguardino personalmente, e che la legittimità del comportamento del lavoratore
che denuncia al giudice penale un fatto posto in essere dal datore di lavoro nei suoi
confronti deriva sia dal principio dettato dall’art. 24, primo comma, della
Costituzione, con il quale viene garantita a tutti i cittadini, senza distinzioni di sorta e
verso chiunque, la tutela dei diritti e degli interessi legittimi, sia dal più generale
principio contenuto nell’art. 21, primo comma, della stessa Costituzione, che tutela il
diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero “con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione”. Cosa diversa è la precipua volontà di danneggiare il
proprio datore di lavoro mediante false accuse, od anche il travalicare, con dolo o
con colpa grave, la soglia del rispetto della verità oggettiva nel riferire all’autorità
giudiziaria i fatti, nonché la condotta del dipendente che con il propalare la notizia
all’interno o all’esterno dell’azienda abbia arrecato offesa all’onore ed alla reputazione
del datore di lavoro (in tal senso Cass. n. 1749 del 16/02/2000, n. 13738 del
16/10/2000, n. 6501 del 14/03/2013). Condotte, queste, ulteriori rispetto al mero
inoltro della denuncia, che devono essere dedotte e dimostrate dal datore di lavoro ai
sensi dell’art. 5 legge n. 604/66.
In tal senso, l’accertamento compiuto dal giudice penale in esito alla denuncia del
dipendente costituisce uno degli elementi della complessa valutazione che attiene
alla legittimità della condotta, ma non l’indispensabile antecedente logico-giuridico
di questa, sicché non sussiste la pregiudizialità necessaria che ai sensi dell’art. 295
c.p.c. impone la sospensione del procedimento pregiudicato.
Nel caso in esame, la Corte ha fatto corretta applicazione di tali principi, ed ha
esaminato le risultanze processuali concludendo che non risultava provato che il
dipendente avesse travalicato i limiti consentiti alla sua condotta, con valutazione

Paol hinoy, estensore
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penale, civile od amministrativo) che egli veda accadere intorno a sé in azienda o che

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delle risultanze processuali che attiene al merito della controversia, né tale passaggio
motivazionale è stato fatto oggetto di censura dal ricorrente principale.
2.3.b. La Provincia ricorrente valorizza poi l’accertamento contenuto nella sentenza
del Tribunale di Gorizia che ha assolto gli imputati con la formula “perché il fatto
non sussiste” (gravata da appello del P.M. ritenuto inammissibile). Non riporta però

che ritiene rilevanti al fine di comprovare la tesi secondo la quale la valutazione del
giudice penale avrebbe manifestato la ricorrenza nel dipendente della situazione
soggettiva riprovevole sopra individuata, per cui il motivo è sotto tale aspetto
inammissibile in quanto non fornisce gli elementi per valutare la decisività della
censura al fine di disattendere l’esito della sentenza gravata.
L’esistenza di un giudicato penale di assoluzione non è infatti di per sé elemento
univoco nel senso di prospettare l’intento calunnioso o la denuncia esorbitante con
colpa grave dalla verità oggettiva, potendo l’accertamento di non sussistenza dei fatti
derivare da incertezze probatorie o acquisizioni successive ai fatti stessi che ne
mutano la lettura ed il significato.
Il ricorso si pone sotto tale aspetto in insanabile contrasto con il principio
reiteratamente affermato da questa Corte, secondo il quale “Il ricorrente che denunci
in sede di legittimità il difetto di motivazione sulla valutazione di risultanze
probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente il contenuto
dell’elemento non adeguatamente valutato, provvedendo alla sua trascrizione, al fine
di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e
delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione,
la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute
nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative” (Cass.
Ord. n. 17915 del 30/07/2010, Sent. n. 13677 del 31/07/2012).
4. Come terzo motivo la ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art.
2697 c.c., dell’art. 5 della L. 604 del 1966 e dell’art. 2119 c.c. in ordine alla prova
della risonanza sociale delle denunzie inoltrate alla magistratura penale dal dott.
Esposito e causative del suo licenziamento”.

Paola hinoy, estensore

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in alcun modo il contenuto della sentenza assolutoria, né i passaggi della motivazione

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Sostiene che la risonanza negativa della denuncia non era configurata nella
contestazione di addebito come fatto determinante il recesso, ma solo come fatto di
contorno ulteriormente aggravante la condotta, sicché la sua mancanza non poteva
reagire sulla legittimità del recesso; che la risonanza della denuncia in una cittadina
di piccole dimensioni poteva ritenersi fatto notorio e che la stessa era stata ammessa

