Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8037 del 21/04/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 8037 Anno 2016
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 18365-2013 proposto da:
GBS GENERALI BUSINESS SOLUTIONS S.C.P.A. 07833760015
non in proprio ma quale mandataria di FATA
ASSICURAZIONI DANNI S.P.A. in persona del Legale
rappresentante in carica, elettivamente domiciliata
40~001

2015
2527

in ROMA, VIALE GIULIO CESARE, 71, presso lo studio
dell’avvocato ANDREA DEL VECCHIO, che la rappresenta
e difende giusta procura speciale in calce al
ricorso;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 21/04/2016

PALAZZO TOMMASO, MIRI MARISA, MICCOLI STEFANO, MIRI
SALVATORE, SCAZZI COSIMO, MICCOLI SALVATORE, DT
LEVRANO ANTONIO;
– intimati –

Nonché da:

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA
70, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO
MASSATANI, che li rappresenta e difende giusta
procura speciale a margine del controricorso e
ricorso incidentale;
– ricorrenti incidentali contro

F.A.T.A. ASSICURAZIONI DANNI S.P.A. in persona del
procuratore speciale Dr. DAMIANO GIOVANELLI Dirigente
responsabile del servizio sinistri, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE, 71, presso
lo studio dell’avvocato ANDREA DEL VECCHIO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
GREGORIO IANNOTTA giusta procura speciale in calce al
controricorso;
– controricorrente all’incidentale nonchè contro

DI LEVRANO ANTONIO;
– intimato –

avverso la sentenza n.

6139/2012 della CORTE

2

MIRI MARISA, MICCOLI STEFANO, PALAZZO TOMMASO,

D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/12/2012, R.G.N.
4803/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/12/2015 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;

udito l’Avvocato ENRICO IANNOTTA per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI il rigetto di entrambi i
ricorsi;

3

udito l’Avvocato ANDREA DEL VECCHIO;

R.G.N. 18365/13
Udienza del 16 dicembre 2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’esposizione della vicenda processuale sarà limitata ai soli fatti ancora
rilevanti in questa sede.

2. Il 5.11.2004, a San Pancrazio Salentino (BR), si verificò un sinistro

Miccoli rimase ferito.
Nel 2005 Stefano Miccoli; la madre delle due vittime Marisa Miri, il fratello di
esse Salvatore Miccoli, il convivente della madre delle vittime Tommaso
Palazzo e lo zio delle vittime Cosimo Scazzi convennero dinanzi al Tribunale
di Roma il responsabile del sinistro, Antonio Di Levrano, e il suo assicuratore
della r.c.a., ovvero la società FATA s.p.a., chiedendone la condanna al
risarcimento dei danni rispettivamente patiti.

3. Con sentenza n. 8987 del 2010 il Tribunale accolse la domanda.
La sentenza venne appellata da tutte le parti.
Con sentenza 5.12.2012 n. 6139 la Corte d’appello di Roma ridusse
l’importo del danno patrimoniale liquidato dal giudice di primo grado a
Stefano Miccoli e Marisa Miri.

I

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla FATA s.p.a.,
per il tramite della propria mandataria GBS Generali Business Solutions soc.
coop. p.a., con ricorso fondato su 3 motivi.
Hanno resistito con controricorso Marisa Miri, Stefano Miccoli e Tommaso
Palazzo; i primi due hanno altresì proposto ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Questioni preliminari.
L’istanza di rinvio a nuovo ruolo, formulata per iscritto dal difensore dei
controricorrenti e pervenuta in cancelleria il giorno dell’udienza di
discussione, va rigettata.
Le ragioni in essa addotte, infatti (essere, cioè, il difensore dei
controricorrenti rimasto bloccato all’estero, senza poter rientrare in tempo
utile in Italia), oltre ad essere indinnostrate, non sembrano comunque

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stradale in conseguenza del quale Francesca Miccoli perse la vita, e Stefano

R.G.N. 18365/13
Udienza del 16 dicembre 2015

costituire un ostacolo insormontabile per la nomina di un sostituto per via
telematica.

