Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8048 del 01/04/2010

Cassazione civile sez. I, 01/04/2010, (ud. 17/12/2009, dep. 01/04/2010), n.8048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.A., con domicilio eletto in Roma, via Ludovisi n. 35,

presso l’Avv. COZZI Ariella, rappresentato e difeso dall’Avv.

Baldassini Rocco come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliata in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Perugia

depositato il 10 giugno 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 17 dicembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Zanichelli

Vittorio.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.A. ricorre per Cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 1.000,00, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale e’ stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata di un processo civile iniziato con citazione notificata in data 19 novembre 1992 per l’udienza del 13 gennaio 1993 e conclusosi in primo grado con sentenza depositata in data 8 maggio 2000 e proseguita in appello con atto notificato in data 10 novembre 2000 e definito con sentenza divenuta esecutiva in data 12 novembre 2004.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa e’ stata assegnata alla Camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Alberto Giusti con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La relazione ex art. 380 bis c.p.c. e’ del seguente letterale tenore:

“La Corte d’appello ha accolto la domanda nella misura sopra indicata avendo accertato – a fronte di un giudizio durato complessivamente nei due gradi di giudizio di merito undici anni e mezzo circa – una irragionevole durata di anni uno, dopo aver fissato in quattro anni e sei mesi il periodo di durata ragionevole (due anni e mezzo per il primo grado e due anni per l’appello) e dopo avere imputato alle parti una stasi di circa sei anni per inerzie e richieste di rinvio.

Il motivo – con cui si censura, sia sotto il profilo sia di violazione di legge che di vizio di motivazione, l’erronea quantificazione del periodo di irragionevole durata del processo – appare manifestamente fondato, nei termini di seguito precisati.

Innanzitutto, erra la Corte territoriale nell’addebitare interamente alle parti il periodo discendente da richieste di rinvio del processo, giacche’, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1^, 25 gennaio 2008, n. 1715), ai fini dell’accertamento della durata ragionevole del processo, a fronte di una cospicua serie di differimenti chiesti dalla parte, o non opposti, e disposti dal giudice istruttore, si deve distinguere, come impone la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 tra tempi addebitabili alle parti e tempi addebitabili allo Stato per la loro evidente irragionevolezza e pertanto, salvo che sia motivatamente evidenziata una vera e propria strategia dilatoria di parte, idonea ad impedire l’esercizio dei poteri di direzione del processo, propri del giudice istruttore, e’ necessario individuare la durata irragionevole comunque ascrivibile allo Stato, ferma restando la possibilita’ che la frequenza ed ingiustificatezza delle istanze di differimento incida sulla valutazione del patema indotto dalla durata e conseguentemente sulla misura dell’indennizzo da riconoscere.

Appare inoltre viziato il ragionamento che ha indotto la Corte territoriale a individuare una ragione di complessita’ del giudizio di appello nel fatto che il fascicolo di ufficio e’ stato sottratto da ignoti nell’Ufficio pubblico del registro nel quale era custodito”.

Ritiene il Collegio di potere pienamente condividere il contenuto della riportata relazione.

L’impugnato decreto deve dunque essere cassato e la causa rinviata per nuovo esame alla stessa Corte d’appello che si atterra’ ai principi enunciati.

PQM

LA CORTE Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2010

 

 

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