Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8036 del 01/04/2010

Cassazione civile sez. I, 01/04/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 01/04/2010), n.8036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.F. – domiciliata ex lege in ROMA, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avv. MARRA Alfonso Luigi, in virtù di procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del

Consiglio pro-tempore – domiciliato ex lege in Roma, via dei

Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale

è rappresentato e difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli depositato il

24.10.2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

10 dicembre 2009 dal Consigliere Dott. Luigi Salvato;

P.M., S.P.G. Dr. GAMBARDELLA Vincenzo.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

S.F. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex Lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso dell’11.6.98, avente ad oggetto controversia concernente quantificazione del t.f.r.

e la restituzione di somme trattenute dall’INADEL, non ancora definito.

La Corte d’appello, con decreto del 24.10.06, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre, liquidava per il periodo eccedente (pari a mesi 57) Euro 1000,00 per ogni anno di ritardo, quindi complessivi Euro 4.749,81, con il favore delle spese del giudizio. Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso S.F., affidato a dieci motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in Camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:

“1.- Con i primi 3 motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 1 e 6 p. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:

a) questione relativa alla efficacia della CEDU nell’ordinamento interno ed all’efficacia vincolante per il giudice nazionale della giurisprudenza della Corte EDU (sostanzialmente riproposta in tutti i motivi, richiamando sentenze della Corte europea e di questa Corte;

in tutti i motivi è anche reiterata la tesi della vincolatività del parametro temporale e di liquidazione del danno stabiliti dalla Corte EDU; nel primo riassuntivamente, in buona sostanza, sono indicati gli argomenti poi ribaditi negli altri mezzi) ed è formulato il seguente quesito “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2, costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?” (primo motivo). b) Questioni concernenti la quantificazione del danno.

Secondo l’istante, ratione materiae doveva essere liquidato un bonus di Euro 2.000,00 (sono richiamate alcune sentenze della Corte EDU, spettante per le cause in materia previdenziale e di lavoro) ed è formulato il seguente quesito “spetta un ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00) (…)” e, non essendosi pronunciato sul punto il giudice del merito, ciò costituisce violazione dell’art. 112 c.p.c. (secondo motivo), sussistendo anche difetto di motivazione (quarto motivo)-.

1.1.- I motivi dal quarto al decimo denunciano violazione dell’art. 6, p. 1 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 91 e 92, 112 e 132 c.p.c., della L. n. 794 del 1942, art. 24, delle tariffe professionali, nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 112 e 132 c.p.c.), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:

a) nella specie non dovrebbe aversi riguardo alla tariffa per i procedimenti di volontaria giurisdizione, ed è formulato il seguente quesito di diritto “alla fattispecie concreta e con riguardo alle spese di lite, premesso che trattasi di un procedimento ordinario contenzioso (e non di v.g.) vanno applicate le tariffe professionali per i procedimenti ordinari contenziosi (e non quelli di volontaria giurisdizione)?” (quarto motivo) e questo stesso quesito è reiterato negli stessi identici termini nel sesto motivo, che richiama le sentenze di questa Corte in ordine alla natura del procedimento in esame; la parte soccombente deve essere condannata alle spese di lite, ed è formulato il seguente quesito di diritto: “è legittimo, con riferimento alla fattispecie che ci occupa, un accoglimento della domanda con liquidazione di spese insufficiente o parziale compensazione delle spese, anche in considerazione dell’art. 1 prot.

add CEDU direttamente applicabile al caso di specie?” (quinto motivo) ed il provvedimento sarebbe carente nella motivazione sulle spese in misura insufficiente (settimo motivo); il decreto avrebbe liquidato le spese del giudizio in misura insufficiente e si sarebbe posto in contrasto con le quantificazioni operate da questa Corte ed è formulato il seguente quesito “le spese liquidate dal giudice di primo grado sono sufficienti in relazione all’attività svolta, alle tariffe professionali vigenti, alla nota spese ed alle liquidazioni eseguite dalla Corte di Cassazione?” (ottavo motivo): sono riportate le voci tariffarie asseritamente dovute, per sostenere che emergerebbe chiara la violazione di legge ed è formulato il seguente quesito ®può il giudice, nel liquidare le spese ed in presenza di nota spese specifica, disattendere la stessa liquidando spese, diritti ed onorari inferiori a quelli richiesti e comunque escludere o ridurre alcune delle voci tariffarie indicate nella nota spese?” (motivo nono) e sul punto è denunciato anche difetto di motivazione riportando nel ricorso specifica nella quale sono riportate le diverse voci tariffarie, in relazione ai diversi scaglioni (motivo decimo).

