Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8055 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/04/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 23/04/2020), n.8055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17473-2018 proposto da:

C.M. SCAVI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA DI ROCCO;

– ricorrente –

contro

SOA RINA ORGANISMO DI ATTESTAZIONE SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

AGOSTINO DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato PAOLA GHEZZI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARINA BENZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 531/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 28/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. A seguito del decreto ingiuntivo n. 2189/12, emesso dal Tribunale di Genova a favore di Soa Rina s.p.a. nei confronti di C.M. Scavi s.r.l., quest’ultimo proponeva opposizione con atto di citazione in data 05/05/2012, ritenendo non dovuta la somma ingiunta relativa alla fattura n. (OMISSIS), emessa dalla convenuta per l’attività di verifica e valutazione ai fini del rilascio di attestazione di qualificazione ai sensi del D.P.R. n. 207 del 2010.

In particolare, C.M. Scavi s.r.l. si opponeva eccependo di aver formulato l’offerta economica per il servizio di attestazione SOA per categorie “strade” e “acquedotti”, avendo ricevuto garanzia da parte di SOA Rina di ottenere la suddetta attestazione, sebbene la situazione della società opponente, come già emergeva nella fase delle trattative precontrattuali, fosse tale da non consentirne il rilascio. Pertanto, chiedeva al Tribunale l’accertamento della responsabilità per inadempimento di SOA RINA SPA agli obblighi di buona fede di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c., dichiarando invalido il contratto e, per l’effetto, revocare il decreto ingiunto opposto.

Il Tribunale di Genova, con sentenza n. 1676/2015 del 28/05/2015, confermava il decreto ingiuntivo n. 2189/2012, condannando la C.M. Scavi s.r.l. al pagamento in favore di SOA RINA s.p.a. della somma di 6.035,13 Euro, oltre spese liquidatorie nel procedimento monitorio e interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002, dalla scadenza della fattura al saldo, oltre alle spese di lite.

2. Avverso tale sentenza la C.M. Scavi s.r.l. proponeva appello.

La Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 531/2018 del 28/03/2018, respingeva l’appello proposto dalla C.M. Scavi s.r.l., condannandola alle spese di giudizio.

In particolare, la Corte riteneva che la ricorrente avesse proposto appello sulla base di un motivo totalmente nuovo, cioè affermando la nullità del contratto a causa della vessatorietà di alcune clausole non sottoscritte dalla parte.

La Corte, pur dichiarando l’inammissibilità del motivo d’appello, ne ha esaminato il merito, affermando comunque la piena validità del contratto. Infatti, sostiene che lo scarto nell’identificazione numerica, dovuto ad un disguido della stampa, rendeva certo che le clausole erano state idoneamente identificate ed approvate e che pertanto non sussisteva la lamentata nullità.

3. Avverso tale pronuncia, la C.M. Scavi s.r.l. propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi. SOA RINA s.p.a. resiste con controricorso.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. La controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione delle seguenti norme di diritto: artt. 1341,1342,1418 e 1421 c.c.”

La Corte territoriale avrebbe errato nel dichiarare inammissibile il motivo volto ad acclarare la nullità del contratto in quanto ritenuta domanda nuova, contrastando, in questo modo, con la giurisprudenza della Suprema Corte (sent. 14828/2012).

Inoltre, la parte sostiene che il contratto in oggetto riporti le sottoscrizioni, solo in una pagina, di un elenco di alcune clausole recanti numerazioni difformi da quella contenuta nelle condizioni generali, inserita nel documento allegato e separato. In più, le pagine che riportano le condizioni generali non sarebbero sottoscritte. Pertanto, l’asserita assenza di nullità sarebbe in contrasto con la consolidata giurisprudenza delle SS.UU., richiamando le sentenze nn. 21095/2004, 21108/2005, 14828/2012.

5.2. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 354 c.c., comma 4.

Il giudice di seconde cure avrebbe dovuto disporre ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 4, la rimessione in termini, per lo svolgimento nel processo d’appello, delle attività il cui esercizio non era stata possibile in primo grado. L’omissione sarebbe in contrasto con la sentenza n. 21208/2005, nella parte in cui prevede “nel caso in cui sia omesso il rilievo officioso della nullità, e l’omissione venga fatta valere in sede di appello, il giudice del gravame dovrà rimettere in termini l’appellante e procedere come indicato sopra”.

6. Il ricorso è inammissibile.

Nonostante la corretta tesi del ricorrente circa la rilevabilità d’ufficio della nullità (cfr. Cass. S.U. nn. 26241-26243/2014), il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6.

Ai sensi della predetta norma, è onere del ricorrente indicare in modo specifico gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda in modo da permettere alla Corte di valutare profili di illegittimità della sentenza di merito.

Nel caso in esame la ricorrente ha omesso di indicare, idoneamente trascrivendole o riportandole in ricorso, le parti specifiche del contratto dalle quale si poteva desumere la nullità dello stesso, e relativamente al secondo motivo, non ha indicato le attività difensive che sarebbero state precluse alla parte in primo grado, tali da giustificare una remissione in termini ex art. 354 c.p.c.. In definitiva, la ricorrente ha operato generici rinvii senza riportare una trascrizione integrale o in forma riassuntiva degli atti e delle difese che assume pretermesse.

Ma il motivo, in ogni caso, sarebbe comunque infondato anche ragionando sulla scia della ben nota sentenza delle Sez. Un. 26242 del 2014. Infatti, il principio del rilievo ex officio di una nullità negoziale, nei termini declinati dalla sentenza sopra citata, postula che tutti gli elementi costituitivi della stessa siano stati allegati: cosa che, come è reso evidente da quanto finora argomentato, non risulta essere avvenuta nella fattispecie. E senza considerare che la corte di merito ha raggiunto le sue conclusioni sull’adeguatezza della riferibilità dell’approvazione specifica o comunque del consenso dell’appellante in base alle norme di ermeneutica contrattuale, di cui neppure si postula in questa sede la violazione, tanto meno in conformità alle rigorose regole sul punto elaborate da questa Corte (sulle quali, per tutte, basti qui un richiamo a Cass. 28625/2019, p. 6 delle ragioni della decisione, ove ulteriori riferimenti).

7. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

8. Va infine dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra moltissime altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato eventualmente dovuto per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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