Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8050 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/04/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 23/04/2020), n.8050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20910-2017 proposto da:

M.A., M.V., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA BALDO DEGLI UBALDI, 66, presso lo studio

dell’avvocato SIMONA RINALDI GALLICANI, rappresentati e difesi dagli

avvocati GIANFRANCO MOBILIO, ISRAELE PASSANNANTI giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Z.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

9, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA MASTROCOLA,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO DEL MANTO giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 575/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 12/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/01/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dai ricorrenti.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione notificato a M.A., M.V. e M.A., Z.G. chiedeva al Tribunale di Salerno di accertare la legittimità del recesso dal contratto preliminare stipulato coi convenuti, in qualità di promissaria acquirente, relativamente ad una porzione di immobile sito in Salerno, adducendo che i promittenti venditori non avevano adempiuto al frazionamento ed accatastamento dell’immobile nel termine e secondo le modalità previste nello stesso contratto.

I convenuti si costituivano per contestare tutte le pretese attoree ed affermavano che nessun adempimento fosse loro imputabile dal momento che avevano adempiuto alla regolarizzazione della documentazione e che, al contrario, la stipula del definitivo era stata impedita dall’attrice, la quale non si era presentata dinanzi al notaio per la sottoscrizione del rogito, ragion per cui chiedevano il riconoscimento del diritto a ritenere la caparra.

In corso di causa veniva disposta consulenza tecnica d’ufficio, all’esito della quale il perito accertava che non risultava ancora completato l’iter amministrativo volto a ottenere la documentazione necessaria alla stipula del contratto definitivo, nè risultava avanzata una richiesta di frazionamento edilizio presso il Comune di Salerno.

Il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 1316/2009 rigettava la domanda attorea sulla base del fatto che dal preliminare emergeva che i promittenti venditori si erano impegnati a richiedere il frazionamento e l’accatastamento entro quattro giorni dalla stipula, ma senza la previsione di un termine entro il quale stipulare il definitivo; al contrario, nell’accordo si prevedeva unicamente che il definitivo dovesse essere stipulato entro un mese dal rilascio di siffatta documentazione.

Pertanto rigettava la domanda principale, precisando che essa non sarebbe stata meritevole di accoglimento neanche nel caso in cui fosse stata qualificata come domanda di risoluzione per inadempimento.

Z.G. proponeva appello e lamentava il mancato riconoscimento del diritto di recesso, deducendo che il Tribunale aveva errato nel ritenere necessaria, ai fini dell’accoglimento, l’esistenza di una clausola contemplante il recesso convenzionale. Secondo parte appellante, la somma versata con la stipula del preliminare aveva natura di caparra confirmatoria, e dunque, essendo essa parte non inadempiente, ai sensi dell’art. 1385 c.c., comma 2, aveva diritto a recedere con il diritto a ricevere il doppio di quanto versato.

Peraltro, affermava che nel preliminare era previsto un termine perentorio entro cui i convenuti avrebbero dovuto a richiedere il frazionamento dell’immobile promesso in vendita; tale termine, come rilevato anche dal CTU, non era stato rispettato, e tale inerzia permaneva anche successivamente alla scadenza del termine, nonostante avesse diffidato ad adempiere i promittenti venditori.

Il Tribunale aveva erroneamente invertito la parte che aveva invitato l’altra dinanzi al notaio per la stipula e nel motivare sulla mancanza di un termine entro cui concludere il definitivo, non aveva considerato la natura della diffida, la quale andava ricondotta ai termini ed agli effetti previsti dall’art. 1454 c.c., e parimenti legittimante il recesso ex art. 1385 c.c., comma 2.

A ciò doveva aggiungersi, inoltre, la circostanza per cui l’immobile era affetto da abusi edilizi che impedivano la richiesta di frazionamento, e che lo rendevano incommerciabile ex L. n. 47 del 1985, con conseguente nullità del preliminare, e impossibilità di darvi esecuzione, il che del pari legittimava il recesso della promissaria acquirente.

Secondo parte appellante, nel preliminare stipulato tra le parti, la condizione che obbligava i promittenti venditori alla richiesta di frazionamento era da ritenersi essenziale anche ai fini dell’individuazione dell’oggetto del contratto, perchè il frazionamento andava compiuto rispetto all’immobile promesso in vendita come la separazione di una quota dalla massa.

