Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8049 del 21/04/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 8049 Anno 2016
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso 29059-2012 proposto da:
SCHEMBRI NUNZIA SCHNNZ82R59D960T, domiciliato ex lege
in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato
GIUSEPPE CAMMALLERI giusta procura speciale a margine
del ricorso;
– ricorrente-

2016
contro

185

CATTOLICA ASSICURAZIONE SOC COOP 00320160237, VALENTI
GIUSEPPE, VALENTI LUIGI;
intimati

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Data pubblicazione: 21/04/2016

avverso la sentenza n. 180/2012 della CORTE D’APPELLO
di CALTANISSETTA, depositata il 22/09/2012, R.G.N.
153/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/01/2016 dal Consigliere

Dott.

CHIARA

udito l’Avvocato GIUSEPPE CAMMALLERI;

udito il P.M. in persona del

Sostituto

Procuratore

Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
il rigetto del ricorso;

2

GRAZIOSI;

29059/2012

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 15 maggio 2007 il Tribunale di Gela accoglieva parzialmente la domanda
di risarcimento di danni da sinistro stradale proposta da Schembri Nunzia nei confronti di
Valenti Giuseppe (conducente di un’auto di cui, dopo averla parcheggiata, apriva lo sportello
facendo cadere l’attrice che era trasportata senza casco su un ciclomotore non omologato al

Cooperativa (compagnia assicuratrice dell’auto), attribuendo la responsabilità del sinistro per il
65% a Valenti Giuseppe e conseguentemente condannando in solido i convenuti a risarcire
all’attrice la somma di C 20.361,152, oltre accessori e spese di causa.
Avendo Schembri Nunzia proposto appello contro tale sentenza, la Corte d’appello di
Caltanissetta, con sentenza del 7 giugno-22 settembre 2012 lo ha accolto parzialmente,
condannando solidalmente gli appellati a risarcire controparte nella misura di C 31.788,25 oltre
accessori, nonché a rifonderle i due terzi delle spese del grado.
2. Ha presentato ricorso Schembri Nunzia, sulla base di tre motivi.
Il primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., falsa applicazione
dell’articolo 115, secondo comma, c.p.c., per avere il giudice d’appello invocato le nozioni di
fatto per determinare la responsabilità concorrente della Schembri, laddove l’articolo 115,
secondo comma, c.p.c. ne consentirebbe l’uso esclusivamente se le prove fornite dalle parti
sono insufficienti o lacunose.
La corte viene inoltre censurata per aver effettuato valutazioni di tipo tecnico, non riconducibili
al notorio ex articolo 115, secondo comma, c.p.c., e per essersi avvalsa di scienza individuale
propria.
Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa
applicazione degli articoli 2043, 1223, 1227 c.c., 40 e 41 c.p., nonché violazione dell’articolo

trasporto di passeggeri), Valenti Luigi (proprietario dell’auto) e Cattolica Assicurazioni Società

116 c.p.c.
Censura la ricorrente il giudice d’appello per avere supposto genericamente un “aggravamento
da parte del conducente” del ciclomotore “per la sola presenza sul mezzo della Schembri”, in
difetto di nesso causale tra la sua presenza e la caduta del ciclomotore. Tutto sarebbe derivato
dall’apertura dello sportello, mentre il resto sarebbero supposizioni, mancando la prova del
nesso causale. Inspiegabile sarebbe pure l’incidenza della mancanza del casco dal momento
che il danno biologico permanente riguarda solo gli arti inferiori, e non le lievissime lesioni al ipt/7
capo subite dalla ricorrente. Inoltre la corte territoriale non avrebbe valutato con apposite
indagini tecniche in quale misura il casco avrebbe alleviato le conseguenze lesive.

