Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8051 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/04/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 23/04/2020), n.8051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21785-2017 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE

3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO NICOLA SASSANI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ROBERTO PORTO, FABIO

SANTANGELI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 90,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE VACCARO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato OTTAVIO VACCARO giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

SI.RI., S.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 185/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 01/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/01/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

P.E. conveniva in giudizio i germani P.G. ed P.A., ed il marito di quest’ultima, S.N., in quanto donatari dalla madre defunta F.G., di un fondo in (OMISSIS) e di un’abitazione in (OMISSIS), chiedendo quindi procedersi alla divisione.

Si costituivano i fratelli i quali evidenziavano che la de cuius aveva disposto con testamento, nominando eredi universali solo i figli P.G. ed P.A., senza lasciare nulla all’attrice in quanto già beneficiata dai genitori con donazione del 1949. L’attrice a questo punto chiedeva reintegrare la propria quota di legittima.

Il Tribunale di Catania rigettava la domanda e la Corte d’Appello di Catania con sentenza non definitiva del 13 maggio 1985, rigettava la domanda di invalidità del testamento, ma riconosceva la sussistenza della dedotta lesione, rimettendo la causa in istruttoria per l’accertamento della sua entità.

Deceduto P.G., si costituivano gli eredi P.G. e Fi.An..

Con sentenza definitiva del 29/9/1990 la stessa Corte d’Appello faceva proprie le conclusioni del CTU e determinando la quota di riserva di ognuno dei figli nell’importo di Lire 24.410.000, condannava P.G. e Fi.An. alla restituzione all’attrice del fondo in (OMISSIS), loro pervenuto per successione testamentaria, nonchè dell’importo dovuto a titolo di frutti e della somma di Lie 96.149.000, quale compenso per la riduzione della donazione ricevuta dal loro dante causa il (OMISSIS).

La Corte di cassazione con la sentenza n. 11157 del 1994 rigettava il ricorso principale delle eredi di P.G. ed accoglieva il ricorso incidentale di P.E., con rinvio alla Corte d’Appello di Messina.

Riassunto il giudizio con sentenza non definitiva n. 25/2001 il giudice di rinvio, andando di contrario avviso rispetto alla precedente sentenza della Corte d’Appello di Catania del 29/9/1990, annullava le disposizioni testamentarie e dichiarava aperta la successione legittima.

Quindi disposto il rinnovo della CTU, con sentenza definiva n. 594/2011, previa costituzione di Si.Ri., quale erede dell’originaria parte attrice, e nel contraddittorio con l. e S.M., figli del convenuto S.N., deceduto nel corso del giudizio ed al quale i S. erano succeduti quali eredi unitamente a A.P., la Corte d’Appello di Messina attribuiva il relictum, rappresentato dal fondo in località (OMISSIS) agli eredi di P.G., disponendo un conguaglio a favore degli eredi di P.E.; inoltre ritenendo che nei beni relitti fosse inclusa anche la metà del vigneto in (OMISSIS) (nelle more venduto a terzi) ne ha diviso il valore in tre parti eguali, condannando P.A. e gli eredi di P.G. a corrispondere al Si. la sua quota parte pari ad Euro 3.013,87, oltre interessi.

Inoltre, e sempre al fine della reintegra della quota di legittima, condannava gli eredi di P.G. a corrispondere agli eredi di P.E. la somma di Euro 3.089,87, disponendo analoga condanna anche a carico degli eredi di P.A. ed in misura ridotta a carico degli eredi di S.N..

Avverso tale sentenza ha proposto revocazione S.M. ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, denunciando la presenza di un grave errore di fatto, in quanto si era falsamente ritenuto che al momento dell’apertura della successione facesse parte del relictum anche la metà indivisa del vigneto in (OMISSIS), che invece era stato donato per l’intero dalla de cuius al figlio P.G..

Chiedeva quindi che, previa revocazione della sentenza gravata, si disponesse l’attribuzione del fondo in (OMISSIS) alla sola P.G. (e per essa ai suoi eredi), con la condanna della stessa P.G. al versamento delle somme necessarie al fine di reintegrare la quota di legittima spettante alla dante causa del Si..

La Corte d’Appello di Messina con la sentenza n. 185 del 1 marzo 2017 ha rigettato la revocazione.

Dopo avere richiamato la nozione di errore di fatto suscettibile di determinare la revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, rilevava che effettivamente sussisteva l’errore di fatto denunciato dal S., in quanto la sentenza impugnata aveva ritenuto che fosse stata donata a P.G. solo la metà del fondo in (OMISSIS), laddove la donazione aveva riguardato l’intera proprietà, ma che le richieste di parte attrice esorbitavano dai limiti del giudizio di revocazione.

