Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8049 del 08/04/2011

Cassazione civile sez. I, 08/04/2011, (ud. 14/02/2011, dep. 08/04/2011), n.8049

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.S. (C.F. (OMISSIS)), P.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BUCCARI 3, presso l’avvocato

ACONE MARIA TERESA, rappresentati e difesi dagli avvocati ACONE

MODESTINO, FELEPPA ANTONIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

NESTLE’ ITALIANA S.P.A. (C.F. (OMISSIS) – P.I. (OMISSIS)), in

persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA SALARIA 259, presso l’avvocato PASSALACQUA MARCO,

rappresentata e difesa dagli avvocati DEGLI OCCHI CESARE, BIANCHI

AUGUSTO, DIMUNDO FRANCESCO, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2018/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/02/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

uditi, per i ricorrenti, gli Avvocati M.T. ACONE e A. FELEPPA che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato A. BIANCHI che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.S. e P.A., originariamente titolari del 100% delle azioni della s.p.a. Pezzullo Molini Pastifici Mangimifici (PMPM), che già nel 198 6 avevano ceduto la quota di minoranza di detta partecipazione alla Buitoni, poi incorporata nella Nestlè, con contratto del 27/4/1989 cedevano la restante quota, con pattuizioni complesse, relative, tra l’altro, all’attribuzione dei contributi statali a fondo perduto stanziati per gli eventi sismici del 1980 con la L. n. 219 del 1981, in relazione alla “delocalizzazione” dei tre opifici facenti capo alla PMPM- molino, pastificio, mangimificio – ed alla possibilità per i P., direttamente o a mezzo di società controllata (la Pezzullo Industrie Zootecniche s.p.a., d’ora innanzi, PIZ) di continuare ad esercitare le aziende relative al molino ed al mangimificio.

L’esecuzione del contratto dava origine a contrasti.

Le parti addivenivano al successivo accordo dell’8/5/1996, con il quale in sostanza i P. rinunciavano al molino, e concentravano l’attività sul mangimificio, la cui ricostruzione, “delocalizzata” e almeno parzialmente finanziata con i contributi di cui sopra, veniva finanziata dalla Nestlè con la pattuizione di affitto, o in subordine contratto di fornitura, a favore dei P., e di un patto di opzione per la cessione di tale nuovo mangimificio ai P. o a società dagli stessi designata.

Anche l’esecuzione di detto contratto dava adito a contrasti.

Con atto notificato il 10/4/1998, i P. promuovevano giudizio arbitrale, avvalendosi della clausola compromissoria sub art. 14 del contratto 8/5/96, proponendo sedici domande,in via principale ed in gradato subordine; la Nestlè chiedeva il rigetto delle domande avversarie. Con il lodo sottoscritto il 18-19 aprile 2002, il collegio arbitrale, deliberando all’unanimità, escludeva la propria competenza sulla prima domanda, relativa all’adempimento del contratto del 1989, accoglieva la seconda domanda, relativa all’attualizzazione di quanto dovuto per la cessazione del contratto di “fornitura semole”, condannando la Nestlè al pagamento della complessiva somma di Euro 76.796,03, oltre interessi, e rigettava tutte le altre domande, intese ad ottenere, in particolare, l’emissione di sentenza costitutiva per il trasferimento dell’area di sedime, o in subordine, il risarcimento danni per tale profilo; la declaratoria di illegittimità della risoluzione anticipata del contratto d’affitto relativo all’attività molitoria; la declaratoria di avvenuta conclusione del contratto di fornitura di mangimi, in subordine, il risarcimento danni per la mancata conclusione; la declaratoria della titolarità del diritto di opzione per l’acquisto del mangimificio, della nullità, inefficacia della pattuizione dell’8/5/1996, sulla corresponsione alla Nestlè degli oneri finanziari da capitalizzarsi trimestralmente; la condanna della Nestlè e, per un capo di domanda, anche della PMPM, al risarcimento dei danni, sotto i diversi profili indicati.

