Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8068 del 08/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 08/04/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 08/04/2011), n.8068

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27051/2007 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO

BARTOLOMEI N. 23, presso lo studio dell’avvocato SARACENI STEFANIA,

rappresentata e difesa dall’avvocato PINNA ELIGIO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario

della Società di Cartolarizzazione dei crediti INPS, S.C.CI. S.p.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati CORETTI ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, MARITATO LELIO, giusta

delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 543/2006 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 27/10/2006 R.G.N. 392/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2011 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito l’Avvocato SARACENI STEFANIA per delega PINNA ELIGIO;

udito l’Avvocato TRIOLO VINCENZO per delega CORETTI ANTONIETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1, Con distinti ricorsi del 15 giugno 1998 D.G., titolare dell’omonima ditta, si rivolgeva al Pretore di Cagliari, in funzione di giudice del lavoro, opponendosi ai decreti nn. 232 e 233 del 9 marzo 1998 con cui era stato ingiunto il pagamento in favore dell’INPS, rispettivamente, di L. 55.282.757, a titolo di contributi per il servizio sanitario da marzo 1993 ad ottobre 1995, più somme aggiuntive calcolate sino al 23 ottobre 1996, e di lire 479.964.148, a titolo di contributi previdenziali da luglio 1987 a gennaio 1995, più somme aggiuntive calcolate sino alla stessa data. Sosteneva l’opponente che la pretesa dell’Istituto, basata sulla non spettanza di sgravi contributivi, ai sensi della L. n. 1089 del 1968, per la natura commerciale, e non industriale, dell’attività, era infondata poichè l’azienda aveva da sempre avuto per oggetto la produzione artigianale di manufatti in cemento (serbatoi, tubature, pozzetti ecc), mentre la vendita al dettaglio era stata marginale e accessoria. Nella resistenza dell’Istituto, il Tribunale accoglieva le opposizioni ritenendo non provato lo svolgimento di un’attività commerciale; ma tale decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Cagliari, che, accogliendo l’impugnazione proposta dall’INPS quanto alla sussistenza dell’obbligo contributivo, riduceva gli importi dei decreti ingiuntivi rispettivamente ad Euro 13.163,97 ed Euro 86.878,90, in ragione del perfezionamento del condono previdenziale relativo a talune violazioni, oltre alle sanzioni da calcolare ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 217. In particolare, per quanto ancora rileva nella presente sede di legittimità, i giudici d’appello operavano – sulla scorta del verbale di ispezione dell’Istituto previdenziale, posto a fondamento della pretesa contributiva – una analitica ricostruzione delle vicende aziendali che avevano originato il godimento degli sgravi in questione e, in particolare, rilevavano il carattere prevalentemente commerciale dell’attività, in relazione ai diversi anni considerati, si che la variazione di classificazione operata dall’INPS doveva ritenersi giustificata, con effetto retroattivo ai fini degli sgravi anche in relazione al disposto della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, (che dispone tale retroattività ove il precedente inquadramento sia conseguito a dichiarazioni inesatte del datore di lavoro).

2. Di questa sentenza la D. domanda la cassazione con ricorso articolato in cinque motivi. L’Istituto ha depositato procura ai propri difensori.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 2195 e 2697 c.c., la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non abbia posto a carico dell’Istituto, attore in senso sostanziale, l’onere di provare la prevalenza dell’attività commerciale.

2. Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2195 e 2697 c.c., della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, della L. n. 88 del 1989, art. 49, comma 3. Si deduce che l’inquadramento nel settore industriale adottato dall’INPS, anche per un’impresa, come quella della ricorrente, operante da epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 88 del 1989, ostava al diverso inquadramento nel settore commercio ai fini degli sgravi, adottato in assenza di una preventiva variazione.

3. Con il terzo motivo, denunciando violazione o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, e dell’art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione, si sostiene che ai fini della retroattività della nuova classificazione, ai sensi del citato art. 3, comma 8, non poteva avere rilievo la omessa comunicazione dei mutamenti intervenuti nell’attività di impresa e che; peraltro, doveva essere l’Istituto a provare la prevalenza dell’attività commerciale su cui si fondava la predetta variazione.

