Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8076 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/04/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 23/04/2020), n.8076

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5913-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ARCHEO REAL ESTATE SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1172/2014 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 08/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/12/2019 dal Consigliere Dott. PAOLITTO LIBERATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e

annullamento con rinvio; udito per il ricorrente l’Avvocato

P. che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza n. 1172/19/14, depositata in data 8 luglio 2014, la Commissione tributaria regionale del Veneto ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la decisione di prime cure che, – sull’impugnazione di un avviso di liquidazione emesso in relazione alle imposte di registro e ipocatastali dovute (nella misura ordinaria) per un contratto di compravendita immobiliare concluso il 6 luglio 2006, – dichiarata cessata del materia del contendere per conciliazione giudiziale, aveva (altresì) dichiarato non dovuta la sanzione (del 30%) prevista per il ritardato o omesso versamento dell’imposta (D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13).

Ha rilevato il giudice del gravame che, così come già statuito dal giudice del primo grado, dell’illecito contestato non ricorrevano i presupposti, avuto riguardo al provvedimento di sospensione dell’atto impugnato nella fattispecie adottato ed ai suoi effetti ex tunc.

2. – Per la cassazione della sentenza ricorre l’Agenzia delle Entrate che articola tre motivi di ricorso.

Archeo Real Estate S.r.l. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61 e art. 36, comma 2, n. 4, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., deducendo, in sintesi, la nullità della gravata sentenza per difetto di motivazione qual articolata in termini meramente apparenti ed affidata ad “espressioni tautologiche”.

Il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, reca denuncia di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47, sul rilievo che la disciplina positiva della tutela cautelare avverso l’atto di imposizione impugnato non implica alcun effetto sostanziale sull’oggetto dell’imposizione (recte della sanzione correlata all’imposizione) e, men che meno, la rilevata efficacia retroattiva.

Col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, deducendo, in sintesi, che, – una volta definita conciliativamente la lite, con rideterminazione della pretesa impositiva (qual correlata all’applicazione dell’imposta di registro, in misura fissa, e delle imposte ipotecaria e catastale, in misura proporzionale) e con (del pari) convenzionale astringimento della sanzione (del 30%) alle imposte ipocatastali non versate, – non si giustificava la dichiarazione di illegittimità di un trattamento sanzionatorio che, per converso, normativamente conseguiva all’inosservanza dei termini di adempimento.

2. – Rileva la Corte che il primo motivo è destituito di fondamento e va senz’altro disatteso.

Difatti, per quanto succinta (e ripropositiva delle tesi svolte dalla decisione di primo grado), la motivazione della gravata sentenza rende ragione delle argomentazioni che vi sono state poste a fondamento, secondo un iter logico che risulta chiaramente esposto per quanto pur (come si dirà) non condivisibile.

Va, del resto, rimarcato che la ratio decidendi si è risolta, nella fattispecie, esclusivamente nella definizione di una quaestio iuris rispetto alla quale il giudice del gravame mostra di aver preso in considerazione il (pertinente) motivo di appello, motivo che viene disatteso perchè ritenuto fondato “sulla normativa previgente e su interpretazioni dell’Amministrazione Finanziaria e della dottrina… non… convincenti”.

3. – Il secondo ed il terzo motivo, che vanno congiuntamente trattati, – previa riqualificazione del secondo motivo (v. Cass. Sez. U., 24 luglio 2013, n. 17931), avuto riguardo al suo effettivo contenuto deduttivo, – perchè afferiscono a distinti profili della medesima fattispecie posta a fondamento della gravata decisione, sono fondati e vanno accolti.

3.1 – Il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 2, prevede che la sanzione (del 30% “di ogni importo non versato”) “si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto.”.

Con riferimento all’imposta di registro (alla cui disciplina rinvia il D.Lgs. n. 347 del 1990, art. 13, comma 1, quanto alle imposte ipocatastali), il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 54, comma 5, e art. 55, comma 1, prevede (giustappunto) un termine (di 60 giorni) per il pagamento dell’imposta, tanto che la Corte (v. Cass., 15 giugno 2010, n. 14390) ha già rilevato, – in relazione all’abrogazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 70, da parte del D.Lgs. n. 473 del 1997, art. 1, – una “continuità normativa” tra la previgente disposizione e “la più ampia fattispecie sanzionatoria, riguardante l’omesso o il ritardato versamento di qualsivoglia tipologia di tributo, prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13.” (disposizione, quest’ultima, della quale si è, peraltro, rimarcata la portata generale; v. Cass., 28 marzo 2018, n. 7608; Cass., 4 agosto 2010, n. 18140).

3.2 – Posto, allora, che, – in esito alla (e per effetto della stessa) conclusa conciliazione (che riparametrava l’entità delle imposte di riferimento), – residuava l’applicazione della sanzione correlata all’omesso versamento di dette imposte (nel sopra ricordato termine), è del tutto evidente come su detto profilo della pretesa azionata dall’amministrazione alcun effetto sostanziale potesse correlarsi alla disposta sospensione giudiziale dell’esecuzione dell’atto impugnato.

Viene, difatti, in rilievo, così, un provvedimento di natura cautelare, ad effetti (solo) interinali in quanto meramente strumentali alla decisione da adottare (v., ex plurimis, Cass. Sez. U., 12 novembre 2015, n. 23113; Cass., 1 ottobre 2014, n. 20669; Cass., 7 febbraio 2013, n. 2913; Cass., 13 ottobre 2010, n. 21156; Cass., 31 marzo 2010, n. 7815; Cass., 19 marzo 2008, n. 7342; v., altresì, nella giurisprudenza penale, Cass. pen., 21 settembre 2016, n. 19994; Cass. pen., 17 gennaio 2013, n. 9578, nonchè Corte Cost., 15 luglio 2015, n. 161; Corte Cost., 30 dicembre 1999, n. 464); effetti, questi, destinati a cessare con la pronuncia di merito (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47, comma 7) e che, ad ogni modo, si risolvono sul (solo) piano dell’esecuzione dell’atto impugnato, senz’alcuna implicazione, per la contraddizione logica che non lo consente, sulla pretesa in contestazione (che, se definita in sede cautelare, si correla ad una pronuncia che ha pur sempre natura di sentenza; v. Cass., 7 febbraio 2013, n. 2913).

Nè, del resto, la disposta sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato poteva incidere (per di più retroattivamente) sul perfezionamento dell’illecito che, come si è detto, deve ritenersi consumato alla scadenza del “termine previsto” per il pagamento del tributo.

4. – In conclusione la gravata sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va dichiarata dovuta la sanzione (del 30%) per l’omesso versamento delle imposte qual rideterminate nell’accordo di conciliazione concluso tra le parti in causa.

Le spese dei gradi di merito vanno compensate tra le parti, avuto riguardo all’evolversi della vicenda processuale, mentre quelle del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte intimata.

PQM

La Corte, accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, dichiarata dovuta la sanzione per l’omesso versamento delle imposte qual rideterminate nell’accordo di conciliazione concluso tra le parti in causa; compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito e condanna parte intimata al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito, rimborso spese generali di difesa ed oneri accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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