Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8074 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/04/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 23/04/2020), n.8074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7536-2014 proposto da:

A.T., A.A.M., A.V.,

C.F., A.F., elettivamente domiciliati in ROMA VIALE

REGINA MARGHERITA 262-264, presso lo studio dell’avvocato D’ANDRIA

CATALDO, che li rappresenta e difende, giusta procura a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI ROMA (OMISSIS) UFFICIO

CONTROLLI;

– intimata –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 75/2013 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 01/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/12/2019 dal Consigliere Dott. PAOLITTO LIBERATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato MASTROGREGORI per delega

dell’Avvocato D’ANDRIA che si riporta e chiede l’accoglimento del

ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato PUCCIARIELLO che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza n. 75/01/13, depositata il 1 febbraio 2013, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’appello proposto dagli odierni ricorrenti avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, – sull’impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione col quale l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato in Euro 92.000,00 il valore venale di un immobile oggetto di un contratto di compravendita concluso il 14 ottobre 2005 (per il convenuto corrispettivo di Euro 15.000,00), – aveva parzialmente accolto il ricorso dei contribuenti rideterminando il valore del bene compravenduto in Euro 76.052,00.

A fondamento del decisum il giudice del gravame ha rilevato che:

– l’atto impositivo si correlava alla compravendita di un’unità immobiliare compresa in un fabbricato del quale il Comune di Roma aveva disposto la demolizione “con riconoscimento in favore dei proprietari della possibilità di usufruire di un programma di riqualificazione urbana e di sostituzione edilizia, in modo da vedersi assegnato un immobile in sostituzione di quello da demolire, a un prezzo di edilizia economica e popolare”;

– la rettifica di valore si era fondata su di “una dettagliata e puntuale stima dell’Agenzia del Territorio”, stima, questa, che “aveva tenuto conto di una serie di parametri…. quali lo stato di inagibilità e la relativa ordinanza di demolizione, nonchè del programma di sostituzione, il confronto con i dati OMI e il precedente costituito da altro immobile avente le stesse caratteristiche, l’incidenza dell’area”;

– il contratto di compravendita aveva ad oggetto l’acquisto di un “appartamento anche se in condizioni degradate” e, diversamente da quanto assunto dagli appellanti, non aveva natura aleatoria nè si risolveva nella “aspettativa di un bene futuro”;

– l’acquirente, nella fattispecie, non aveva assunto alcun rischio, “tenuto conto che i proprietari non perdevano alcun diritto sull’appartamento dato in permuta al Comune di Roma, ma lo conservavano fino a quando il Comune non avesse realizzato quello nuovo da assegnare agli stessi proprietari”;

– l’accertamento (di valore) operato dal primo giudice andava confermato in quanto fondato sul dato comparativo costituito da “altro appartamento similare anch’esso ricadente nel programma di sostituzione, previsto dalla Convenzione di Roma stipulata con il Consorzio Sevil 2007, in data 02.07.2007.”.

2. – Per la cassazione della sentenza ricorrono Gozzi Fabrizio, A.F., A.T., A.A.M. e A.V., che articolano tre motivi di ricorso.

L’Agenzia delle Entrate si è tardivamente costituita al fine di partecipare alla discussione del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti denunciano violazione, e falsa applicazione, del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 21, assumendo, in sintesi, che il contratto di compravendita concluso il 14 ottobre 2005 aveva natura aleatoria e, nella sostanza, si risolveva nel conseguimento di un’aspettativa avente ad oggetto la permuta tra l’immobile, così, acquistato e quello da conseguire in forza del programma di riqualificazione urbana (cd. Giustiniano Imperatore) avviato dal Comune di Roma; programma, questo, che implicava, quale suo esito incerto (al momento della stipula contrattuale oggetto di ripresa fiscale), “lo scambio di un “bene presente” (gli immobili in corso di demolizione) contro un “bene futuro” (le porzioni immobiliari di nuova costruzione)”.

L’immobile compravenduto, dunque, costituiva res extra commercium (in quanto destinato alla demolizione) ed aveva un “valore economico pari a 0”, così che non si giustificava una rettifica di valore in funzione del “metodo sintetico comparativo basato su criteri astratti”.