Infatti, il Si. aveva richiesto la condanna al pagamento di un conguaglio in relazione al fondo assegnato a P.G., richiesta che era stata disattesa dalla precedente sentenza della Corte d’Appello di Messina, in quanto P.A. non aveva avanzato una domanda di conguaglio.

Del pari non poteva trovare accoglimento la richiesta di rideterminare in un maggiore importo il conguaglio dovuto al Si. sempre da P.G..

La tesi del S. era che, una volta esclusa la quota del 50% dal relictum, al fine di reintegrare la lesione della quota di legittima della madre P.E. sarebbe stato sufficiente aggredire la sola donazione ricevuta da P.G., al quale è succeduta la figlia P.G., senza quindi anche dover ridurre la diversa donazione fatta a favore dell’altra coerede P.A..

Ma trattasi di conseguenze che incidono sull’attività valutativa del giudice, e che quindi esulano dall’ambito dell’errore revocatorio.

Inoltre il Si. non ha chiesto la rideterminazione in aumento dei conguagli dovuti, ma ha solo invocato un diverso criterio di riparto tra i donatari, ritenendo che la riduzione andasse compiuta solo nei confronti della donazione ricevuta dallo zio P.G..

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso S.M. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso P.G..

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, e art. 402 c.p.c., in quanto la sentenza gravata, pur riconoscendo l’esistenza di un errore di fatto nella precedente sentenza della Corte distrettuale, errore che avrebbe determinato una diversa misura di riparto del conguaglio dovuto al legittimario leso, ha ritenuto che si trattasse invece di un errore riconducibile ad uno dei vizi denunciabili con ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c.. A tal fine si è ipotizzato nella sentenza interessata dalla revocazione un ragionamento logico-giuridico in realtà inesistente, omettendo invece di considerare che le conclusioni di cui alla sentenza affetta da errore di fatto erano proprio travisate dall’erronea supposizione che nel relictum vi fosse ancora la quota del 50% di un terreno in realtà già donato per l’intero, errore che è poi risultato decisivo in quanto il maggior valore della donazione ricevuta da P.G. avrebbe permesso di tacitare i diritti della legittimaria lesa aggredendo solo tale posteriore donazione, senza quindi dover procedere anche nei confronti della donazione ricevuta dalla dante causa del ricorrente.

Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 395 e 402 c.p.c., per avere la Corte d’Appello violato la disciplina relativa alla fase rescissoria del giudizio di revocazione.

Infatti, la decisione impugnata ha ritenuto che non vi fosse luogo a revocazione perchè l’attore in revocazione si era limitato solo a richiedere un diverso criterio di ripartizione dei conguagli, ma senza chiedere anche una diversa quantificazione del conguaglio a suo carico, assumendo che ciò implicasse la denuncia di un errore di giudizio.

Si trascura però che in tal modo sono state esaminate le richieste della parte concernenti la fase rescissoria, senza avvedersi che, proprio a seguito dell’errore di fatto denunciato, in tale sede si sarebbe dovuto escludere, stante il maggior valore della donazione ricevuta dal coerede P.G., la sussistenza di un obbligo di conguaglio a carico dei S., quali eredi di P.A..

I motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione sono fondati.

Ed, invero, la stessa sentenza gravata ha nella sostanza riscontrato che vi era stato un errore, che deve rettamente ricondursi al novero di quello di fatto revocatorio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, quanto all’individuazione dei beni costituenti il relictum, atteso che, in contrasto con tutte le risultanze processuali, si era ritenuto che tra i beni caduti in successione vi fosse anche la metà del terreno in (OMISSIS), invece oggetto di donazione per l’intero al coerede P.G..

In tal senso deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’errore di fatto che può dar luogo alla revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato dall’art. 391 bis c.p.c., consiste nella erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontrastatamente esclusa, oppure nella supposizione della inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto oggetto dell’asserto errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato (Cass. n. 6388/1999; Cass. S.U. n. 5303/1997; Cass. n. 226/1999), ipotesi che ricorre nel caso di specie, atteso che l’oggetto della donazione risulta dagli atti essere pari alla piena proprietà, e non costituendo la questione un punto controverso sul quale la sentenza revocanda ebbe a pronunciarsi.