Con atto di citazione notificato il 27/5/2003, P.S. ed A. impugnavano il lodo per nullità, per violazione di regole di diritto, avanti alla corte d’appello di Milano, deducendo tre motivi;

si costituiva la Nestlè s.p.a., eccependo la inammissibilità, stante la sostanziale natura di atto d’appello e la mancata specificazione delle censure rilevanti, e comunque l’infondatezza dell’impugnazione.

La corte d’appello, con sentenza in data 23/6-6/7/2004, respingeva l’impugnazione, condannando gli impugnanti a pagare le spese del giudizio.

La corte territoriale, premesso che il contratto di cui si discute è il contratto di fornitura di prodotti mangimistici di cui all’art. 10 della scrittura privata dell’8/5/1996, nonchè il collegato contratto di opzione per l’acquisto del nuovo mangimificio da parte dei P. al termine del contratto di fornitura, ha ritenuto infondato il primo motivo di impugnazione, di nullità per violazione delle norme sulla interpretazione del contratto, artt. 1362 – 1371 c.c. e sulla conclusione del contratto mediante incontro di proposta ed accettazione, artt. 1362 e ss. c.c., rilevando che gli arbitri avevano escluso la conclusione del contratto di fornitura, con l’accettazione da parte del P. della proposta del 3/7, evidenziando una serie di circostanze fattuali, escludendo altresì la conclusione del contratto nell’incontro di Milano del 22/7, sulla base delle testimonianze e della stessa ammissione del P. nella lettera del 24/7.

La tesi degli impugnanti,secondo cui il contratto si sarebbe concluso sin dal 17-20 luglio con l’accettazione da parte dei P. della bozza-proposta della Nestlè del 3 luglio, rileva la corte, è censura che riguarda il merito arbitrale, e nell’ambito dello stesso motivo, la deduzione della violazione delle regole ermeneutiche, secondo cui il negozio va interpretato secondo la comune intenzione delle parti, è generica; gli impugnanti non avevano allegato il testo della clausola, nè indicato precisi elementi da cui si sarebbe dovuto ritenere pacifica, a fronte del dato letterale, la detta comune intenzione delle parti; a fronte della interpretazione degli arbitri basata sul dato letterale, la censura è generica ed intesa ad ottenere un inammissibile riesame della valutazione operata dagli arbitri.

Quanto alla dedotta violazione degli artt. 1175, 1337, 1375, 1218 c.c., in relazione all’addebitabilità dell’omesso perfezionamento del contratto di fornitura al comportamento omissivo dei P., la corte ha rilevato che gli arbitri avevano ritenuto ingiustificata la nuova pretesa dei P. di ottenere garanzie fideiussorie, e le diffuse allegazioni degli impugnanti attenevano alla valutazione del materiale probatorio, da cui l’inammissibilità della censura.

Quanto infine alla deduzione di violazione degli artt. 1175, 1337, 1375, 1218 e 2043 c.c., in relazione alla reiezione della domanda risarcitoria dei P. per mancato trasferimento dell’area di sedime, ceduta gratuitamente in corso di arbitrato al comune di Eboli, gli arbitri hanno escluso ogni responsabilità della Nestlè, in quanto l’impegno irrevocabile della PMPM di vendere ai P. o a società dagli stessi designata la cd. area di sedime, di cui all’art. 12 del contratto del 1996, era subordinato tra l’altro al fatto che il comune di Eboli non esercitasse la prelazione relativa all’immobile e non intervenissero provvedimenti dell’autorità impeditivi del trasferimento; nel caso, il Comune aveva subordinato l’inizio della produzione del Nuovo Mangimificio nonchè il proseguimento dell’attività del “nuovo molino” e del pastificio alla sottoscrizione, Legge Quadro n. 76 del 1990, ex art. 27, comma 7, di convenzione, con cui la Nestlè prendeva atto dell’approvazione di una variante di PRG che destinava detta area ad attrezzature ed impianti di carattere generale, e con successivo atto del 15/12/1999, la PMPM cedeva gratuitamente l’area, D.Lgs. n. 76 del 1990, ex art. 35, comma 7.

