Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8046 del 23/04/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/04/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 23/04/2020), n.8046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13192-2017 proposto da:

D.L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 119, presso lo studio dell’avvocato GIULIO DE CESARE,

rappresentata e difesa dall’avvocato DINO LUCCHETTI giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.L.G., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE

10, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO VISCA, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIO GRASSO in virtù di procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.L.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1387/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/01/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalla ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

D.L.M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Latina i germani D.L.P. e D.L.G., deducendo che in vita il comune genitore, D.L.A., aveva effettuato alcune donazioni in favore dei convenuti, e precisamente al figlio D.L.P. con atto del 28 marzo 1986, ed alla figlia D.L.G. con atto del 2 aprile 1987.

Aggiungeva che in seguito sia il donante che la di lui moglie, D.N.A., erano deceduti ab intestato, rispettivamente in data (OMISSIS) e (OMISSIS), lasciando a se superstiti i tre figli.

Tuttavia, a seguito dell’accettazione dell’eredità beneficiata da parte dell’attrice, la quale era stata dichiarata interdetta con sentenza del 26/5/1966, la consulenza disposta dal giudice tutelare aveva evidenziato che le suddette donazioni avevano leso la quota di riserva dell’attrice, la quale proponeva domanda per la divisione dei beni relitti, previa riduzione e collazione delle donazioni effettuate.

Si costituiva D.L.G. che in relazione alla donazione asseritamente ricevuta, sosteneva che la stessa era stata preceduta da una compravendita per scrittura privata del 23/12/1986, con la conseguenza che la successiva donazione era priva di efficacia, proponendo a tal fine domanda riconvenzionale.

Il Tribunale adito con la sentenza n. 2408/2012, rigettava la domanda riconvenzionale della convenuta, e accoglieva la domanda di riduzione della donazione effettuata in favore della stessa convenuta, come precisato in motivazione.

La Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 1387 del 28/2/2017 accoglieva l’appello proposto da D.L.G., dichiarando che la stessa era proprietaria del bene oggetto di causa in virtù della scrittura privata di compravendita del 23/12/1986, rigettando per l’effetto la domanda di riduzione dell’attrice.

A tal fine osservava che la risoluzione convenzionale del precedente contratto di compravendita, avendo ad oggetto beni immobili, doveva essere a sua volta rivestita della forma scritta ad substantiam, dovendo quindi escludersi che potesse operare per facta concludentia.

Quindi rigettata anche l’eccezione di nullità della scrittura privata di compravendita per l’assenza delle indicazioni di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40 comma 2, atteso che era nelle more intervenuto il rilascio della concessione in sanatoria, che, ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 2 comma 57, determinava la sanatoria anche degli atti anteriormente posti in essere, e privi delle suddette indicazioni, accoglieva la domanda riconvenzionale della convenuta, escludendo che la stessa avesse beneficiato di una donazione, suscettibile di essere aggredita con l’azione di riduzione proposta dall’attrice.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso D.L.M. sulla base di un motivo.

D.L.G. ha resistito con controricorso

L’intimato D.L.P. non ha svolto attività difensiva in questa fase.

Ritiene il Collegio che l’iniziale proposta del relatore quanto alla declaratoria di improcedibilità del ricorso, debba essere riconsiderata, occorrendo avere riguardo alle conclusioni cui sono pervenute le Sezioni Unite nella sentenza n. 8312/2019, le quali hanno affermato che ove, come nella fattispecie, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica del ricorso, risulti depositata in cancelleria copia della relata della notifica telematica della decisione impugnata e del corrispondente messaggio pec con annesse ricevute, sebbene senza attestazione di conformità da parte del difensore, il ricorrente evita la sanzione dell’improcedibilità del ricorso laddove depositi l’asseverazione di conformità L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, sino alla data dell’udienza camerale. Nel caso di specie, attesa anche la presenza di un intimato, che non consentiva di superare l’originale difetto di attestazione di conformità per effetto della condotta della controricorrente, il difensore di D.L.M. in data 16/4/2019, e quindi prima della celebrazione dell’udienza camerale del 31 ottobre 2019, ha depositato attestazione di conformità della relata di notifica telematica della sentenza impugnata, impendendo in tal modo la declaratoria di improcedibilità.

Il motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1230, 1362, 1367 e 1372 c.c., con l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia.

Si deduce che a fronte della domanda di riduzione spiegata dalla ricorrente relativa all’atto di donazione del 22/4/1987 a beneficio della sorella D.L.G., i giudici di appello hanno ritenuto che dovesse darsi rilievo alla precedente scrittura di compravendita intercorsa tra il genitore e la stessa figlia D.L.G..

Difformemente dal tribunale, la Corte d’Appello ha invece ritenuto che tale scrittura avesse conservato piena efficacia vincolante tra le parti, non potendosi ravvisare alcuna ipotesi di mutuo dissenso a seguito della successiva donazione, che peraltro era anche affetta da nullità ex art. 771 c.c., posto che il donante si era già spogliato della proprietà dei beni in virtù del precedente atto di vendita.

Nè poteva invocarsi la nullità della scrittura di vendita per la mancata menzione degli estremi dell”atto di concessione ad edificare, atteso che successivamente alla vendita era intervenuto il rilascio in sanatoria della concessione, la quale impediva la declaratoria di nullità dell’atto per effetto del disposto di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 2 comma 57.