4.a. Anche tale motivo è infondato.
Preliminarmente, si osserva che esso tende a sollecitare da parte di questa Corte un
nuovo esame delle risultanze istruttorie e quindi della valutazione compiuta dal
giudice d’Appello in ordine ad uno degli aspetti della vicenda, inammissibile in
questa sede.
Nel merito, occorre tuttavia rilevare che la risonanza mediatica di una (pur legittima)
denuncia a carico di amministratori pubblici è un fatto, invero frequente, che
purtuttavia di per sé generalmente prescinde dalla condotta del denunciante e deriva
dal ruolo pubblico degli incolpati. Essa non è quindi da ritenersi un elemento
addebitabile al dipendente a fini disciplinari in via autonoma, potendo incidere sulla
gravità della condotta solo quando questa comunque sia “a monte”, già nella fase
della presentazione della denuncia, addebitabile nel senso più sopra evidenziato.
Diverso è anche qui il caso in cui la risonanza sia provocata artatamente dalla
condotta del dipendente, o quando il contenuto della notizia sia falsato per effetto del
suo intervento, circostanza questa che neppure la ricorrente deduce essersi verificato. ,

_—

5. Come quarto motivo la Provincia di Gorizia lamenta “Violazione e falsa
applicazione degli artt. 1424 c.c. e 112 c.p.c.” per non avere la Corte d’Appello
valutato se la causale del recesso potesse configurare un giustificato motivo in luogo
della contestata giusta causa, come era stato richiesto nell’appello incidentale.

5.a. Il motivo è infondato, in quanto il vaglio della legittimità del recesso è stato
effettuato dalla Corte d’Appello sia sotto il profilo della sussistenza della giusta
causa sia sotto il profilo della sua giustificatezza, che sono stati entrambi ritenuti
insussistenti all’esito di completa ed esaustiva disamina delle circostanze di causa.
Il ricorso principale deve conclusivamente essere rigettato.

Paola Qhinoy, estensore
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dallo stesso dott. Esposito, che aveva prodotto molti ritagli di stampa.

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6. Il dott. Esposito ha proposto a sua volta ricorso incidentale per la cassazione della
sentenza di merito nella parte in cui ha respinto la sua domanda di reintegrazione nel
posto di lavoro ex art. 18 della L. 300 del 1970.
Come primo motivo, lamenta “Violazione degli artt. 21 e 51 II comma D.lgs.
165/2001 nonché dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della

Argomenta che il principio in forza del quale il dirigente pubblico ha diritto alla
tutela reale per il caso di illegittimo licenziamento, affermato da Cass. 2233/2007,
sarebbe inderogabile da parte dell’autonomia privata, derivando alla disposizione di
legge contenuta nell’art. 18 della L. 300 del 1970, per cui non avrebbero rilevanza le
disposizioni della contrattazione collettiva che dispongono in difformità.
6.a. Il motivo è fondato.
Occorre infatti dare continuità al principio più volte ribadito da questa Corte – con
riferimento al regime anteriore all’entrata in vigore della L. 92/2012, applicabile
ratione temporis – secondo il quale l’ illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro
di una P.A. con un dirigente, sia dell’amministrazione centrale che degli enti
territoriali, comporta l’applicazione, al rapporto fondamentale sottostante, della
disciplina dell’art. 18 della legge n.300 del 1970, con le conseguenze reintegratorie,
mentre all’incarico dirigenziale si applica la disciplina del rapporto a termine sua
propria ( Cass. 1 febbraio 2007 n. 2233, Cass. 31 luglio 2012 n.13710, Cass. 13
giugno 2012 n. 9651 e Cass. 29 luglio 2013 n. 18198, riferita a dipendente
comunale).
Tanto si è ritenuto in applicazione della previsione dell’art. 51 del D.Lgs. n. 165 del
2001 che, dopo avere affermato al 1° comma che il rapporto di lavoro dei dipendenti
delle amministrazioni pubbliche è disciplinato secondo le disposizioni dell’art. 2
commi 2 e 3 e dell’art. 3 comma 1, che comprendono anche i dirigenti, prevede, al
comma 2, che la L. 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni ed
integrazioni si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei
dipendenti. Al riguardo si è affermato che, poiché il rapporto fondamentale stabile
dei dipendenti pubblici con attitudine dirigenziale è assimilato dall’art. 21 del D.Lgs.
30 marzo 2001 n. 165 a quello della categoria impiegatizia e poiché la L. 15 luglio

Paola inoy, estensore
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Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 Cost.”.

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1966 n. 604 all’art. 10 si riferisce ai dirigenti privati, la L. n. 300 del 1970 non si
applica con i limiti categoriali di cui alla L. n. 604 del 1966, ma l’estensione operata
dall’art. 51, comma 2 cit. si riferisce anche al rapporto fondamentale di lavoro dei
dirigenti pubblici. Né si determina in tal modo un trattamento preferenziale del
dirigente pubblico rispetto a quello privato, considerato che la disciplina delle due