Secondo la corte territoriale, la censura degli impugnanti, secondo cui il comune non aveva mai esercitato il diritto di prelazione di fonte legale, ma solo aveva diffidato PMPM a cedere l’area, con conseguente possibilità per la Nestlè di impugnativa, configurava una quaestio facti, mirando sostanzialmente a contestare l’interpretazione delle clausole contrattuali e la loro applicabilità alla concreta situazione.

Per la cassazione di detta sentenza hanno proposto ricorso i P., affidato a due motivi. Resiste con controricorso la Nestlè.

Ambedue le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 degli artt. 1326 e ss., 1362 e ss., artt. 1371 e 2697 c.c. nonchè degli artt. 99 e 115, 112, 116 e 827 e ss. c.p.c., omessa insufficiente contraddittoria motivazione su di un punto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Secondo i ricorrenti, la sentenza è censurabile sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione, per avere ritenuto attinente al merito del giudizio arbitrale la questione della avvenuta o non avvenuta conclusione del contratto di fornitura, mentre la parte aveva dedotto, ex art. 829 c.p.c., comma 2, la violazione delle norme relative alla conclusione del contratto e dei canoni di ermeneutica contrattuale, che impongono di tenere conto della comune intenzione delle parti valutando il loro comportamento complessivo.

I ricorrenti, allo scopo di evidenziare il vizio afferente alla pronuncia impugnata, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, riproducono gli atti e la corrispondenza intercorsi tra la Nestlè ed il dott. P. nel periodo che qui interessa, ed in particolare, la lettera inviata da PMPM alla PIZ il 3 luglio 1998, di trasmissione, in allegato, della bozza di contratto rielaborata dalla stessa PMPM sul testo in precedenza inviato dalla PIZ; la lettera di risposta della PIZ del 9 luglio, a cui seguiva la notifica il 14 luglio del testo ulteriormente modificato da PMPM (“invito a contrarre”); la lettera racc. a. r. del 17 luglio del dott. P. alla Nestlè, con cui la parte comunicava la volontà di procedere alla conclusione del contratto secondo la proposta inviata il 3 luglio e quindi ritirando le proposte migliorative formulate dalla PIZ il 9 luglio, seguita dalla lettera racc. a. r. del 20 luglio, di trasmissione da parte della PIZ del contratto di fornitura debitamente sottoscritto; la lettera della PMPM del 21 luglio, con cui la società prendeva atto dell’accettazione da parte del P. del contratto nella versione del 3 luglio, confermava la disponibilità a sottoscrivere il contratto di fornitura nella versione “3 luglio”, subordinatamente alle condizioni indicate, e fissava per la sottoscrizione del contratto la data del 22 luglio presso lo studio Erede a Milano; la conferma il 21 luglio stesso da parte del P. della propria disponibilità a sottoscrivere il contratto il 22 luglio presso lo studio Erede in Milano, seguita da racc. a.r. della PIZ con gli allegati di competenza; le lettere della PMPM e della Nestlè del 23 luglio, inviate alla PIZ ed al consulente dott. P., che, in tesi, dimostrano che la Nestlè era convinta della conclusione del contratto.

Secondo i ricorrenti, la corte territoriale ha omesso di esaminare la correttezza o meno della conclusione degli arbitri in relazione alla ritenuta mancata conclusione del contratto, così reiterando la violazione del canone di cui all’art. 1326 c.c. e, di conseguenza, le norme di ermeneutica contrattuale (art. 1362 c.c.).