La ricorrenza di tale errore è peraltro riconosciuta in controricorso anche dalla difesa di P.G., che però ritiene di condividere il ragionamento svolto dalla Corte d’Appello, ragionamento che risulta però avere evidentemente ed erroneamente sovrapposto la valutazione da svolgere nella fase rescindente con quella invece necessaria nella fase rescissoria.

A tal fine va richiamata la giurisprudenza di questa Corte in base alla quale (cfr. Cass. n. 6881/2014) nella fase rescindente del giudizio di revocazione, il giudice, verificato l’errore di fatto (sostanziale o processuale) esposto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, deve valutarne la decisività alla stregua del solo contenuto della sentenza impugnata, operando un ragionamento di tipo controfattuale che, sostituita mentalmente l’affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della decisione stessa; ove tale accertamento dia esito negativo, nel senso che la sentenza impugnata risulti, in tal modo, priva della sua base logico-giuridica, il giudice deve procedere alla fase rescissoria attraverso un rinnovato esame del merito della controversia, che tenga conto dell’effettuato emendamento (conf. Cass. n. 3935/2009 che ribadisce la necessità di verificare il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, sottolineando che si tratta non già di un nesso di causalità storica, ma di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità logico-giuridica; Cass. S.U. n. 1666/2009).

La sentenza oggetto di revocazione, partendo dal presupposto che la metà del bene in (OMISSIS), nelle more venduto, rientrasse tra i beni comuni, al fine di verificare l’entità della lesione lamentata dal Si., quale successore di P.E., ha dapprima ripartito in tre quote eguali il valore di tale metà, e quindi ha provveduto ad accertare l’ulteriore lesione, al netto di quanto già ricevuto sul relictum, aggredendo le donazioni.

Quindi ha provveduto alla riduzione della donazione ricevuta da P.G., indicando la misura in cui la stessa andava ridotta, e ritenendo che residuasse ancora una lesione, ha aggredito anche la donazione del bene sito in (OMISSIS) della quale avevano beneficiato sia P.A. che il coniuge S.N., ritenendo che i germani S., in quanto eredi di entrambi fossero subentrati nella relativa obbligazione.

E’ evidente che, alla luce delle previsioni di cui all’art. 553 c.c. e ss., e tenuto conto di quanto espressamente previsto per l’ordine di riduzione delle donazioni dall’art. 559 c.c., l’avere incluso nel relictum un bene che ne era già fuoriuscito, ed avere invece considerato oggetto della donazione che sembra essere destinata ad essere aggredita in via prioritaria, una consistenza inferiore rispetto al reale ammontare della liberalità, consentono di affermare, in base al ragionamento di tipo controfattuale imposto al giudice della revocazione nella fase rescindente, che si tratti di errore che ha indubbiamente inciso sulla soluzione alla quale è pervenuta nella prima sentenza la Corte d’Appello di Messina, e ciò proprio perchè ne risulta inficiata la base logico-giuridica del ragionamento a sostegno della decisione a suo tempo presa.

Alla luce del giudizio controfattuale, la diversa consistenza del relictum, ridurrebbe quanto ricevuto sui beni caduti in successione dal legittimario leso, il quale dovrebbe trovare soddisfacimento delle proprie ragioni in maniera più consistente sul donatum, che però potrebbe essere aggredito seguendo l’ordine cronologico delle donazioni, e considerando anche il maggior valore, rispetto a quanto accertato nella sentenza revocanda, della donazione ricevuta dalla prima delle donazioni suscettibile di riduzione.

L’interesse del ricorrente, quale erede della prima donataria in ordine di tempo, si ravvisa proprio nella prospettazione secondo cui, una volta rimosso l’errore di fatto nel quale sono incorsi i giudici del rinvio, si sarebbe potuti addivenire alla rideterminazione in termini più favorevoli del conguaglio dallo stesso dovuto all’originaria parte attrice, se non addirittura alla conclusione della insussistenza di un’obbligazione siffatta, potendo le richieste del Si. trovare capienza nella sola donazione ricevuta dal dante causa di P.G..

Ne discende altresì che la diversa determinazione dei conguagli, come richiesta per la decisione in fase rescissoria, non costituisce una critica all’attività valutativa compiuta dal giudice del rinvio, ma rappresenta piuttosto la prospettazione delle conseguenze in termini di correttezza della decisione, quali scaturenti dalla diversa valutazione della realtà fattuale e giuridica, emendata dall’errore di fatto denunciato con la revocazione.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Messina, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, a diversa sezione della Corte d’Appello di Messina.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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