2.- I motivi indicati nel p. 1 possono essere esaminati congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente infondati.

In linea preliminare va peraltro evidenziata la manifesta inammissibilità delle censure (e dei corrispondenti profili dei quesiti) incongrue, in quanto non correlate alla ratio decidendi del decreto, che ha accolto in parte la domanda. Analoga conclusione si impone in ordine che si risolvono in generiche affermazioni sulla diretta applicabilità delle sentenze della Corte di Strasburgo, formulate in modo del tutto inconferente e scollegato con la motivazione del decreto.

Ancora preliminarmente, va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il quesito di diritto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., è inadeguato, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso, quando non sia conferente rispetto alla questione che rileva per la decisione della controversia, quale emerge dall’esposizione del motivo (Cass, S.U. n. 8466 del 2008; n. 11650 del 2008); quando si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame (Cass. S.U. n. 6420 del 2008); quando non abbia attinenza nè col giudizio nè col motivo formulato, ma introduca un tema nuovo ed estraneo (Cass. n. 15949 del 2007); quando la sua formulazione non sia precisa, ma si concreti in quesiti multipli o cumulativi (Cass. n. 5471 del 2008; n. 1906 del 2008), logicamente e giuridicamente contraddittori. Posta questa premessa, si osserva:

a) relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della citata L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004). In termini analoghi è il principio enunciato dalla Corte costituzionale, che, contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa perciò manifestamente erroneo, ha affermato che al giudice nazionale “spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme.

Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale “interposta”, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1″ (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria.

In questi termini è il principio che può essere enunciato in relazione al quesito formulato con il primo motivo, che rivela la manifesta infondatezza della censura, nei termini in cui è stata proposta.

b) Relativamente alla quantificazione del danno ed ai motivi 2 e 3 va ribadito che deve escludersi che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere -come ha invece sostenuto l’istante – una ulteriore somma a titolo di bonus, arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia.

Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il bonus in questione deve essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha quindi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008). Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito che deve rispettare il parametro sopra indicato, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006;

n. 19029 del 2005; n. 19288 del 2005), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 6898 del 2008; n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006).

Il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore – anche il succitato bonus-qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul cd. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 18012 del 2008). In questi termini sono i principi che possono essere enunciati in relazione al quesito posto con il motivo 2, con conseguente manifesta infondatezza dei mezzi 2 e 3.

Il decreto ha, infatti, applicato il parametro della Corte EDU, liquidando Euro 1.000,00 per anno di ritardo, quale indennizzo per il danno non patrimoniale e rispetto all’osservanza di detto parametro le argomentazioni svolte dall’istante sono manifestamente astratte, scollegate dalla fattispecie concreta e non si danno carico di dedurre le ragioni specifiche che avrebbero permesso di disattenderlo.

2.1.- I motivi indicati nel p. 1.1 possono essere esaminati congiuntamente, perchè logicamente connessi, sono in parte manifestamente inammissibili, in parte manifestamente infondati, in parte manifestamente fondati.

In linea preliminare va osservato che incongruamente due dei motivi (quarto e sesto) si concludono con lo stesso quesito di diritto e pongono la stessa questione reiterata in modo non logicamente coordinato nei motivi ottavo e decimo.