4. Il quarto motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2195 e 2082 c.c.. Si deduce che ai fini della valutazione circa la prevalenza dell’una o dell’altra attività si dovevano considerare, non soltanto il fatturato dell’azienda, ma anche, complessivamente, altri fattori, quali il personale addetto, le risorse impiegate, i costi e i ricavi di ciascun settore aziendale.

5. Con il quinto motivo, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 132 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, si lamenta l’omessa valutazione di alcune dichiarazioni testimoniali e degli accertamenti operati dall’INAIL, da cui emergevano circostanze rilevanti in contrasto con le risultanze su cui si fondava la pretesa contributiva dell’INPS. 6. L’esame congiunto di tali motivi rivela la infondatezza del ricorso, se pure la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta e integrata ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

6.1. L’attribuzione dell’onere probatorio, relativo alla prevalenza dell’attività commerciale, risulta priva di alcun rilievo nella complessiva ratio decidendi adottata dal giudice d’appello, la cui valutazione si fonda, espressamente, sul fatto che l’Istituto abbia “fornito una prova più che adeguata per dimostrare il carattere prevalente dell’attività commerciale rispetto a quella artigianale”.

6.2. Sul merito di tale valutazione, la Corte d’appello ha considerato in modo esauriente gli accertamenti operati in sede ispettiva, mediante un apprezzamento delle relative risultanze fondato su dati analitici, peraltro non contestati dalla ricorrente;

che, poi, tali dati siano stati ricavati, essenzialmente, dalle scritture contabili e dalle fatture di vendita è una circostanza che rafforza, anzichè sminuire, l’accertamento utilizzato nella decisione impugnata, attesa la emersione di un carattere obiettivamente marginale dell’attività di produzione e vendita di manufatti in cemento rispetto a quella di vendita di prodotti acquistati da terzi, si che, in proposito, la mancata valorizzazione di altre risultanze, ora evidenziate dalla ricorrente, come anche di circostanze diverse dal dato contabile, non vale ad inficiare, in modo decisivo, il giudizio di fatto operato dal giudice d’appello. La stessa ricorrente, d’altra parte, come risulta dalla decisione impugnata, ha omesso di esibire al consulente d’ufficio nominato in appello la documentazione richiesta, così impedendo ogni ulteriore approfondimento in merito alle circostanze già accertate dagli ispettori dell’ente previdenziale.

6.3. La doglianza relativa alla ritenuta legittimità del nuovo inquadramento, pur in assenza di un formale atto di variazione, è infondata in diritto. Infatti, quanto al periodo anteriore all’entrata in vigore della L. n. 88 del 1989, opera il principio secondo cui è la natura dell’attività di impresa, ai sensi dell’art. 2195 c.c., a determinare l’inquadramento, non potendosi attribuire rilevanza agli atti di inquadramento dell’Istituto, aventi carattere meramente ricognitivo (cfr. Cass. n. 27757 del 2009; n. 5363 del 2004); con riguardo, invece, al periodo successivo, soggetto alla disciplina di cui alla predetta L. n. 88 del 1989 e a quella di cui alla L. n. 335 del 1995, è ben vero che l’atto di variazione dell’Istituto acquista rilievo costitutivo, con efficacia solo dalla notificazione del provvedimento di nuova classificazione dell’impresa (cfr. Cass. n. 27757 del 2009, cit.), ma siffatta irretroattività non opera allorchè l’iniziale inquadramento sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro (L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8), così come è stato accertato nella specie essendo emerso che “si è manifestata una realtà aziendale alquanto diversa da quella dichiarata…infatti è risultato subito evidente che la reale attività svolta dalla ditta in questione non è solo di produzione di manufatti di cemento ma è prevalentemente di vendita di prodotti dell’edilizia acquistati da terzi”.

7. In conclusione il ricorso è respinto. Si compensano le spese del giudizio in ragione della complessità delle questioni esaminate, che ha comportato un esito alterno delle fasi di merito e la correzione della decisione impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2011

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