Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8048 del 08/04/2011

Cassazione civile sez. I, 08/04/2011, (ud. 17/01/2011, dep. 08/04/2011), n.8048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.D. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA G. PISANELLI 4, presso l’avvocato GIGLI

GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SCALETTARIS PAOLO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S., F.M., P.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 509/2005 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 12/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato GIUSEPPE GIGLI che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto ingiuntivo n. 243 del 6.09.1997, il Presidente del Tribunale di Udine ingiungeva a V.D. di pagare a P.S., P.F. e F.M. la somma capitale di L. 144.000.000, dagli ingiungenti pretesa quale terza ed ultima rata del corrispettivo pattuito per la cessione all’ingiunto delle quote della s.r.l. Armet, attuata con contratto notarile stipulato il 2.10.1995.

L’adito Tribunale di Udine con sentenza n. 534 del 22.03-30.04.2002, dichiarava la nullità del decreto ingiuntivo opposto, essendo stata la lite deferita ad arbitri, in forza del collegamento tra il suddetto contratto definitivo di cessione di quote sociali ed il contratto preliminare recante (all’art. 7) la clausola compromissoria per arbitrato (irrituale), stipulato il 12.07.1995, dal P. e dalla F. con V.F., padre del l’opponente.

Con sentenza dell’8-12.07.2005, la Corte di appello di Trieste accoglieva l’appello principale del P. e della F., e per l’effetto respingeva l’opposizione al decreto ingiuntivo spiegata dal V., respingeva inoltre l’appello incidentale di quest’ultimo, inerente alla compensazione delle spese disposta dal primo giudice.

La Corte territoriale osservava e riteneva tra l’altro:

che i P. e la F. avevano richiesto il decreto ingiuntivo sulla scorta della pattuizione circa il pagamento del prezzo di cessione delle quote sociali, portata nel contratto notarile del 2.10.1995, nel cui corpo non era dato ritrovare clausola compromissoria di sorta;

– che il rapporto obbligatorio in discussione doveva ritenersi regolato esclusivamente dal contratto notarile di cessione, dato che in questo non era stato richiamato il contratto preliminare nè la relativa disciplina, contratto preliminare peraltro stipulato con acquirente diverso e con pattuizioni in parte diverse nonchè soggetto a termine essenziale scaduto prima della stipula della cessione, e dato comunque che il regolamento del rapporto rimaneva in ogni caso retto esclusivamente dalle pattuizioni presenti nel contratto definitivo;

– che alcun rilievo poteva essere attribuito sul punto all’espletata prova testimoniale, posto non solo che essa era stata ammessa solo al fine di stabilire il collegamento tra i due contratti ma soprattutto perchè vietata se tesa a dimostrare l’esistenza di patti non presenti nell’atto di cessione, a necessaria forma scritta, richiesta dall’art. 2479 c.c.;

– che, pertanto, erroneamente il primo giudice aveva annullato il provvedimento monitorio ritenendo la lite devoluta ad arbitri, in forza di clausola portata in contratto estraneo al rapporto tra le parti;

– che nel merito appariva ingiustificato il rifiuto opposto dal V. all’adempimento dell’obbligo di pagare, entro il 30.07.1997, la somma capitale di L. 144.000.000, giacchè egli aveva riconosciuto di essere debitore di tale importo e vi aveva opposto un controcredito da sopravvenienze passive, sfornito di adeguato supporto probatorio;

– che in particolare nel contratto di cessione non era stato regolato l’onere inerente alle sopravvenienze passive, per cui occorreva avere riguardo alla regole codicistiche sul tema e che l’esistenza di dette sopravvenienze, non iscritte in bilancio ed in tesi imputabili alla gestione precedente alla vendita delle quote sociali, non risultava dimostrato dai documenti prodotti dal medesimo V. ed afferenti al 1996, nè da alcun altro elemento di prova.

Avverso questa sentenza, notificatagli l’11.10.2006, il V. ha proposto ricorso per cassazione notificato il 31.10.2006, affidato a tre motivi. I P. e la F. non hanno svolto attività difensiva. All’udienza pubblica dell’11.07.2010 è stato disposto il rinvio d’ufficio all’odierna udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso il V. denunzia:

1. “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1321 e ss e art. 1351 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e/o omessa ovvero omessa e/o insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

In sintesi il ricorrente si duole, anche per il profilo motivazionale, che la Corte distrettuale abbia escluso il collegamento tra il contratto preliminare e quello successivo di cessione delle quote societarie, nonostante anche la piena ed assoluta coincidenza tra i contenuti dei due accordi, l’irrilevanza dell’intervenuta scadenza del termine fissato nel primo per la stipula del definitivo e le dichiarazioni al riguardo rese dal teste Z., ragione per cui si sarebbe dovuto confermare quanto ritenuto dal primo giudice e cioè che la clausola arbitrale inserita nel preliminare era rimasta ferma e valida, pur a fronte del fatto che nel contratto di cessione non fosse stata inserita nè si fosse fatta alcuna menzione del preliminare, e comunque, motivare sul perchè la clausola compromissoria presente nel primo contratto avesse perso efficacia a seguito della sua mancata riproduzione nel secondo.

2. “Violazione o falsa applicazione dell’art. 2725 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Censura l’inammissibilità della prova testimoniale assunta in primo grado, sostenendo che il divieto previsto dall’art. 2725 c.c., non poteva estendersi alle circostanze di fatto atte a dimostrare il collegamento tra il contratto preliminare e la successiva cessione.

Il primo motivo del ricorso non è fondato, già considerando che la Corte distrettuale,nel ritenere che il regolamento del rapporto in ogni caso e, dunque anche nell’ipotesi (dalla medesima Corte peraltro esclusa) di collegamento negoziale, rimaneva retto esclusivamente dalle pattuizioni presenti nel contratto definitivo, si è ineccepibilmente attenuta al costante, argomentato e condiviso orientamento giurisprudenziale, secondo cui nel caso in cui al contratto preliminare sia seguita la stipula del definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva (cfr., tra le numerose altre, cass. 200308515; 200418758;

200605429;200700233; 200715585), il che nella specie non è avvenuto.

Tale conclusione sfavorevole al ricorrente assorbe sia ogni altra censura dedotta nel primo motivo, ivi compresa quella inerente al negato collegamento negoziale, e sia il secondo motivo del ricorso implicante questioni sulla prova di tale collegamento.

3. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2479 c.c. (testo previgente) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Si duole che sia stata disattesa la sua pretesa di deduzione dalla rata finale del prezzo di cessione delle quote degli importi da lui indebitamente pagati per sopravvenienze passive, riscontrate dopo la cessione e relative ad operazioni antecedenti, non considerando sia la clausola al riguardo inserita nel preliminare, l’espressa indicazione del capitale sociale nel contratto di cessione, che comportava responsabilità del venditore, e sia che l’accertamento dell’esistenza delle sopravvenienze passive relative ai bilanci di una s.r.l. avrebbe dovuto essere effettuato tramite CTU. Il motivo non è fondato, già considerando che la consulenza tecnica d’ufficio ha la funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche che egli non possiede, ma non è certo destinata ad esonerare le parti dalla prova dei fatti dalle stesse dedotti e posti a base delle rispettive richieste, fatti che devono essere dimostrati dalle medesime parti alla stregua dei criteri di ripartizione dell’onere della prova previsti dall’art. 2697 cod. civ. (cfr. ex plurimis, cass. 200507097; 2006021412;

200819458).

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Non deve statuirsi sulle spese del giudizio di legittimità, atteso il relativo esito ed il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2011

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