Poichè tale condizione non si era verificata, sussisteva il diritto a recedere, tenuto conto anche della mala fede dei venditori relativa alla conosciuta diversa originaria destinazione del fabbricato, nonchè dell’esistenza di abusi edilizi che avevano nascosto all’appellante.

Ai fini della gravità dell’inadempimento giustificante il recesso, si evidenziava che i promittenti venditori non solo non avevano richiesto il frazionamento, ma avevano promesso in vendita immobili privi del requisito di commerciabilità e con una destinazione d’uso diversa da quella abitativa.

Pertanto chiedeva la declaratoria di inadempimento degli appellati, con condanna in solido al pagamento di Euro 24.789,00, pari al doppio della caparra versata, oltre interessi di legge e rivalutazione, nonchè la condanna al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, con distrazione al procuratore.

Con comparsa di costituzione in appello, gli appellati affermavano che la Z. conosceva la circostanza per cui il frazionamento non avrebbe potuto realizzarsi prima dell’approvazione da parte del comune di Salerno della domanda di condono per cambio di destinazione d’uso dell’immobile da collegio in civile abitazione, e che il loro unico obbligo era quello di richiedere l’accatastamento entro quattro giorni dall’eventuale approvazione del frazionamento, dovendosi escludere che tali termini fossero essenziali.

Assumevano che l’immobile poteva essere trasferito anche senza condono, bastando l’esibizione della ricevuta di pagamento dell’oblazione, e che il requisito del frazionamento doveva considerarsi secondario; confermavano la loro presenza dinanzi al notaio, così che, poichè la Z. non si era presentata, andava ritenuta inadempiente.

Con sentenza n. 575/2017 la Corte d’appello di Salerno riteneva l’appello fondato, qualificando la caparra quale confirmatoria e non penitenziale, e ritenendo tale aspetto “pacifico”, in quanto emergente dalla lettura del preliminare.

Secondo i giudici d’appello il comportamento degli appellati configurava un grave inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c., che è norma operante allo stesso modo sia per la risoluzione ordinaria che per l’esercizio del recesso connesso alla caparra confirmatoria.

Disattendeva le conclusioni del Tribunale, in quanto la pattuizione della caparra è compatibile con la previsione di un termine non essenziale e perchè la diffida ad adempiere rappresenta uno strumento volto a realizzare una rapida risoluzione del rapporto mediante la fissazione di un termine di adempimento nell’interesse della parte adempiente. Nessuna valenza andava attribuita all’assenza della Z. all’atto della stipula, dal momento che, anche qualora avesse presenziato, comunque non si sarebbe potuti addivenire al rogito, mancando la documentazione necessaria.

La gravità dell’inadempimento derivava, in primo luogo, dal mancato rispetto dei termini per la richiesta del frazionamento e accatastamento, la quale, come risultava dall’esame peritale, non era mai stata correttamente avanzata; in secondo luogo, la stessa consulenza evidenziava l’assoluta inutilità dell’accatastamento presentato, in quanto mancante di autorizzazione comunale, che comprometteva la commerciabilità dell’immobile, che inoltre era privo del certificato di abitabilità.

La Corte dichiarata la legittimità del recesso, riformava integralmente la sentenza impugnata, e per l’effetto condannava le parti appellate al pagamento in solido del doppio della caparra (quantificato in Euro 24.789,00) e alla refusione delle spese legali relative ad entrambi i gradi di merito.

Per la cassazione della predetta sentenza propongono ricorso M.V. e M.A., sulla base di un unico motivo di ricorso, lamentando la “nullità della sentenza di appello per violazione o quanto meno falsa applicazione di norme di diritto, con particolare riferimento all’art. 1454 c.p.c. (diffida ad adempiere) ed alla L. n. 47 del 1985 (e successive modificazioni) e dei consolidati principi di diritto in materia di commerciabilità dei beni per aver erroneamente ritenuto che, per la sottoscrizione del rogito notarile, non fosse sufficiente la domanda di condono edilizio con le ricevute di pagamento dell’oblazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.)”.

Il Tribunale avrebbe correttamente rilevato che al momento della diffida gli odierni ricorrenti non potevano essere considerati inadempimenti perchè nel preliminare non era prevista alcuna ipotesi di recesso convenzionale, nè i termini di documentazione e di stipulazione dovevano ritenersi perentori. A differenza della Z., essi, su invito della stessa, si erano presentati dal notaio, producendo copia della licenza edilizia di costruzione del fabbricato e copia della domanda di condono edilizio per cambio di destinazione d’uso degli immobili, circostanze che la Corte d’appello, erroneamente, aveva considerato irrilevanti.