dirigenziale si basa nel settore pubblico sulla ricorrenza di presupposti formali, non
assumendo alcun rilievo l’esercizio delle mansioni effettivamente svolte ed ivi esiste
una scissione, ignota al diritto privato, fra l’acquisto della qualifica di dirigente (con
rapporto di lavoro a tempo indeterminato) ed il successivo conferimento delle
funzioni dirigenziali a tempo. E’ stato poi osservato che accordare la tutela
reintegratoria (anche) ai dirigenti pubblici si pone in coerenza con i principi di
imparzialità e di buon andamento della Pubblica amministrazione, in quanto solo in
tal modo di ripristinerebbe la fisiologia organizzativa e si porrebbe pienamente
rimedio alla disfunzione che consegue al licenziamento illegittimo.
6.b. La Corte d’Appello ha ritenuto che la soluzione sopra prospettata si porrebbe in
contrasto con i principi contenuti nel CCNL per i Dirigenti degli enti locali, che detta
una disciplina di tutela obbligatoria, ovvero risarcitoria, per il dirigente
illegittimamente licenziato.
L’analisi delle norme contrattual-collettive del settore consente tuttavia di escludere
che esista siffatto contrasto.
L’art. 30 del CCNL 10.4.1996 per il personale della dirigenza del comparto Regioni
– Autonomie locali, nel testo concordato in sede sindacale in data 12.6.1996 confermato per tali aspetti dall’art. 18 del CCNL del 23.12.1999 – prevede che ove il
Collegio di conciliazione (disciplinato dal comma 4) accolga il ricorso presentato dal
dirigente licenziato, dispone a carico dell’amministrazione un’ indermita’
supplementare determinata entro certi limiti in relazione alla valutazione dei fatti e
delle circostanze emerse ed all’età del dirigente.
Analoga disposizione è contenuta nell’art. 13 del CCNL del 12.2.2002, che configura
in termini indennitari la sanzione per l’amministrazione all’esito delle procedure di

Paola iinoy, estensore
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dirigenze non è sovrapponibile poiché il procedimento qualificatorio della categoria

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conciliazione ed arbitrato previste e disciplinate ai sensi degli artt. 56, 65 e 66 del
D.lgs. 165/2001 che accertino l’illegittimità del licenziamento.
Le disposizioni richiamate sono espressamente dettate per dare un contenuto alle
statuizioni degli organismi di conciliazione, chiamati a pronunciarsi sul
licenziamento del dirigente.

stesso modo i poteri del giudice, escludendo che in tale sede possa essere adottata
una pronuncia reintegratoria, ed anzi premettono esplicitamente e fanno salva la
possibilità del dirigente di adire l’autorità giudiziaria.
Né dal sistema della contrattazione può evincersi una preclusione alla reintegrazione
del dirigente illegittimamente licenziato, considerato che il comma 15 lettera b) dello
stesso art. 30 del CCNL del 1996 prevedeva al contrario che il Collegio, in fase di
prima applicazione del contratto e sino al 30.9.1997, disponesse la reintegrazione del
dirigente qualora accertasse la nullità o l’ingiustificatezza del recesso.
Definitivamente esplicito è poi l’art. 11 del CCNL 22.2.2010 che, sotto la rubrica
“Reintegrazione del dirigente illegittimamente licenziato”, prevede che, a domanda,
l’ente reintegri in servizio il dirigente illegittimamente o ingiustificatamente
licenziato dalla data della sentenza che ha dichiarato l’illegittimità o
l’ingiustificatezza del recesso e detta le modalità della riammissione in servizio.
Può quindi ritenersi che la contrattazione collettiva per il personale della dirigenza
del comparto Regioni-Autonomie locali non osta all’accordare la tutela reintegratoria
in sede giudiziale al dirigente illegittimamente licenziato.
7.

Come

secondo

motivo,

il

ricorrente

incidentale

lamenta

“Insufficiente/contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
riguardante la configurabilità della sua figura dirigenziale quale “dirigente minore”.
Sostiene che la Corte, nel ritenere che in ordine a tale circostanza non era stata
fornita prova adeguata, avrebbe trascurato di valutare la circostanza, di cui si dava
atto nelle premesse della motivazione, che egli nel maggio del 2000 aveva ricevuto
un incarico di studio e di consulenza in luogo della posizione di dirigente della
struttura” e che gli artt. 22,40 e 41 del CCNL differenziano le posizioni dirigenziali
che comportano da quelle che non comportano la “direzione di strutture”.

Paola hinoy, estensore
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Esse però non contengono una previsione di carattere generale che configuri allo

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7.a. L’esame del motivo è assorbito dall’accoglimento del motivo precedente, dal
momento che l’eventuale esito positivo non determinerebbe alcun ulteriore risultato
favorevole per il ricorrente.
8. Segue a quanto premesso la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla
Corte di merito, individuata come da dispositivo, per le statuizioni che conseguono

momento dell’irrogazione del licenziamento, anteriore alle modifiche apportatevi
dalla L. 92/2012) come conseguenza dell’illegittimità del recesso, nonché per la
liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; accoglie il primo motivo del
ricorso incidentale, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa
composizione, la quale provvederà anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 13.2.2014

alla ritenuta applicabilità dell’art. 18 della L. n. 300 del 1970 (nel testo vigente al

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