Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8037 del 22/04/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2020, (ud. 27/06/2019, dep. 22/04/2020), n.8037

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9066-2018 proposto da:

A. COSTRUZIONI DI A.R., in persona del titolare pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Anna Ferraris,

domiciliata ex art. 366 c.p.c., comma 2, in Roma, piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Z.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3846/2017 della Corte d’appello di Milano,

depositata il 05/09/2017;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli

artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/06/2019 dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo.

Fatto

RITENUTO

Z.G., aggiudicatario di un immobile espropriato, in forza del conseguente decreto di trasferimento intimava alla A. Costruzioni di A.R. precetto per il rilascio dell’immobile. L’ A. proponeva opposizione, sostenendo che l’atto di precetto dovesse essere dichiarato inefficace poichè, in tal modo, lo Z. aveva esercitato un’azione petitoria improcedibile, stante il divieto posto dall’art. 705 c.p.c.; ciò in quanto l’ A. Costruzioni aveva ottenuto un provvedimento di reintegra nel possesso dell’immobile non ancora interamente eseguito.

Il Tribunale di Varese respingeva l’opposizione con sentenza confermata dalla Corte d’appello di Milano, adita dallo stesso A.. Quest’ultimo ricorre avverso tale decisione riproponendo, con un unico motivo, il problema della qualificazione dell’azione fondata sul decreto di trasferimento in termini di azione petitoria e la conseguente improponibilità della stessa pendente giudizio possessorio per il medesimo immobile.

Lo Z. non ha svolto attività difensiva.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal comma 1, lett. e), del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

Il ricorso è inammissibile per insufficiente esposizione dei fatti di causa (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3).

Difatti, dalla lettura dell’atto non è possibile comprendere se l’ A. Costruzioni (che, a quanto pare, è una ditta individuale sprovvista di personalità giuridica) fosse debitore esecutato nel processo espropriativo nel quale lo Z. si rese aggiudicatario dell’immobile; ovvero se la stessa si sia opposta all’atto di precetto nella qualità di terzo detentore dell’immobile venduto all’asta giudiziaria.

Il ricorso risulta inoltre carente del requisito di specificità imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, quale condizione di ammissibilità. In particolare, il motivo prospettato poggia sulla premessa, in fatto, che l’ A. Costruzioni sarebbe destinataria di un provvedimento di reintegra nel possesso non ancora interamente eseguito. Di tale ultimo aspetto, tuttavia, non è offerta alcuna dimostrazione, invece necessaria in quanto elemento condizionante l’efficacia dello sbarramento alle azioni petitorie posto dall’art. 705 c.c..

Sebbene tali rilievi siano trancianti, non è superfluo osservare che il ricorso sarebbe infondato anche nel merito, tanto se l’ A. Costruzioni fosse stata debitrice esecutata, quanto nell’eventualità che si fosse opposta al precetto nella veste di terzo possessore dell’immobile.

Il regime dell’opponibilità dei diritti dei terzi nei confronti dell’aggiudicatario ad una vendita forzata è regolato dall’art. 2919 c.c., a mente non sono opponibili all’acquirente i diritti acquistati da terzi sulla cosa, se gli stessi non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante. L’art. 2913 c.c. specifica che non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento. Il successivo art. 2914 c.c. contiene l’elenco di alcuni atti dispositivi che non sono opponibili al creditore, sebbene anteriori al pignoramento; in particolare, non sono opponibili le alienazioni di beni immobili che siano state trascritte successivamente al pignoramento.

Dal combinato disposto delle tre norme deriva che all’acquirente di un immobile all’asta giudiziaria non sono opponibili gli atti di alienazione che, sebbene anteriori al pignoramento, siano stati trascritti solo successivamente.

Ciò che conta, ai fini che qui interessano, è dunque che, riguardo ai terzi aventi diritti sull’immobile espropriato, l’aggiudicatario non subentra nella posizione giuridica del debitore esecutato, bensì – in un qual certo senso – in quella del creditore pignorante (nel senso che con quest’ultimo condivide il regime di opponibilità degli atti dispositivi anteriori e successivi al pignoramento).

L’art. 705 c.p.c. fa divieto (solamente) al “convenuto nel giudizio possessorio” di intraprendere un giudizio petitorio per il medesimo bene, finchè il primo giudizio non sia definito e la decisione non sia stata eseguita.

L’acquirente di un’immobile all’asta giudiziaria in nessun caso può essere considerato “convenuto nel giudizio possessorio”. Tale qualità non ricorre se ad essere convenuto nel giudizio possessorio sia stato il debitore esecutato, per le ragioni che abbiamo già illustrato. Men che meno l’aggiudicatario potrà incontrare limiti posti dall’art. 705 c.p.c. se il provvedimento di reintegra nel possesso è reso in favore del debitore esecutato e nei confronti di un terzo, dovendosi certamente escludere che il divieto di intraprendere azioni petitorie valga erga omnes.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da lui proposta.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15/0, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2020

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