La Corte avrebbe errato nel ritenere tale documentazione inidonea ad addivenire alla stipula del rogito, poichè la L. n. 47 del 1985 consente la sottoscrizione dell’atto di vendita anche prima del rilascio della concessione edilizia in sanatoria. La mancanza del frazionamento non sarebbe di ostacolo al rogito, in quanto non è elemento preclusivo della commerciabilità dell’immobile.

Le varie lacune peritali hanno condizionato la Corte d’appello che, nel valutare la gravità dell’inadempimento, non ha considerato che il ritardo nel rilascio della concessione edilizia in sanatoria, non era dipeso dalla volontà dei venditori ma dalla farraginosità dell’iter burocratico.

Dunque l’abuso commesso dai ricorrenti non arriverebbe a quel livello di gravità, tale da giustificare la risoluzione contrattuale per “incommerciabilità dei beni”, considerando, peraltro, che al momento della diffida l’Amministrazione aveva già espresso parere favorevole all’accoglimento della domanda, elemento che “faceva presagire che essa sarebbe stata accolta”.

Si difende con controricorso Z.G..

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

I ricorrenti non colgono la ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata; si lamenta unicamente del fatto che la L. n. 47 del 1985 consenta la commerciabilità degli immobili per i quali è in corso una pratica di condono edilizio ed al ricorrere dei requisiti previsti dalle varie normative sul condono, ma senza considerare che sono ben altri gli elementi sui quali si fonda la valutazione dei giudici di appello circa la sussistenza del grave inadempimento dei ricorrenti.

Il giudizio in esame si basa, infatti, sul mancato adempimento da parte dei promittenti venditori all’obbligo di provvedere al frazionamento ed all’accatastamento dell’immobile, e ciò in conformità con quanto espressamente concordato nel preliminare. E’ pur vero che i giudici di appello riferiscono anche dell’assunta incommerciabilità dell’immobile, ma si tratta all’evidenza di argomento speso al fine di rafforzare il giudizio circa la ricorrenza del grave inadempimento degli appellati, già ravvisabile per la sola mancata ottemperanza all’obbligo di accatastare e frazionare l’unità promessa in vendita, costituendo quindi un argomento utilizzato ad abundantiam. Infatti, la lettura della sentenza gravata non lascia dubbi circa la conclusione che, a risultare determinante ai fini dell’accertamento della legittimità del recesso della promissaria acquirente, è l’inadempimento rispetto a quanto previsto nel preliminare, e cioè che i M. al momento del rogito avrebbero dovuto essere in grado di fornire la documentazione relativa all’accatastamento e al frazionamento dell’immobile. Il ragionamento della sentenza gravata evidenzia che invece gli stessi, non solo si sono presentati dinanzi al notaio con una documentazione totalmente difforme rispetto a quella prevista nel preliminare per la stipula del definitivo, ma che, anche a seguito dell’inoltro della diffida ad adempiere, sono rimasti inerti.

Ciò ha quindi legittimato la Z. ad avvalersi del diritto di recesso ed a chiedere la restituzione del doppio di quanto anticipato a titolo di caparra confirmatoria.

Va quindi ribadito che l’apprezzamento circa la ricorrenza del grave inadempimento di uno dei contraenti è rimesso alla prudente valutazione del giudice di merito, qualora sia sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici, e che quindi non è suscettibile di essere sindacata in sede di legittimità (in tal senso, v. Cass. n. 6401/2015; Cass. n. 14974/2006; Cass. n. 16579/2002).

La decisione risulta, d’altra parte, pienamente conforme all’indirizzo di questa Corte, che già in altre occasioni ha avuto modo di affermare che, in tema di contratto preliminare cui acceda il versamento di una caparra confirmatoria, la parte adempiente che si sia avvalsa della facoltà di provocarne la risoluzione mediante diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c., può comunque esercitare il diritto di recesso ex art. 1385 c.c., comma 2, e in tal caso, ove abbia versato la caparra, ha diritto di ricevere la restituzione del doppio di essa, con esclusione del diritto al risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento che ha giustificato il recesso (Cass. n. 26206/2017).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2020

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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