Ancora in linea preliminare, va evidenziata la manifesta inammissibilità delle censure (e dei corrispondenti profili dei quesiti) incongrue, in quanto non correlate alla ratio decidendo del decreto e che in nessun modo tengono conto della fattispecie, ovvero si risolvono in argomentazioni astratte e prive di pertinenza con il caso di specie, Tanto va rilevato in relazione ai motivi: quinto, laddove si fa riferimento ai presupposti della compensazione, nella specie non disposta ed alla necessità che le spese seguono la soccombenza, che è ciò che è accaduto nel caso in esame; ottavo, quanto alla astratta deduzione di sufficienza della spese liquidate;

nono, quanto alla possibilità del giudice di ridurre le voci della nota spese, essendo chiaro che ciò è possibile se tanto risulta dalla applicazione delle norme. Relativamente agli ulteriori profili di censura, da ritenere ammissibili, nella parte in cui correlano l’erroneità delle voci di tariffa applicata alla violazione del principio dell’inderogabilità ed al difetto di motivazione, le stesse sono fondate sulla base dei principi di seguito indicati, ed entro i limiti che si precisano.

Posta questa premessa, le questioni poste vanno risolte facendo applicazione dei seguenti principi, già enunciati da questa Corte:

la L. n. 89 del 2001, non reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui all’art. 3, comma 4 e, in virtù del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito, avendo anche il legislatore dimostrato attenzione a questo profilo, esonerando il ricorrente dal contributo unificato (L. n. 89 del 2001, art. 5 bis, e, successivamente, D.Lgs. n. 115 del 2002, artt. 10 e 265) (Cass. n. 23789 del 2004);

le disposizioni degli artt. 91 e segg. c.p.c., in tema di spese processuali trovano applicazione, in linea generale, nel procedimento camerale nel caso in cui questo statuisca su posizioni soggettive in contrasto, come accade nella specie, senza che nessun ostacolo all’applicazione di detta normativa provenga dalla Convenzione CEDU, ovvero dal Protocollo aggiuntivo (Cass. n. 12021 del 2004), restando esclusa l’applicazione analogica delle disposizioni sulle spese vigenti per i procedimenti innanzi alla Corte di Strasburgo (Cass. n. 1078 del 2003);

dalla CEDU non discende un obbligo, a carico del legislatore nazionale, di conformare il processo per l’equa riparazione da irragionevole durata negli stessi termini previsti, quanto alle spese, per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione della Convenzione, dovendosi escludere che l’assoggettamento del procedimento alle regole generali nazionali, e quindi al principio della soccombenza, possa integrare un’attività dello Stato che “miri alla distruzione dei diritti o delle libertà” riconosciuti dalla Convenzione o ad “imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione” (Cass. n. 18204 del 2003);

la configurazione del procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 quale procedimento contenzioso comporta l’applicabilità della Tab. A-4^ e della Tab.B-1.

In applicazione di tali principi, la considerazione che il decreto ha liquidato le spese in Euro 70,00 per diritti ed Euro 300,00 per onorari, esplicitamente richiamando la tariffa della Tab. A punto 50, p. 8 (per gli onorari) e la Tab. B punto 75 p. 3 (per i diritti), rende manifestamente fondate censure, nella parte in cui sono ammissibili.

Entro questi limiti i mezzi possono essere accolti; il decreto andrà cassato nel solo capo relativo alle spese e la causa decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate. Le spese di legittimità potranno essere compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso.

Pertanto, il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano, in quanto danno applicazioni a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, pure indicata nella relazione.

In relazione alle censure accolte, il decreto deve essere cassato limitatamente al capo concernente le spese e la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante condanna della controricorrente a pagare le spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo, con attribuzione al difensore, per dichiarazione di anticipo, nonchè quelle della presente fase, ma per queste ultime limitatamente ad 1/3, sussistendo giusti motivi per dichiarare compensata la residua parte, stante il parziale accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato limitatamente a capo concernente le spese e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare le spese della fase di merito che liquida in complessivi Euro 923,00 di cui Euro 378,00 per diritti ed Euro 445,00 per onorario, nonchè un terzo delle spese della presente fase (compensate la residua parte), che liquida in complessivi Euro 240,00, di cui Euro 35,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, con attribuzione al difensore, avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2010

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