Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8059 del 21/04/2016


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Civile Sent. Sez. U Num. 8059 Anno 2016
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: CAPPABIANCA AURELIO

Data pubblicazione: 21/04/2016

SENTENZA

sul ricorso 25252-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –

contro

GUARINO GASTONE;

intimato

avverso la sentenza n. 170/3/2010 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE della Campania, depositata il
24/07/2010;

udienza del 09/02/2016 dal Presidente Dott. AURELIO
CAPPABIANCA;
udito

l’Avvocato

Melania

NICOLI

dell’Avvocatura

Generale dello Stato;
udito il

P.M. in persona del

Generale Dott. PIERFELICE
raccoglimento del ricorso.

Sostituto

Procuratore

PRATIS, che ha concluso per

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G.

25.252/11

Svolgimento del processo.
1. –

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso

per cassazione avverso sentenza della Commissione
tributaria regionale della Campania, depositata il 24
luglio 2010, intervenuta in controversia scaturita
promossa

da

contribuente

già

dall’impugnazione,

esercente la professione di architetto, di avviso di
accertamento irpef, irap ed iva relative all’anno 2002.
2.

Rigettando

l’appello

dell’Agenzia

e

confermando la decisione impugnata, la commissione
regionale

aveva, per quanto ancora rileva, affermato

l’illegittimità del recupero iva operato dall’Agenzia
su compenso da attività professionale conseguito dal
contribuente dopo la cessazione del relativo esercizio
e la dismissione della partita iva.
I giudici del gravame avevano, in particolare
ritenuto che – avendo il contribuente cessato
l’esercizio della sua attività professionale nel 1997
e, dunque, anteriormente al conseguimento, avvenuto nel
2002, del relativo compenso – la somma al riguardo
percepita non era assoggettabile ad iva, difettando, al
momento della riscossione, il presupposto soggettivo
dell’imposta previsto dal combinato disposto dagli
artt. 1 e 5, comma 1, d.p.r. 633/1972 (nella specie: la
qualifica di professionista). Con ciò,
1
il c

R.G.

conseguentemente,

25.252/11

postulando che i compensi percepiti

dal professionista, dopo la cessazione dell’attività,
sono assoggettabili solo ad irpef, quali redditi

3. –

Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia –

deducendo

violazione degli artt. 5, comma 1, e 21

d.p.r. 633/1972 nonché

falsa applicazione dell’art. 6

del medesimo testo normativo

ha censurato la

decisione impugnata per non aver considerato che una
prestazione di servizi, se imponibile a fini iva al
momento della sua esecuzione, resta necessariamente
tale, anche se il pertinente corrispettivo venga
conseguito successivamente alla cessazione
dell’attività professionale nel cui ambito la
prestazione è stata posta in essere ed alla conseguente
perdita della soggettività iva da parte del
percipiente, giacché tale evenienza non è idonea a
sottrarre il compenso di pregressa attività
professionale al regime impositivo proprio di questa.
Il contribuente non ha svolto difese.
4.

Fissata per la decisione in camera di

consiglio ai sensi dell’art. 380 bis, comma 3, c.p.c.
e, quindi, rinviata alla udienza pubblica, a seguito di
ordinanza interlocutoria della sottosezione tributaria
(ord. 24432/14), la causa è

della sesta sezione civile
2

diversi di cui all’art. 67, lett. l, d.p.r. 917/1986.

R.G.

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stata rimessa a queste Sezioni unite, per l’esame quale questione di massima di particolare importanza del punto focale della controversia:

se il compenso

di prestazione professionale percepito dopo la
cessazione dell’attività, nel cui ambito la prestazione

è stata effettuata, e la relativa formalizzazione è o
non imponibile a fini iva.
Motivi della decisione
I)

La notifica del ricorso per cassazione

introduttivo del presente giudizio di legittimità è
stata eseguita, ai sensi dell’art. 4 l. 53/1994 e 55
69/2009, a mezzo del servizio postale.
Pur essendo allegata al ricorso la ricevuta di
spedizione della raccomandata con la quale il ricorso
per cessazione è stato spedito ai fini della notifica,
non risulta acquisito agli atti il corrispondente
avviso di ricevimento.
Sulla base di tale rilievo e non essendosi
costituito l’intimato, s’impone la declaratoria
d’inammissibilità del ricorso.
Costituisce, infatti,

ius receptum il principio –

affermato da queste Sezione Unite, con la sentenza n.
627/08, e, di seguito, costantemente osservato (v., tra
le altre, Cass. 26108/15, 14780/14, 13923/11, 9453/11,
8497/10, 1694/09) – secondo cui, nelle notificazioni
3
il co .