1. Il primo motivo del ricorso principale FATA.
1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza

360, n. 3, c.p.c.. Lamenta, in particolare, la violazione dell’art. 2059 c.c..
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello – confermando sul punto la
sentenza di primo grado – ha accordato il risarcimento del danno non
patrimoniale da uccisione di un congiunto a Tommaso Palazzo, che della
vittima Francesca Miccoli non era né padre, né convivente. Tommaso
Palazzo, prosegue la ricorrente, aveva allegato di essere compagno di fatto
della madre della vittima, Marisa Miri. In tale veste, egli non aveva titolo per
pretendere il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza della
morte della figlia della propria compagna. Accordandoglielo, dunque, la
Corte d’appello aveva violato l’art. 2059 c.c., il quale consente il
risarcimento del danno non patrimoniale nei soli casi previsti dalla legge.

riv

1.2. Il motivo è fondato.
Il “danno” in senso giuridico consiste nella perdita derivante dalla lesione
d’una situazione giuridica soggettiva (diritto od interesse che sia) “presa in
considerazione dall’ordinamento” (sono parole di Sez. U, Sentenza n. 500
del 22/07/1999, Rv. 530553).
Situazione giuridica “presa in considerazione” dall’ordinamento è quella alla
quale una o più norme apprestino una qualsiasi forma di tutela.
Se dunque una situazione o rapporto di fatto non è tutelato in alcun modo
dall’ordinamento, la lesione di esso non costituisce un danno risarcibile.
Questa è la ragione per la quale questa Corte ha negato, ad esempio, la
risarcibilità del danno da lesione della “felicità” (Sez. U, Sentenza n. 26972
del 11/11/2008, Rv. 605493) o da perdita del “tempo libero” (Sez. 3,
Sentenza n. 21725 del 04/12/2012, Rv. 624249).

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impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art.

R.G.N. 18365/13
Udienza del 16 dicembre 2015

1.3. La regola appena ricordata vale per ogni tipo di danno: patrimoniale o
non patrimoniale.
Il danno non patrimoniale consiste nella violazione di interessi della persona
non suscettibili di valutazione economica (Sez. U, Sentenza n. 26972 del
11/11/2008, Rv. 605489). Pertanto, in applicazione della regola ricordata al

risarcibile, in quanto:
(a) sia stato leso un interesse non patrimoniale della persona;
(b) l’interesso leso sia “preso in considerazione” dall’ordinamento.
In aggiunta a queste due condizioni, la risarcibilità del danno non
patrimoniale esige altresì che:
(c) ricorra una delle ipotesi in cui la legge consente il risarcimento del danno
non patrimoniale (art. 2059 c.c.);
(d) la lesione dell’interesse sia stata di entità tale da superare la “soglia
minima” di tollerabilità (Sez. 3, Sentenza n. 16133 del 15/07/2014, Rv.
632536; Sez. 3, Sentenza n. 7256 del 11/05/2012, Rv. 622383; Sez. L,
Sentenza n. 5237 del 04/03/2011, Rv. 616447; Sez. 3, Sentenza n. 2847
del 09/02/2010, Rv. 611428; Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008,
Rv. 605493).

1.4. Nel caso di specie, come accennato, la Corte d’appello ha ritenuto che
la persona la quale conviva more uxorio con la madre di persona deceduta
per colpa altrui abbia diritto, per ciò solo, al risarcimento del danno non
patrimoniale sofferto in conseguenza dell’uccisione.
Questa affermazione contrasta con i principi che regolano il diritto al
risarcimento del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., ed in
particolare contrasto col principio ricordato sub (b) nel precedente paragrafo.
La Corte d’appello infatti ha ritenuto sufficiente, per accordare il
risarcimento del danno non patrimoniale a Tommaso Palazzo, l’esistenza di
una relazione more uxorio tra questi la madre della vittima, relazione che
invece é di per sé irrilevante ai fini del riconoscimento del risarcimento del
danno non patrimoniale per la perdita della diversa relazione tra lo stesso
Palazzo e il figlio della compagna.

