Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8060 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/04/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 23/04/2020), n.8060

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29699-2018 proposto da:

S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 53,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA INDINO, rappresentato e difeso

dagli avvocati SILVIO ARCHIMEDE FUSCO, RAFFAELE SPARAGNA;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DOMENICO

MILLELIRE 47, presso lo studio dell’avvocato ISABELLA D’AQUINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MADDALENA SIGNORE;

– controricorrente –

contro

SARA ASSICURAZIONI SPA, A.S. SPLASH NUOTO;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1815/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

PELLECCHIA ANTONELLA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2005 C.G. e Z.B., quali genitori del minore C.A., convenivano in giudizio l’Associazione Sportiva Splash Nuoto per sentirla condannare al risarcimento di tutti i danni patiti, subiti dal minore a seguito dell’infortunio verificatosi in data 2 agosto del 2004, presso il complesso sportivo.

La parte esponeva che mentre il figlio era fermo sulla piattaforma di accesso allo scivolo della piscina, della A.S. Splash Nuoto, S.V. effettuava un movimento acrobatico, colpendo il minore C..

Nel giudizio venivano chiamati in garanzia la Sara Assicurazioni s.p.a. e S.V., quest’ultimo dichiarato contumace.

Il Tribunale di Latina, sezione distaccata di Gaeta, riconosceva la responsabilità del complesso sportivo, ai sensi dell’art. 2050 c.c., per non aver predisposto tutte le cautele necessarie per evitare situazioni di pericolo. Inoltre, rigettava la domanda di manleva proposta nei confronti dello Sciano, sul presupposto che un’adeguata sorveglianza avrebbe evitato l’incedente, vietando la contemporanea presenza di più ragazzi sullo scivolo. Invece, accoglieva la domanda di garanzia proposta nei confronti della soc. Assicuratrice Sara.

Avverso la stessa sentenza, la Sara Assicurazioni s.p.a. proponeva appello.

2. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2696/2018 del 22/03/2018, in accoglimento dell’appello proposto dalla compagnia assicuratrice, riformava la sentenza del Tribunale e condannava l’Associazione sportiva Splash Nuoto, in solido con S.V., al pagamento, in favore di C.A., dei danni patrimoniali e non patrimoniali. In particolare, la Corte escludeva la manleva dell’assicurazione, in quanto, nell’art. 9 della polizza, veniva espressamente riconosciuta l’operatività dell’assicurazione per i soli danni cagionati a terzi, non includendo tra quest’ultimi gli associati, gli allievi o coloro che partecipano alle attività sportive. Pertanto, l’assicurato rimaneva responsabile per i danni arrecati, per fatto proprio, agli allievi, associati o clienti, come nella fattispecie, in cui si imputa la mancanza di adeguata sorveglianza nell’uso dello scivolo di accesso alla piscina. Di conseguenza, si riteneva responsabile sia Scalano per una sua iniziativa impropria, in concorso, in pari misura, con il centro sportivo-ricreativo, inadempiente all’obbligo di sorveglianza del corretto uso dello scivolo, riguardo la presenza di diversi ragazzini sulla piattaforma di accesso.

3. Avverso tale pronuncia S.V. ricorre in cassazione, con un unico motivo. C.A. resiste con controricorso.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. Con l’unitario motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la “nullità dell’atto di chiamata in giudizio dello S.V.. Conseguente nullità di ogni attività processuale. Annullamento della decisione di primo e secondo grado”.

Lo S. espone che in data 28.11.2005 veniva fissata la prima udienza di comparizione delle parti chiamate in garanzia dalla convenuta società sportiva, in cui egli rimaneva contumace in quanto ancora minorenne.

Pertanto, vi sarebbe stata la violazione dell’art. 163 c.p.c., n. 2, che comporta la nullità della citazione così come previsto dall’art. 164 c.p.c. Pertanto, il Giudice avrebbe dovuto rilevare la nullità, concedendo un nuovo termine perentorio per la rinnovazione della citazione con effetti sananti ovvero, in caso di inottemperanza, disporre per la cancellazione della causa dal ruolo.

Inoltre nel merito, rileva che la Corte non avrebbe correttamente applicato l’art. 2050 c.c. poichè avrebbe mal interpretato la nozione di attività pericolosa.

Il ricorso è inammissibile.

6, Lo è, in primo luogo, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, in quanto l’esposizione del fatto in esso contenuta è del tutto inidonea allo scopo.

Il Collegio rileva che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 3, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che (leve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006).

La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti ed è pertanto inammissibile, non ravvisandosi – nemmeno potendo eventuali lacune del ricorso essere colmate da alcun atto successivo e nemmeno dalla memoria eventualmente intervenuta – in esso adeguata menzione del contenuto delle domande e difese delle parti contrapposte e delle reazioni avverso le pronunce dei giudici del merito.

6.t.Peraltro, perfino ove si potesse passare all’esame del motivo, esso andrebbe qualificato come del tutto generico e quindi inammissibile.

Infatti, non solo la tesi della minore età del chiamato in causa al momento della sua citazione in giudizio, ma anche ogni altra confusa ulteriore critica al merito della decisione sono esposte senza i necessari riferimenti ai documenti imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6, risolvendosi in una generica ed astratta critica alla decisone impugnata.

Ai sensi della predetta norma, è onere del ricorrente indicare in modo specifico gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda in modo da permettere alla Corte di valutare profili di illegittimità della sentenza di merito.

7. E tutto quanto fin qui argomentato preclude il rilievo che la censura in punto di rito sarebbe comunque infondata.

In primo luogo, anche in tale ipotesi si sarebbe stati dinanzi ad una mera nullità – sanata dalla costituzione senza eccezioni sul punto ad opera della parte che ne sarebbe stata colpita – e non ad un’inesistenza insanabile della vocatio in ius, in base ai principi elaborati da Cass. Sez. U. 9217/2010, già applicati – tra le altre – da Cass. 12714/2015.

Inoltre, il Giudicante, contrariamente a quanto afferma la difesa dei ricorrenti, ha motivato la propria sentenza facendo un puntuale riferimento alle prove che sono state poste a fondamento della decisione, riproponendo con chiarezza espositiva l’iter logico e giuridico seguito nella formazione del proprio convincimento. Nella motivazione redatta dalla Corte di Appello non si rinvengono vizi logico giuridici idonei ad inficiare la validità della sentenza e tali da richiedere un sindacato in sede di legittimità sul giudizio dalla stessa emesso.

8. Il ricorso è dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

9. Va infine dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra moltissime altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato eventualmente dovuto per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 23 aprile 2020

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