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Il terzo motivo, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., denuncia errata applicazione
dell’articolo 92, secondo comma, c.p.c., essendo state le spese del grado d’appello
parzialmente compensate per mancato accoglimento di uno dei motivi del gravame. Qualora
sia accolto il presente ricorso, il capo relativo alle spese nella impugnata sentenza dovrebbe
dunque essere riformato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo è composto di alcune doglianze relative alle modalità di accertamento del
giudice d’appello, che la ricorrente riconduce all’articolo 115, secondo comma, c.p.c..
3.1.1 In primo luogo, si censura la corte territoriale per avere ritenuto – premesso che al
conducente del ciclomotore l’impatto con lo sportello aveva reso difficile mantenere l’equilibrio
– che “tale difficoltà deve considerarsi aggravata, in base alle regole di comune esperienza, dal
comportamento” dell’attuale ricorrente, cioè dal fatto che ella viaggiava come trasportata in un
veicolo sul quale il trasporto di passeggero era vietato “proprio perché pregiudica in quel tipo
di veicolo un adeguato controllo del mezzo”. La violazione dell’articolo 115, secondo comma,
c.p.c. che il giudice d’appello avrebbe commesso consiste nel “ricorso alle nozioni di fatto che
rientrano nella comune esperienza”, essendo tale ricorso “consentito al giudice solo laddove le
prove fornite dalle parti siano insufficienti o lacunose”, mentre nel caso di specie “consentono
un’esatta e completa ricostruzione”.
La censura è palesemente infondata, dal momento che l’articolo 115, secondo comma, c.p.c.
non subordina l’utilizzo delle “nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza” alla
impossibilità di accertare sulla base di altri mezzi di prova, unicamente evidenziando il
legislatore che il convincimento del giudice può fondarsi su tali nozioni anche senza bisogno di
ulteriori supporti probatori (“senza bisogno di prova”).
Invero, il ricorso al fatto notorio attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al
giudice di merito e sindacabile, in sede di legittimità, solo se la decisione della controversia si
fondi su un’inesatta nozione del notorio, che è il fatto conosciuto da una persona di media
cultura in un dato tempo e luogo (cfr. da ultimo Cass. sez. 1, 10 settembre 2015 n. 17906;
Cass. sez.5, 29 ottobre 2014 n. 22950; Cass. sez. 3, 18 luglio 2011 n. 15715).
Che poi – si osserva ad abundantiam – il compendio probatorio nel caso di specie fosse, a
prescindere dai dati del notorio, sufficiente o meno a ricostruire la dinamica del sinistro è una
4

La ricorrente ha depositato anche memoria ex articolo 378 c.p.c.

valutazione riservata al giudice di merito, che dunque non può essere fondamento di doglianza
dinanzi al giudice di legittimità se non come vizio motivazionale, qui non denunciato (v., p. es.,
Cass. sez.6-5, ord. 26 gennaio 2015 n. 1414; Cass. sez.2, 17 novembre 2005 n. 23286): e
non a caso, pertanto, l’argomentazione che viene offerta a sostegno della doglianza in
questione riguarda la ricostruzione del fatto (riportando quella effettuata dal giudice di primo
grado e definendola esaustiva ) anziché la corretta interpretazione dell’articolo 115, secondo
comma, c.p.c.

giurisprudenza di legittimità per cui il notorio ex articolo 115, secondo comma, non include le
cognizioni tecniche. In particolare, la ricorrente richiama Cass. sez.

L, 5 giugno 2000 n. 7500

(non massimata); ma che il notorio non si estenda alle cognizioni tecniche è del tutto indubbio
e ontologicamente necessario, poiché il notorio è esattamente l’inverso delle conoscenze
particolari (cfr.. Cass. sez. 1, 19 marzo 2014 n. 6299; Cass. sez. 2, 31 maggio 2010 n. 13234;
Cass. sez. 5, 28 febbraio 2008 n. 5232).
Si adduce allora che, violando tale principio di diritto, la corte territoriale “formula valutazioni
di tipo tecnico, tanto da affermare una “difficoltà” da parte della conducente del ciclomotore
nel “mantenere l’equilibrio” che non è stata, in alcun modo, conclamata”; ciò sarebbe
comunque impossibile perché “il ciclomotore con a bordo la Schembri si trovava a marciare
rasente l’autovettura durante la fase di apertura dello sportello, sicché non poteva compiere
alcuna manovra per impedire l’evento”.
Premesso che quest’ultimo asserto sulla assoluta impossibilità di manovre del conducente è
puramente fattuale, ovvero non considerabile da questo giudice di legittimità, non si vede quali
sarebbero state le “valutazioni di tipo tecnico” che avrebbero fatto fuoriuscire dall’ambito del
notorio quanto rilevato dalla corte territoriale. La corte, invero, si è limitata a un’osservazione
pienamente riconducibile alla comune esperienza, e cioè che la manovrabilità di un ciclomotore
è influenzata dal suo carico; e che un siffatto rilievo rientri nel fatto notorio è stato già, di
recente, riconosciuto da questa Suprema Corte proprio nella verifica, in relazione alla corretta
applicazione dell’articolo 115, secondo comma, che le compete della qualificabilità del fatto
come notorio, verifica che si attua ripercorrendo il processo cognitivo dello stato di conoscenza
collettiva operato del giudice di merito (così appunto Cass. sez. 3, 29 novembre 2011 n. 25218
ha ritenuto notorio il fatto che la presenza di un secondo passeggero a bordo di un ciclomotore
determini un carico eccessivo idoneo a ridurre sia la stabilità del mezzo che la sua capacità di
frenata).
3.1.3 Infine, sempre a proposito del passo in cui il giudice d’appello afferma che la presenza
della trasportata ha prodotto un effetto negativo sulla guida del ciclomotore – vale a dire, si è
verificato un concorso di responsabilità nella causazione del sinistro -, il motivo imputa al
giudice di secondo grado l’utilizzazione di “cognizioni particolari o soggettive tratte dalla
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3.1.2 Ulteriore censura viene successivamente proposta sulla base di un arresto di