Si sostiene che la Corte d’Appello non avrebbe considerato che nella fattispecie la risoluzione per mutuo dissenso non sarebbe avvenuta per fatti concludenti, ma proprio in virtù del successivo atto di donazione, redatto nelle forme di legge.

Tale atto inoltre avrebbe avuto anche efficacia novativa del precedente rapporto scaturente dalla scrittura di compravendita, di modo che la conclusione della sentenza impugnata risulta essere in palese contrasto con l’effettiva volontà delle parti, non essendone stata offerta una corretta interpretazione, anche in contrasto con il canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c.

Il motivo è infondato.

Rilevato in primo luogo che, pur essendosi fatto riferimento nella rubrica anche al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’esposizione delle ragioni giustificative del gravame il punto è rimasto privo di sviluppo, deve sicuramente essere disattesa la censura che attiene alla dedotta violazione dell’art. 1362 c.c..

Ed, infatti, si osserva che il motivo difetta evidentemente di specificità nella parte in cui, pur sollecitando la verifica circa il rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale quanto alla corretta valutazione della volontà delle parti, omette però di riprodurre in ricorso il tenore sia della scrittura privata di compravendita che del successivo atto di donazione, impedendo quindi alla Corte di poter verificare sulla scorta del contenuto dell’atto di impugnazione l’effettiva ricorrenza delle dedotte violazioni di legge.

Va altresì osservato come costituisca principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimità quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 e ss. c.c., e sulla (in) coerenza e (il)logicità della motivazione addotta (cosi, tra le tante, Cass., Sez. 3, 10 febbraio 2015, n. 2465): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che non può trovare ingresso la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice a quo.

Orbene, anche a tacere circa l’impossibilità, per la dedotta carenza del requisito di specificità del motivo, di avere contezza dell’effettivo contenuto della manifestazione di volontà delle parti, non appare censurabile, in quanto frutto di un’evidente valutazione di fatto riservata al giudice di merito, l’affermazione secondo cui la successiva conclusione della donazione non potesse valere come espressione anche del mutuo dissenso, posto che la critica mira a proporre un’alternativa soluzione interpretativa, senza che però si deduca come del tutto implausibile quella diversa alla quale è invece approdata la Corte di appello, il che denota l’inammissibilità del risultato cui mira il motivo, che sollecita nella sostanza un diverso apprezzamento di merito.

Peraltro, in assenza anche dell’allegazione da parte della ricorrente dell’impiego nel successivo atto di donazione di espressioni che denotino in maniera inequivoca la volontà delle parti di voler sostituire con tale contratto il regolamento di interessi scaturente dalla precedente scrittura privata di compravendita, oltre a doversi escludere che ricorra in maniera evidente un’ipotesi di mutuo dissenso (mancando la volontà di porre nel nulla il precedente accordo con una manifestazione di volontà di tenore assolutamente contrario a quella precedente), va altresì escluso che possa ravvisarsi una violazione delle norme in tema di novazione, occorrendo a tal fine far richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui (Cass. n. 17328/2011; Cass. n. 14712/2015) per la novazione oggettiva, che si configura come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche, sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l'”animus novandi”, consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l'”aliquid novi”, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto.

Orbene l’esistenza di tali specifici elementi deve essere in concreto verificata dal giudice del merito, con un accertamento di fatto che si sottrae al sindacato di legittimità solamente se è conforme alle disposizioni contenute nell’art. 1230 c.c., commi 1 e 2, e nell’art. 1231 c.c., e se risulta congruamente motivato.

Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha escluso che nella donazione fosse rinvenibile la volontà delle parti di novare il precedente rapporto, accertamento questo che non appare censurabile in questa sede, attesa anche l’assenza di un inequivoco riferimento nella manifestazione di volontà delle parti di voler intervenire sul precedente assetto di interessi.

Va infine esclusa anche la violazione dell’artt. 1367 c.c., posto che, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 19493/2018) la conservazione del contratto non può mai comportare un’interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto o della clausola (conf. Cass. n. 28357/2011).

In relazione alla vicenda in esame, i giudici di merito, una volta esclusa la ricorrenza nell’atto di donazione di una volontà risolutiva del precedente accordo ovvero novativa, hanno quindi rilevato come la donazione fosse affetta da nullità per la violazione dell’art. 771 c.c., posto che il donante era ormai non più titolare del bene donato, per essersene spogliato con la precedente scrittura di compravendita, nullità che quindi non poteva essere impedita dal richiamo al canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c. (e pur dovendosi precisare che, alla luce dell’intervento delle Sezioni Unite Cass. S.U. n. 5068/2016, la nullità della donazione di beni altrui trova giustificazione sul piano giuridico, non già nella previsione di cui all’art. 771 c.c., ma nel vizio radicale della causa del contratto di donazione, laddove la liberalità concerna beni non appartenenti al donante, e manchi la consapevolezza, emergente dall’atto non essendo sufficiente come invece dedotto nelle memorie che le parti ne fosse in ogni caso consapevoli – dell’alienità del bene e della volontà di impegnarsi a farne acquisire la proprietà al donatario).

Il ricorso pertanto deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla per le spese per l’intimato che non ha svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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