…/./

st.

R.G.

eseguite a mezzo del servizio postale,

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in difetto di

costituzione dell’intimato, l’omessa allegazione al
ricorso dell’avviso di ricevimento del plico postale
(unico documento atto a dimostrare il perfezionamento
della notificazione) ed il suo mancato deposito nelle

forme di cui all’art. 372 c.p.c. o all’udienza di cui
all’art. 379 c.p.c., comporta l’inammissibilità del
ricorso, non ricorrendo i presupposti né per la
concessione di un termine per il deposito né per la
rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291
c.p.c..
II)

Nonostante la riscontrata inammissibilità del

ricorso, la rilevanza della questione immanente al
merito della controversia e rimessa all’esame di queste
Sezioni unite e la sua problematicità, evidenziata
dall’ordinanza interlocutoria ed attestata dallo stesso
tormentato iter processuale della lite nella presente
fase di legittimità,

inducono a pronunziare in

proposito, ai sensi dell’art. 363, commi 3 e 4, c.p.c.,
per l’esigenza nomofilattica di rimuovere incertezze e
prevenire contrasti interpretativi.
III)

1. – Nell’indicata prospettiva, va, in primo

luogo, osservato che, ai sensi degli artt. l e ss.
d.p.r. 633/1972, l’obbligazione tributaria in campo iva
e,

quindi,

l’imponibilità
4

a

detti

fini

sono

il c

est.

R.G.

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ricollegate (a parte il caso delle “importazioni”) al
concorso
oggettiva,

di due

presupposti: uno, di natura

costituito

dalla

realizzazione,

nel

territorio dello Stato, di operazioni di “cessione di
beni” a titolo oneroso ovvero di “prestazione

soggettiva,

l’altro,

di natura

servizi” verso corrispettivo;

di

consistente nel possesso, da parte di chi

pone in essere alcuna delle operazioni sopra
menzionate, della qualità di imprenditore o di quella
di esercente arte o professione.
2.1 – Muovendo dalla “premessa indiscussa” che, per

le prestazioni di servizi, il verificarsi del
presupposto oggettivo dell’imposizione iva coincide di
regola, non con il momento della relativa materiale
esecuzione, ma con quello del pagamento totale o
parziale del corrispettivo per esse convenuto (anche se
successivo a detta esecuzione), l’ordinanza
interlocutoria individua il punctum

dolens

della

proposta questione esegetica nell’identificazione del
dato di temporale rilevanza della cessazione
dell’attività economica (nella specie: professionale)
che giustifica l’imposizione iva, quale presupposto
soggettivo del tributo ai sensi degli artt. l, 4 e 5
d.p.r. 633/1972.
2.2.1

L’impostazione

dell’ordinanza

5
il e

est.

R.G.

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interlocutoria e la sua premessa scontano il rilievo
che

il

d.p.r.

collegato,

633/1972

(dopo

aver,

all’art.

l,

sul piano oggettivo, l’imponibilità a fini

iva, in particolare,

alle operazioni di cessioni di

beni ed a quelle di prestazioni di servizi) dispone

all’art. 6, che – mentre le operazioni di cessione di
beni, in assenza di fattura o di pagamento, vanno, in
linea di principio e salve le deroghe di cui al comma
2, temporalmente ricollegate al momento della loro
esecuzione (cfr. commi 1, 2 e 4) – le prestazioni di
servizi, in assenza di anteriore fattura, “si
considerano effettuate all’atto del pagamento

del

corrispettivo” (cfr. commi 3 e 4). Ciò, peraltro, solo
di regola e ad eccezione che per le prestazioni di
servizi compiute per l’uso personale o familiare
dell’imprenditore ovvero a titolo gratuito per finalità
estranee all’impresa ovvero ancora (in esito
all’introduzione del sesto comma della disposizione ad
opera della l. 217/2011) per le prestazioni di servizi
resi in ambito transazionale; prestazioni tutte, in
merito alle quali rileva, invece, il momento della
relativa esecuzione.
2.2.2 –

A conforto di quanto sostenuto, vengono

evocati precedenti di questa Corte (specificamente:
Cass. 13209/09, 3976/09), in cui, sul presupposto che
6

/4

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