scienza individuale del giudice”: a sostegno di questo asserto richiama ancora giurisprudenza
di legittimità (che la scienza privata non rientri nel notorio è indiscusso come per quanto
riguarda le cognizioni tecniche: agli arresti più recenti v, in particolare Cass. sez. 1, 19 marzo
2014 n. 6299, cit., Cass. sez. 5, 2 ottobre 2012 n. 16959 e Cass. sez. 2, 19 novembre 2007 n.
23978), ma non indica neppure quali sarebbero le manifestazioni di scienza privata che il
giudice di appello avrebbe inserito nella motivazione o di cui si sarebbe comunque avvalso. Al
contrario, ancora una volta, pone la critica sul piano fattuale, argomentando nel senso che si
può ben pervenire a conclusioni opposte rispetto a quelle della sentenza impugnata, ovvero

da una repentina apertura di sportello da parte di un’autovettura in sosta nel mentre il
conducente del ciclomotore proceda “a filo” dell’autovettura.
Il motivo, in conclusione, è in ogni sua doglianza privo di fondatezza.
3.2.1 Il secondo motivo non si allontana dal centro – fattuale – della questione della
corresponsabilità nella causazione del sinistro, nonostante sia rubricato come violazione di
norme civili (articoli 2043, 1223 e 1227 c.c.), penali (articoli 40 e 41 c.p.) e processuali
(articolo 116 c.p.c.).
Afferma invero la ricorrente che il giudice d’appello suppone “in modo generico la sussistenza
di un aggravamento da parte del conducente per la sola presenza sul mezzo della Schembri”,
laddove mancherebbe “un nesso causale diretto” tra la sua presenza e la caduta del
ciclomotore: infatti tale evento “si è verificato a causa dell’urto improvviso tra sportello e
ciclomotore, mentre tutto il resto è solo una supposizione, mancando la prova del rapporto di
causalità tra l’azione della ricorrente e l’evento”. Più che evidente è la natura direttamente
fattuale di una simile critica, in questa sede inammissibile, e comunque non riconducibile alla
violazione delle norme denunciata nella rubrica del motivo.
3.2.2 Prosegue poi sulla stessa linea di contestazione direttamente fattuale il motivo,
adducendo che l’assenza del casco non avrebbe avuto incidenza sulle lesioni riportate dalla
ricorrente, avendo quelle riportate agli arti inferiori prodotto effetti permanenti, “mentre erano
lievissime quelle al capo, in esito delle quali non era residuato alcunché”. Peraltro, il giudice
d’appello – si osserva ad abundantiam, trattandosi di argomento, appunto, inammissibilmente
fattuale – non ha attribuito al mancato uso del casco alcun danno biologico permanente, bensì
ha affermato che il mancato uso del casco non è stato totalmente privo di rilievo “visto che la
prima diagnosi evidenziava, oltre alle lesioni al malleolo e al tendine, una contusione cranica
con ferita lacero contusa alla palpebra superiore destra”. Il che, tra l’altro, evidenzia pure
l’assoluta irrilevanza dell’ultima censura del motivo, che critica il giudice d’appello per non
avere “valutato, sulla base di apposite indagini tecniche, in quale misura l’uso del casco
protettivo avrebbe permesso di alleviare le conseguenze lesive”: ciò per di più in contrasto con

6

che “il conducente di media abilità di un veicolo a due ruote non può evitare di essere colpito

quanto appena sopra sostenuto dalla stessa ricorrente, e cioè che dalle lesioni al capo “non era
residuato alcunché”.
Anche il secondo motivo, dunque, sostanzialmente diretto a far valere valutazioni alternative di
fatto, è privo di pregio.
3.3 Il terzo motivo, infine, è palesemente subordinato all’accoglimento dei precedenti, come
dichiara la stessa ricorrente, per cui, essendo risultati infondati il primo e il secondo motivo,

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma il 26 gennaio 2016

Il Consigli

Estensore

Il Presidente

non vi è luogo a valutarlo.

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