Nè si giustificava, rispetto alla fattispecie contrattuale oggetto di imposizione, il riferimento operato dal giudice del gravame all’assenza di rischio per l’acquirente in quanto, – una volta conseguita la proprietà dell’immobile destinato alla demolizione, – non v’era alcuna certezza quanto ai tempi (ed allo stesso perfezionamento) della procedura di riqualificazione avviata dal Comune di Roma, così come reso esplicito dalle clausole del contratto preliminare di permuta (nn. 14 e 26) alla cui stregua emergeva, da un lato, che alcuna pretesa (di natura risarcitoria o indennitaria) avrebbe potuto esercitarsi (nei confronti del Comune di Roma) nel caso di mancata realizzazione del programma e, dall’altro, che (contestualmente) era stato avviato il procedimento di esproprio delle stesse unità immobiliari ricadenti nel programma di riqualificazione in questione.

Col secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Sotto il primo profilo si deduce che il giudice del gravame aveva omesso di rilevare che, al momento della stipula del contratto di compravendita, il diritto di proprietà conseguito non aveva più ad oggetto l’unità immobiliare (destinata alla demolizione) quanto piuttosto la superficie di sedime (non edificabile e) destinata all’espropriazione nel caso di mancata realizzazione del programma di riqualificazione.

Sotto il secondo profilo si ripropone, quindi, la medesima censura di omesso esame con riferimento alla demolizione dell’immobile ed al difetto di un impegno contrattuale del Comune di Roma alla realizzazione del piano di sostituzione edilizia sotteso al programma di riqualificazione (ovvero al risarcimento del danno nel caso, per l’appunto, di mancata esecuzione del piano).

Il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, reca denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., sul rilievo che il giudice del gravame aveva omesso di pronunciare sul motivo di appello col quale essi esponenti avevano dedotto la violazione del divieto di doppia imposizione avuto riguardo al contratto di compravendita in contestazione ed all’atto di acquisto (sottoposto ad iva) concluso al momento del perfezionamento del ridetto programma di riqualificazione urbana (giusta contratto del 28 giugno 2011).

2. – Il primo motivo è destituito di ‘fondamento.

2.1 – Rileva, innanzitutto, la Corte, che, – per come gli stessi ricorrenti ricostruiscono (in assolvimento del principio di autosufficienza) il contenuto del contratto concluso il 14 ottobre 2005 (del quale viene riportato solo lo stralcio di due clausole concernenti la determinazione del prezzo, l’una, ed il subentro della parte acquirente nel “Consorzio Sevil 2005 per la sostituzione dell’immobile in corso di demolizione”, l’altra), – correttamente il giudice del gravame ha qualificato la fattispecie negoziale in relazione alla “intrinseca natura”, ed agli “effetti giuridici”, dell’atto presentato alla registrazione, escludendo la fattispecie della vendita di cosa futura e, a maggior ragione, quella del contratto (commutativo) aleatorio.

Mentre, difatti, la prima fattispecie contrattuale rimane contraddetta dall’esistenza della res compravenduta, – posto che la fattispecie del contratto di vendita di cosa futura, qual delineata dall’art. 1472 c.c., dà luogo ad un contratto perfetto ab origine (ma) con effetti obbligatori, e postula la venuta ad esistenza della cosa in un momento successivo a quello del sorgere del vincolo (cfr., ex plurimis, Cass., 30 giugno 2011, n. 14461; Cass., 30 settembre 2009, n. 20998), – quella del contratto (commutativo) aleatorio non emerge, di vero, da alcuna pattuizione contrattuale, essendosi rilevato che le parti di un contratto, per sua natura commutativo, nell’esplicazione della loro autonomia privata, esplicitamente (con clausola espressa) o implicitamente (secondo il concreto regolamento convenzionale adottato), possono convenire l’assunzione di un prefigurato rischio futuro, estraneo al tipo negoziale prescelto, e tale da modificarlo e renderlo, per tale aspetto, aleatorio (v. Cass., 21 maggio 2018, n. 12453; Cass., 12 ottobre 2012, n. 17485; Cass., 26 gennaio 1993, n. 948; Cass., 4 gennaio 1993, n. 10).

E peraltro, va rimarcato, il rischio cui alludono parti ricorrenti non costituiva elemento intrinseco del contratto di compravendita, rispetto al quale la stessa entità delle prestazioni, o di una di esse, finiva, dunque, col dipendere da un evento del quale non era noto se, con quali modalità ed in quali termini, si sarebbe verificato, – quanto piuttosto si identificava con l’alea del risultato pratico perseguito e qual correlato all’accesso al ridetto programma di riqualificazione urbana che comportava la sostituzione edilizia (e che, a tal fine, presupponeva la titolarità di un diritto reale sulle unità immobiliari destinate alla demolizione).