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§ precedente, in tanto sarà ipotizzabile un danno non patrimoniale non

R.G.N. 18365/13
Udienza del 16 dicembre 2015

Infatti, sebbene possa in teoria ammettersi che tra il figlio d’una donna che
abbia una relazione more uxorio e il compagno della madre possano crearsi
vincoli affettivi anche profondi, nondimeno quel che rileva ai fini del
risarcimento del danno non patrimoniale da rottura d’un vincolo affettivo

1.5. Il rapporto affettivo tra il figlio del partner e il compagno del suo
genitore può dirsi rilevante per il diritto quando si inserisca in quella rete di
rapporti che sinteticamente viene qualificata come famiglia di fatto. Solo in
questo caso, infatti, può dirsi costituita una “formazione sociale” ai sensi
dell’art. 2 cost., come tale meritevole di tutela anche sotto il profilo
risarcitorio.
Una famiglia di fatto, ovviamente, non sussiste sol perché delle persone
convivano. La sussistenza di essa può desumersi solo da una serie cospicua
di indici presuntivi: la risalenza della convivenza, la

diutumitas delle

frequentazioni, il mutuum adiutorium, l’assunzione concreta, da parte del
genitore de facto, di tutti gli oneri, i doveri e le potestà incombenti sul
genitore de iure.

(IMIL

Questi principi sono desumibili, oltre che dalla costante giurisprudenza di
questa Corte, anche dalla giurisprudenza costituzionale e da quella della
Corte europea dei diritti dell’uomo. Quest’ultima infatti, chiamata a stabilire
come dovesse interpretarsi la nozione di diritto alla vita familiare di cui
all’art. 8 CEDU, da un lato ha chiarito che in tale nozione rientrano anche i
rapporti di fatto tra un minore e il compagno del genitore di quegli (Corte
EDU, 19.2.2013, n.n. c. Austria, § 96), ma dall’altro lato ha soggiunto che
“la nozione di “vita familiare” ai sensi dell’articolo 8 CEDU può comprendere
relazioni familiari de facto, purché ricorrano un certo numero di elementi,
quali il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni, nonché il ruolo
assunto dall’adulto nei confronti del bambino” (Corte EDU CEDU 27.4.2010,
Moretti e Benedetti c. Italia, § 48).
La sentenza impugnata, tuttavia, non ha preso in esame alcuno di questi
elementi, limitandosi a statuire che tra il convivente

more uxorio del

genitore della vittima e quest’ultima sussistesse una relazione familiare di

non è la mera esistenza di quest’ultimo, ma la sua rilevanza giuridica.

R.G.N. 1E3365/13
Udienza del 16 dicembre 2015

per sé, in virtù dell’accertamento del solo rapporto di convivenza tra l’attore
e la madre della vittima. Da ciò è derivata la falsa applicazione dell’art.
2059 c.c., consistita nell’avere liquidato un danno non patrimoniale senza
previamente accertare se sussistessero tutte le condizioni richieste dalla

1.6. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata sul punto, in
applicazione del seguente principio di diritto:

La sofferenza provata dal convivente more uxorio, in conseguenza
dell’uccisione del figlio unilaterale del partner, è un danno non
patrimoniale risarcibile soltanto se sia dedotto e dimostrato che tra
la vittima e l’attore sussistesse un rapporto familiare di fatto, che
non si esaurisce nella mera convivenza, ma consiste in una
relazione affettiva stabile, duratura, risalente e sotto ogni aspetto
coincidente con quella naturalmente scaturente dalla filiazione.

Il giudice del rinvio, nell’accertamento della indicata situazione di fatto, non
potrà limitarsi – come invece ha fatto la sentenza impugnata – a dedurne
l’esistenza esclusivamente dal rapporto

more uxorio tra la madre della

vittima e il suo compagno di vita, ma dovrà accertare in concreto, anche
attraverso il ricorso alla prova presuntiva, se la persona che domanda il
risarcimento abbia concretamente assunto il ruolo morale e materiale di
genitore, ad esempio dimostrando di avere condiviso con la compagna le
scelte educative nell’interesse della minore, ovvero di avere contribuito a
fornirle i mezzi per il mantenimento della ragazza.

2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo (indicato a p. 17 del ricorso col n. “3.1”) di ricorso
la ricorrente lamenta il vizio di nullità processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4,
c.p.c.. Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato:

Pagina 7

r

b

legge.

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Udienza del 16 dicembre 2015

(a) l’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per avere adottato una motivazione
solo apparente, là dove ha accordato a Tommaso Palazzo il risarcimento del
danno per l’uccisione della figlia della di lui convivente;
(b) l’art. 116 c.p.c., nella parte in cui ha ritenuto dimostrato un rapporto di

2.2. Ambedue i profili sono manifestamente inammissibili.
Quanto al primo profilo (violazione dell’art. 132 .p.c.), questa Corte ha già
ripetutamente affermato che affinché sia integrato il vizio di “mancanza
della motivazione” agli effetti di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., occorre
che la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa
dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue
l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero che
essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue
argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non
permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del
decisum.

(Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353). E nel

caso di specie la motivazione nel provvedimento impugnato non manca, né
è intrinsecamente contraddittoria.
Quanto al secondo profilo (violazione dell’art. 116 c.p.c.) una violazione
dell’art. 116 c.p.c. può sussistere quando il giudice fondi la decisione sulla
propria scienza privata, ma non quando valuti le prove a sua disposizione in
modo difforme rispetto a quanto richiesto dalle parti.

3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso (indicato col n. “3.2” a p. 20 del ricorso) la
FATA lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di
violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.. Si lamenta, in
particolare, la violazione dell’art. 2729 c.c..
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello, nel ritenere Tommaso Palazzo
creditore del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per la morte
di Francesca Miccoli, avrebbe violato l’art. 2729 c.c. (e dunque sarebbe
incorsa nel vizio di violazione di legge, di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.).

convivenza more uxorio tra Tommaso Palazzo e la madre della vittima.

R.G.N. 18365/13
Udienza del 16 dicembre 2015

Espone che Tommaso Palazzo aveva dedotto in giudizio di avere diritto al
risarcimento quale convivente more uxorio di Marisa Miri, madre della
vittima.
La Corte d’appello aveva accolto tale domanda, ritenendo provato il
rapporto di convivenza more uxorio sulla base del fatto che la coppia Miri-

Deduce la ricorrente che, così statuendo, la Corte d’appello ha compiuto una
illazione, non una deduzione, ed ha dunque violato l’art. 2729 c.c..

3.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.
Tuttavia, anche nell’interesse della legge, questa Corte ritiene opportuno
evidenziare come esso sarebbe stato comunque fondato.
La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto esistente un danno in capo a
Tommaso Palazzo per la morte della figlia della compagna, sul presupposto
che questi convivesse more uxorio con la madre della vittima; ed ha
ritenuto sussistenza tale ultima circostanza perché Tommaso Palazzo ebbe
un figlio da Marisa Miri.
Così decidendo, la Corte d’appello ha violato due volte l’art. 2729 c.c..
La prima violazione è consistita nei porre a fondamento della pronuncia una
inammissibile praesumptio de praesumpto: il giudice di merito, infatti, ha
presunto che Tommaso Palazzo patì un danno non patrimoniale sulla base
del rapporto di convivenza, ed ha presunto il rapporto di convivenza sulla
base della circostanza che i due conviventi generarono un figlio (un anno
dopo il sinistro che costò la vita a Francesca Miccoli). In questo modo
tuttavia la sentenza impugnata ha disatteso il tradizionale principio secondo
cui è inammissibile utilizzare, ai fini del decidere, una praesumptio de
praesumpto, non potendosi valorizzare una presunzione come fatto noto,
per derivarne da essa un’altra presunzione (ex permultis, Sez. 1, Sentenza
n. 5045 del 09/04/2002, Rv. 553601).
La seconda violazione dell’art. 2729 c.c. è consistita nell’avere mascherato
una illazione sotto le vesti d’una deduzione logica.
Per un verso, infatti, la nascita di un figlio non costituisce elemento di prova
di per sé sufficiente ed idoneo a dimostrare l’esistenza di una situazione di

Pagina 9

Palazzo, nel 2008, aveva generato un figlio.

R.G.N. 18365/13
Udienza del 16 dicembre 2015

convivenza more uxorio tra il padre e la madre, come già affermato da
questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 2709 del 04/02/2009, Rv. 606547).
Per altro verso, la nascita di un figlio potrebbe al più legittimare la
conclusione che il padre e la madre fossero conviventi more uxorio, ma non
certo la conclusione che il padre fosse legato da un vincolo affettivo simile a
figlio unilaterale della

madre.

4. Il primo motivo del ricorso incidentale.
4.1. Col primo motivo del proprio ricorso incidentale, riferibile alla sola
posizione di Stefano Miccoli, questi lamenta che la sentenza impugnata
sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n.
3, c.p.c. (si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 1223, 1226,
2043, 2056 c.c.); sia dal “vizio di motivazione”.
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere la
“incapacità lavorativa specifica della vittima rapportabile alla medesima
percentuale di danno biologico”. Nella sostanza, il ricorrente lamenta che il
giudice di merito avrebbe sottostimato la liquidazione del danno
patrimoniale da perdita della capacità di lavoro e di guadagno.

