Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8053 del 21/04/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 8053 Anno 2016
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: TATANGELO AUGUSTO

SENTENZA

CL,Que ac:)3

sul ricorso iscritto al numero 8580 del ruolo generale dell’anno
2013, proposto

da
SPARATORE Luigi (C.F.: SPR LGU 64A02 1754P)
rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso,
dall’avvocato Vincenzo Giorgio Cotroneo (C.F.: VCN CTR 68D24
D976C)
-ricorrentenei confronti di
ALLIANZ S.p.A., già RAS S.p.A. (C.F.: 05032630963), in
persona dei procuratori Carmelo Nolasco e Andrea Cerretti
rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso,
dall’avvocato Giorgio Spadafora (C.F.: SPD GRG 38E18D086V)
-controricorrentenonché
SARACINO Lia (C.F.: non dichiarato)
-intimataper la cassazione della sentenza pronunziata dalla Corte di Appello
di Milano n. 540/2012, depositata in data 14 febbraio 2012;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 15
marzo 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo;
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uditi:
l’avvocato Carlo Acquaviva, per delega dell’avvocato Giorgio
Spadafora, per la società controricorrente;

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í)

Data pubblicazione: 21/04/2016

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale
dott. Ignazio Juan Patrone, che ha concluso per la dichiarazione di
inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
A seguito di un sinistro stradale tra motocicli causato da Tiziano
Maffei in data 6 maggio 1984, Luigi Sparatore riportò lesioni
personali e poco dopo i fatti ricevette dalla RAS S.p.A., assicuratrice

titolo risarcitorio (con riserva di agire per il maggior danno).
Nel 2007 agì poi in giudizio nei confronti di Lia Saracino, erede del
Maffei, nonché della stessa compagnia assicuratrice, per ottenere il
completo risarcimento dei danni subiti, deducendo di avere scoperto
solo nel 2003 di essere portatore di una grave patologia
postraumatica all’occhio destro.
La domanda fu rigettata dal Tribunale di Milano, che ritenne
prescritto il suo diritto.
La Corte di Appello di Milano ha confermato la decisione di primo
grado.
Entrambe le decisioni risultano fondate sul presupposto che il danno
biologico di cui era stato chiesto il risarcimento non costituiva una
nuova patologia ma l’aggravamento di quella originariamente
provocata dall’incidente, e dunque non poteva ritenersi che fosse
iniziato a decorrere un nuovo termine di prescrizione.
Ricorre lo Sparatore, sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso la Allianz S.p.A., che ha altresì depositato
memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altra intimata.
Motivi della decisione
1.

Con il primo motivo del ricorso si denunzia, ai sensi dell’art.

360, co. 1, n. 5 c.p.c., «insufficiente e contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso decisivo per il giudizio: asserito
aggravamento della patologia oftalmica originaria e mancato
riconoscimento della diplopia quale malattia autonoma e diversa
sebbene eziologicamente riconducibile all’evento per cui è causa».

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della responsabilità civile del Maffei, la somma di E. 12.000.000 a

Con il quarto motivo del ricorso si denunzia «violazione di norme di
diritto con riferimento all’art. 2947 c.c.»

(art. 360, co. 1, n. 3

c.p.c.).

Il primo e il quarto motivo possono essere esaminati
congiuntamente, in quanto connessi.
Essi sono infondati.
La corte di appello ha deciso la controversia applicando il principio

extracontrattuale si manifestino a distanza di tempo ulteriori
conseguenze pregiudizievoli decorre un nuovo termine di
prescrizione solo nel caso in cui insorga una nuova e distinta
patologia (e cioè si determini una lesione nuova e autonoma),
mentre la prescrizione decorre comunque dalla data del fatto
laddove le ulteriori conseguenze pregiudizievoli costituiscano mero
aggravamento del primo evento lesivo (cfr. Cass., Sez. U, n. 580
dell’il. gennaio 2008; Sez. 3, n. 8156 del 3 aprile 2009; Sez. 3, n.
7139 del 21 marzo 2013; Sez. 3, n. 9711 del 22 aprile 2013; nello
stesso senso cfr. altresì Sez. U, n. 5023 del 3 marzo 2010)
Il ricorrente non contesta il principio di diritto, ma la sussistenza del
relativo presupposto di fatto nella fattispecie concreta, lamentando
vizio di motivazione sul punto e conseguente violazione dell’art.
2947 c.c..
Ma è senz’altro adeguata la motivazione con cui la corte di appello
ha giustificato la conclusione raggiunta in fatto, dal momento che
(come già ritenuto dal giudice di primo grado) la stessa
prospettazione posta a base della domanda risulta formulata con
riferimento ad un aggravamento dell’originaria patologia e non ad
una nuova e autonoma lesione.
È cioè lo stesso attore che, con l’atto di citazione, ha chiesto un
(ulteriore) risarcimento per un aggravamento della sua originaria
patologia, senza dedurre chiaramente l’insorgenza di una nuova
autonoma lesione: correttamente i giudici di merito hanno quindi
ritenuto preliminare l’esame della eccezione di prescrizione, senza
necessità di approfondimenti istruttori.
La motivazione della pronunzia impugnata trova testuale supporto
proprio nell’atto di citazione (in essa trascritto, in parte qua), che fa
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di diritto per cui, laddove in conseguenza di un illecito

riferimento ad una

«evoluzione degenerativa successivamente

intervenuta nel corso degli anni», al «progressivo peggioramento
rispetto al giugno 1984 dei disturbi visivi»,

e al «progressivo

peggioramento delle condizioni del ricorrente».
D’altra parte, nel ricorso non risultano richiamati specificamente atti
processuali (sotto il profilo asseverativo) e documenti (sotto il
profilo probatorio) in base ai quali si possa pervenire a diverse