1.2 – Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1218, 1337, 1362 e ss., artt. 1375, 2697, nonchè degli artt. 99, 116 c.p.c.; l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Secondo i ricorrenti, la corte territoriale ha erroneamente ritenuto che rientrava nella valutazione del materiale probatorio la censura mossa al lodo arbitrale per avere male applicato le norme sulla interpretazione del comportamento delle parti in sede di conclusione e di esecuzione del contratto, pervenendo a ritenere l’addebitabilità alla PIZ ed ai P. della mancata conclusione del contratto, mentre gli stessi avevano fatto tutto quanto di competenza alla data fissata per la “formalizzazione”, a fronte della Nestlè, che non era pronta con gli allegati.

A parte la telefonata dell’avv. Celestino della Nestlè al consulente dei P., dott. P., dalla lettera del 23 luglio della Nestlè si evince, secondo i ricorrenti, che la stessa non aveva provveduto ancora a redigere l’all. 1.11, contenente la specificazione e descrizione del costo sopportato da Nestlè per la realizzazione del nuovo mangimificio, mai prima formalmente comunicato da Nestlè, in sè importantissimo, ma irrilevante ai fini della conclusione del contratto di fornitura, perchè questo prevedeva uno speciale procedimento volto a dirimere ogni controversia che potesse sorgere sulle componenti dell’allegato; il dott. P. era ripartito da Milano perchè l’allegato non era pronto, assicurando che sarebbe tornato il giorno successivo, e la Nestlè aveva tenuto un comportamento subdolo il 23 luglio, quando l’avv. Celestino disse al P. che il contratto non sarebbe stato sottoscritto; nè vi era prova che PIZ o P. avessero subordinato la conclusione del contratto alla prestazione di garanzie bancarie, fatto che era di esclusivo onere di Nestlè.

La censura, concludono i P., era intesa a far valere la mancata osservanza da parte della Nestlè dei canoni di correttezza e buona fede.

2.1.- Il primo motivo del ricorso è inammissibile, sotto ambedue le prospettazioni fatte valere.

E’ opportuno premettere che in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che ha deciso sulla impugnazione per nullità del lodo arbitrale, il sindacato di legittimità va condotto esclusivamente attraverso il riscontro della conformità a legge e della congruità della motivazione della sentenza che ha deciso sulla impugnativa, con la conseguenza che sono inammissibili le doglianze condotte direttamente in relazione al lodo (così Cass. 21035/2009, 178/2008, 10209/2007, 6028/2007, 2563/2007, 23670/2006, tra le tante); in tema di interpretazione dei contratti, l’accertamento dell’accordo delle parti si traduce in indagine di fatto affidata al giudice del merito e quindi, nel caso di arbitrato, agli arbitri, e tale accertamento è censurabile in sede di controllo di legittimità, quale quello affidato al giudice dell’impugnazione per nullità ex art. 829 c.p.c., soltanto nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dagli arbitri per giungere ad attribuire al contratto un determinato contenuto, oppure per violazione delle norme ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e ss c.c.: in tal caso, colui che impugna il lodo non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli articoli indicati, ma deve specificare i canoni in concreto violati, nonchè il punto ed il modo in cui l’arbitro si sia da essi discostato, non essendo sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante, traducendosi questa in sostanza nella richiesta di un nuovo accertamento di fatto, inammissibile in sede di legittimità.

A sua volta, la sentenza della corte d’appello sulla impugnazione del lodo per violazione delle norme di legge sulla interpretazione dei contratti può essere censurata in sede di ricorso per cassazione, che dovrà soltanto verificare se la corte territoriale abbia esaminato tale censura e dato della soluzione adottata adeguata e corretta motivazione (vedi Cass. 25623/2007, Cass. 12550/2000).

Nel caso di specie, la corte d’appello, esaminando il primo motivo di impugnazione, ha rilevato che gli arbitri avevano escluso, sulla base di una serie di circostanze fattuali, la conclusione del completo accordo tra le parti con l’accettazione da parte del P. della proposta del 3/7, escludendo altresì la conclusione del contratto nell’incontro di Milano del 22 luglio, sulla base delle risultanze testimoniali, secondo cui la parte P. non aveva ritenuto sufficienti i dati dell’allegato 1.11, come ribadito dal P. nella lettera del 24 luglio, di carattere ammissivo.