4.2. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge il motivo è infondato:
stabilire infatti se esista ed a quanto ammonti il danno da lucro cessante
causato da una lesione personale costituisce un accertamento in facto, non
certo una valutazione in iure.
Nella parte in cui lamenta il “vizio di motivazione” il motivo è
manifestamente inammissibile.
Il ricorrente infatti, lungi dall’illustrare quale sarebbe l’errore logico o la
contraddizione in cui è incorsa la Corte d’appello, si dilunga a svolgere
considerazioni squisitamente di merito circa le prove raccolte e le opinioni
del c.t.u..
Tuttavia la sentenza d’appello impugnata in questa sede è stata depositata
dopo 1’11.9.2012. Al presente giudizio, di conseguenza, si applica il nuovo
testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c..

Pagina 10

WVL

quello scaturente dalla filiazione rispetto ad altro

R.G.N. 18365/13
Udienza del 16 dicembre 2015

Le Sezioni Unite di questa Corte, nel chiarire il senso della nuova norma,
hanno stabilito che per effetto della riforma “è denunciabile in cassazione
solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della
motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata,

esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
“sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014,
Rv. 629830).
Nella motivazione della sentenza appena ricordata, inoltre, si precisa che
“l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso
esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico
rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice,
ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie
astrattamente rilevanti”.
Nel caso di specie, invece, il ricorrente si duole proprio della valutazione
(che si assume erronea) degli elementi istruttori, sostenendo che una
percentuale di incapacità di lavoro del 18% non esprimerebbe la reale entità
del danno da lui patito: il che è non consentito, per quanto detto, dall’art.
360, n. 5, c.p.c..

5. Il secondo motivo del ricorso incidentale.
5.1. Col secondo motivo di ricorso incidentale il ricorrente lamenta che la
sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di omesso esame d’un fatto
decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo
modificato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7
agosto 2012, n. 134).
Deduce, al riguardo, il medesimo vizio già censurato col primo motivo di
ricorso, tornando a sostenere che la Corte d’appello non avrebbe valutato la
“reale incidenza del danno” biologico sulla capacità di lavoro della vittima.

Pagina 11

(vvi,

a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si

R.G.N. 18365/13
Udienza del 16 dicembre 2015

5.2. Anche questo motivo è manifestamente inammissibile, per le medesime
ragioni già indicate al § 4.2..

6. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale.

esaminati congiuntamente.
Essi sono riferibili alla posizione della sola Marisa Miri.
Con tali motivi la ricorrente lamenta sia Verror in iudicando (ex art. 360, n.
3, c.p.c.), sia il vizio “di motivazione”(ii ricorrente richiama al riguardo l’art.
360 n. 5 c.p.c.), nella parte in cui ha liquidato il danno alla capacità di
lavoro da lei patito in conseguenza del danno psichico a sua volta derivato
dalla morte della figlia.
Con argomenti e sintassi sovrapponibili

ad litteram a quelli spesi per

illustrare i primi due motivi di ricorso, la ricorrente lamenta nella sostanza
che la Corte d’appello avrebbe sottostimato il grado di incapacità lavorativa
specifica, erroneamente ritenendolo pari a quello dell’invalidità biologica.

6.2. Ambedue
Ambedue i motivi sono manifestamente inammissibili, per le medesime
osservazioni già svolte al § 4.2..

7. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata con rinvio, affinché il
giudice del rinvio provveda alla corretta stima del danno secondo i criteri
indicati in motivazione, e si pronunci, occorrendo, sulle eventuali restituzioni.

8. Le spese.
Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del
rinvio.
P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
(-) accoglie il ricorso principale per le Ragioni e nei limiti indicati in
motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte
d’appello di Roma, in diversa composizione;

Pagina 12

6.1. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale possono essere

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Udienza del 16 dicembre 2015

(-) rigetta il ricorso incidentale;
(-) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1 quater,
d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Marisa Miri, Stefano

unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione incidentale.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 16 dicembre 2015.

Miccoli e Tommaso Palazzo di un ulteriore importo a titolo di contributo

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