Il ricorrente si limita a far generico riferimento a tutti gli atti, fatti e
documenti processuali, assumendo che il loro esame avrebbe
dovuto portare i giudici di merito a concludere che nella specie
sussistesse una nuova patologia.
Sotto questo aspetto sussiste una evidente violazione dell’art. 366,
co. 1, n. 4 e 6, c.p.c..
In particolare, pare opportuno osservare che del tutto irrilevanti,
sotto il profilo in esame, risultano il brano della relazione di
consulenza tecnica di parte trascritto nel ricorso e il richiamo ai due
certificati ospedalieri del 2005 e del 2006 (prodotti al n. 17 e al n.
19 del fascicolo di primo grado), trattandosi di documenti privi di
chiari e univoci riferimenti all’insorgenza di una nuova e diversa
patologia rispetto a quella originaria.
In sostanza, dunque, con i motivi di ricorso in esame viene
genericamente richiesta una nuova valutazione delle risultanze
istruttorie, il che non è consentito in sede di legittimità.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si denunzia «violazione del
diritto di difesa con riferimento alla mancata ammissione delle
prove dedotte. Violazione art. 24 Cost.».
Il motivo (privo di riferimento al profilo di censura dedotto ai sensi
dell’art. 360 c.p.c.) è infondato.
Il ricorrente lamenta che non sarebbe stata espletata la richiesta
consulenza tecnica di ufficio per accertare se la patologia
denunziata (diplopia) costituisse una nuova malattia o un
aggravamento della lesione originaria.
Ma la valutazione sulla necessità dell’espletamento di una
consulenza tecnica di ufficio rientra nel potere discrezionale del
giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità purché
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conclusioni.

adeguatamente motivato (cfr. Cass., Sez. 1, n. 26264 del 2
dicembre 2005:

«in materia di consulenza tecnica d’ufficio la

decisione del giudice di merito che ne esclude l’ammissione non è
sindacabile in sede di legittimità, posto che compete al giudice del
merito l’apprezzamento delle circostanze che consentano di
escludere che il relativo espletamento possa condurre ai risultati
perseguiti dalla parte istante, sulla quale incombe pertanto l’onere

settembre 2006; Sez. 1, n. 25569 del 17 dicembre 2010)
In altri termini, il mancato espletamento di una consulenza tecnica
di ufficio non costituisce vizio di violazione di legge, né error in
procedendo, di per sé, ma può in definitiva solo determinare un
vizio di motivazione (cfr. Cass., Sez. 3, n. 20814 del 27 ottobre
2004; Sez. 1, n. 10007 del 16 aprile 2008; Sez. 2, n. 72 del 3
gennaio 2011: Sez. 1, n. 17399 del 1° settembre 2015).
Nella specie un siffatto vizio di motivazione non risulta neanche
dedotto, e comunque certamente non sussiste, per quanto già
esposto in relazione ai motivi di ricorso esaminati in precedenza, cui
si può pertanto fare integrale richiamo.
3.- Con il terzo motivo del ricorso si denunzia «contraddittorietà e
violazione di norma di diritto con riferimento all’art. 210 c.p.c.».
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente lamenta che non sarebbe stata accolta la propria
istanza di emissione di ordine di esibizione ai sensi dell’art. 210
c.p.c., in relazione alla quietanza di pagamento delle somme
ricevute dalla compagnia di assicurazione, a suo dire rilevante ai fini
della interruzione della prescrizione.
Non viene però specificamente chiarito nel ricorso il concreto rilievo
che potrebbe avere il documento in questione ai fini dell’eventuale
interruzione della prescrizione.
Non viene indicato né il suo contenuto, né la data del pagamento
cui si riferisce, e ciò impedisce di verificare la possibile rilevanza di
esso ai fini della decisione.
Il motivo è inoltre formulato senza chiarire il parametro di
riferimento di cui all’art. 360 c.p.c., manca in esso l’indicazione del
concreto pregiudizio subito in conseguenza dell’omessa emissione
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di offrire gli elementi di valutazione»; conf.: Sez. 3, n. 20820 del 26

dell’ordine di esibizione richiesto, e neanche risultano precisamente
indicati il momento e il luogo processuale di formulazione
dell’istanza.

4.- Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del
principio della soccombenza, come in dispositivo.
Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al

deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13,
co. 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, co.
17, della citata legge n. 228 del 2012.

per questi motivi
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio
in favore della società controricorrente, liquidandole in
complessivi C 5.200,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre
spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del
2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma
del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, in data 15 marzo 2016.

termine previsto dall’art. 1, co. 18, della legge n. 228 del 2012,

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