Quanto al richiamo al criterio del comune comportamento delle parti, la corte territoriale, premesso che gli impugnanti non avevano neppure riportato il testo della clausola di cui chiedevano una interpretazione diversa da quella resa dagli arbitri (ovvero il collegamento del diritto di opzione con la conclusione del contratto di fornitura, sì che la mancata conclusione del secondo aveva fatto venire meno anche il primo) , ha evidenziato che la censura, non relazionata a precisi elementi negoziali o fattuali, era del tutto generica ed intesa ad ottenere una inammissibile rivalutazione di quanto già valutato dagli arbitri.

Ciò posto, si deve rilevare l’inammissibilità del motivo di ricorso sotto il duplice profilo della mancanza di specificità e completezza nella indicazione del vizio di violazione di legge, per non avere indicato in quali modi e con quali considerazioni il giudice del merito si sarebbe discostato dai canoni legali in tesi violati, atteso che l’accertamento della volontà delle parti è indagine di fatto (sul principio, vedi tra le ultime, le pronunce 1324/2010, 15381/2004, 13839/2004, tra le tante) (e per avere proposto in sede di legittimità un tipico riesame del merito, prospettando una ricostruzione dei fatti diversa, scegliendo i documenti in tesi idonei a provare il proprio assunto, con ciò intendendo operare un inammissibile apprezzamento del lodo, e non della decisione emessa in sede di giudizio di impugnazione (sul principio, vedi Cass. 21035/09, 10209/07, 6028/07, 6425/06, 23900/2004).

Quanto alla denuncia del vizio di motivazione, è di chiara evidenza che la parte ha fatto valere mere critiche alla ricostruzione della volontà operata dagli arbitri, formulando una proposta di diversa interpretazione, che la stessa corte territoriale ha ritenuto afferente al merito della controversia e quindi ad un’inammissibile richiesta di rivalutazione del merito arbitrale.

2.1.- Parimenti inammissibile è il secondo motivo. In relazione alla censura proposta in subordine, relativa alla ritenuta addebitabilità al comportamento colposo dei P. del mancato perfezionamento del contratto, la corte territoriale ha dato atto delle argomentazioni addotte dagli arbitri a base della decisione sul punto, concludendo per l’inammissibilità della censura, siccome inerente alla valutazione del materiale probatorio.

Gli odierni ricorrenti, al di là del richiamo ad una congerie di norme anche tra di loro ben poco coerenti (vedi il riferimento, senza alcun ordine, agli artt. 1218 e 1337 c.c., il primo dettato per la responsabilità contrattuale, ed il secondo, per l’extracontrattuale, il tutto da valutarsi alla stregua dei canoni della buona fede contrattuale ex artt. 1175 e 1375 c.c.), non hanno indicato le specifiche ragioni di diritto dell’errore ed i motivi per i quali i singoli passaggi della decisione impugnata si porrebbero in contrasto con le norme invocate, in ogni caso intendendo far valere una diversa ricostruzione dei fatti, con ciò introducendo inammissibilmente una mera doglianza di merito, con riesame del lodo.

Si noti altresì come la parte faccia altresì riferimento alla irrilevanza dell’allegato ai fini della conclusione del contratto, invocando “uno speciale procedimento volto a dirimere ogni controversia che sulle componenti di quell’allegato poteva sorgere”, tra l’altro senza neppure indicare dove fosse previsto tale procedimento.

3. Conclusivamente, va quindi dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, secondo le voci di tariffa previste in relazione al valore della controversia, come dichiarato dai ricorrenti, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti a rifondere alla Nestlè Italiana s.p.a. le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00, oltre Euro 100,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2011

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