2.2 – La gravata sentenza, dunque, non ha affatto avallato (come denunciano i ricorrenti) l’utilizzo del metodo sintetico comparativo fondato, nella fattispecie, “su criteri astratti”, ma ha dato conto (specificamente) del dato comparativo costituito da “altro appartamento similare anch’esso ricadente nel programma di sostituzione, previsto dalla Convenzione di Roma stipulata con il Consorzio Sevil 2007, in data 02.07.2007.”; accertamento, questo, che gli stessi ricorrenti nemmeno specificamente contestano e che trova fondamento nella giurisprudenza della Corte che, giustappunto, ha rilevato che in tema di imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43, comma 1, nello stabilire che il valore del bene o del diritto trasferito deve essere determinato con riferimento alla “data dell’atto”, “impone che si tenga conto, nella valutazione medesima, ad un tempo, sia delle condizioni attuali che delle potenziali utilizzazioni dell’oggetto della prestazione, non essendo contestabile che anche le seconde concorrono ad individuare, con notazione di attualità, il valore venale in comune commercio (cfr. D.P.R. n. 131, art. 51, comma 2, cit.).” (così Cass., 19 gennaio 2001, n. 767 cui adde Cass., 18 dicembre 2009, n. 26685).

3. – Anche il secondo motivo è destituito di fondamento.

Rileva al riguardo la Corte, innanzitutto, che nel motivo (misto) in esame i ricorrenti alludono ad una demolizione dell’immobile (col conseguente mero rilievo della superficie di sedime non edificabile) che, per vero, non risulta indicata nemmeno nell’esposizione dei fatti di causa (ove si fa riferimento ad un ordine di demolizione, e non anche alla sua esecuzione); laddove, come si è anticipato, il giudice del gravame ha dato (espressamente) conto dell’esistenza di un’ordinanza di demolizione (alla data dell’atto di compravendita).

E’, poi, insussistente la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c., – che non può essere dedotta, come vizio di legittimità, in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito (v., ex plurimis, Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass., 28 febbraio 2018, n. 4699; Cass., 11 ottobre 2016, n. 20382; Cass., 10 giugno 2016, n. 11892), – posto che il giudice del gravame ha utilizzato la fonte probatoria offerta al giudizio valorizzandone il contenuto in termini di specificazione dei criteri di valutazione (più ampi) utilizzati con l’avviso di rettifica e liquidazione.

Al di là, peraltro, della novità introdotta col motivo in trattazione (quanto alla demolizione dell’immobile), deve rilevarsi che, con le censure di omesso esame, si sottopongono alla Corte questioni, – non riportate nella gravata sentenza, – delle quali, in violazione del cennato principio di autosufficienza, le parti non riproducono (anche nell’esposizione dei fatti di causa relativi all’appello) i tratti (ed i contenuti) essenziali, qual già sottoposti all’esame dello stesso giudice del gravame (cfr. Cass., 20 agosto 2015, n. 17049; Cass., 17 agosto 2012, n. 14561).

E va rimarcato, quanto (ora) ai profili di censura involgenti l’omesso esame di fatto decisivo, che la denuncia in questione non tiene conto della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (secondo il cui disposto rileva, ora, l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”), – qual conseguente alla novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile nella fattispecie, posto che la gravata sentenza è stata pubblicata in data 1 febbraio 2013), – alla cui stregua la censura di omesso esame di un fatto decisivo deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che lo stesso omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.” (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex plurimis, Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881).

E, come anticipato, a fronte della denuncia di omesso esame, i ricorrenti nemmeno specificamente contestano l’accertamento operato dal giudice del gravame quanto al dato comparativo offerto da “altro appartamento similare anch’esso ricadente nel programma di sostituzione, previsto dalla Convenzione di Roma stipulata con il Consorzio Sevil 2007, in data 02.07.2007.”.

4. – Il terzo motivo risulta, da ultimo, inammissibile in ragione del (sopra rilevato) difetto di autosufficienza, in quanto le parti non deducono di aver proposto, quale motivo di appello, la censura in questione (v. l’esposizione dei fatti di causa di cui al ricorso, fol. 14/15), – della quale non v’è menzione nella gravata sentenza, – nè ne riproducono il contenuto essenziale.

5. – Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parti ricorrenti nei cui confronti sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in solido, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito, rimborso spese generali di difesa ed oneri accessori, come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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