Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8027 del 07/04/2011

Cassazione civile sez. VI, 07/04/2011, (ud. 09/03/2011, dep. 07/04/2011), n.8027

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

ITTIERRE S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona dei

commissari straordinari, elettivamente domiciliata in Roma, via

Antonio Granisci n. 54, presso lo studio dell’avv. Tasco Giampiero,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che le rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Molise, sez. 2^, n. 59, depositata il 31.7.2009.

Letta la relazione scritta redatta dal consigliere relatore dott.

Aurelio Cappabianca;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3;

udito, per la società ricorrente, l’avv. Pietro Bellante;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso, chiedendo, in adesione alla

relazione, il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1) – in controversia tributaria, la società ricorrente, non ha depositato, unitamente al ricorso per cassazione, il ricorso introduttivo e l’atto di appello, ove, con la censura di omessa pronunzia dedotta con il primo motivo di ricorso, assume introdotte doglianze non decise dal giudice a quo, nè la relazione dell’esperita c.t.u., in rapporto alle cui risultanze, con il secondo motivo di ricorso, adduce insufficiente, e contraddittoria la motivazione della decisione impugnata.

Alla luce di tale rilievo, logicamente prioritarie, ai fini della preliminare valutazione della procedibilità del ricorso, si rivelano la questione della definizione dell’ambito oggettivo della previsione di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche alla luce delle modificazioni apportatevi dalla novella di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, e quella dell’applicabilità della norma ai giudizi di cassazione su controversie tributarie.

Invero, nella formulazione introdotta dal D.Lgs. 40 del 2006, art. 7 a far tempo dal 2 marzo 2006 (e applicabile ratione temporis alla fattispecie), la citata disposizione stabilisce, che “insieme col ricorso debbono essere depositati, sempre a pena d’improcedibilità;

… d) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”; laddove, nella previgente versione della norma, l’identico contenuto precettivo era riferito soltanto a “gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda”.

Peraltro – in considerazione del chiaro tenore della disposizione (che sancisce, appunto, che il deposito in esame va eseguito “insieme col ricorso”, “a pena d’improcedibilità”) – questa Corte ha costantemente evidenziato che l’onere suindicato (comunque se ne definisca l’ambito oggettivo) deve essere necessariamente assolto entro quello stesso termine (di venti giorni dalla notificazione del ricorso alle controparti), che l’art. 369 c.p.c., comma 1 fissa per il deposito del ricorso in Cancelleria (v. : Cass. ss.uu. 20075/10, 7161/10, 21747/09 e 28547/08 nonchè Cass. 4898/10, 3427/10, 303/10, 29/10, 24940/09, 2855/09, e, in relazione alla precedente formulazione della disposizione, Cass. 570/98 e cfr, altresì, Cass., ss.uu., 10722/02).

2) 1. – In merito alla definizione dell’oggetto dell’onere in rassegna con specifico riguardo al quadro normativo successivo alla novella introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, la giurisprudenza di questa Corte non risulta uniforme.

Varie decisioni (segnatamente delle sezioni terza e tributaria: v., tra le altre, Cass. 3522/11, 2803/11, 26525/10, 21580/10, 17463/10, 15938/10, 1797/10, 303/10, 29/10, 24940/09, 26266/08, 22303/08) mostrano di ritenere che, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ed alla luce della sua nuova formulazione, tutti gli “atti processuali” sui quali si fondino le censure espresse nei motivi del ricorso per cassazione (e, dunque, necessari alla valutazione della relativa ammissibilità e fondatezza) devono essere depositati dal ricorrente nel termine utile per il deposito del ricorso.

Talune pronunzie della sezione lavoro (v. Cass. 18854/10, 17196/10, 4894/10) mostrano, invece, di ritenere che gli “atti processuali” dei quali il legislatore ha imposto l’onere di deposito, a pena di improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, sono soltanto quelli che non fanno parte del fascicolo d’ufficio del giudizio nel quale è stata pronunciata la sentenza impugnata.

2. – L’indirizzo da ultimo richiamato – che propende, dunque, per una lettura restrittiva della previsione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, escludendo dall’ambito oggettivo dell’onere ivi sancito gli atti processuali inseriti nel fascicolo d’ufficio del giudice a quo ai sensi dell’art. 347 c.p.c., comma 3 in combinato disposto dall’art. 168 c.p.c. muove dalla convinzione che l’onere di produzione in oggetto non possa riguardare atti comunque destinati a cadere nella disponibilità della Corte in base ad altre previsioni normative, sicchè la disposizione contenuta nell’art. 369 c.p.c., comma 2 deve essere necessariamente coordinata con quella del comma successivo dello stesso articolo, che pone al ricorrente l’onere di chiedere al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata la trasmissione del fascicolo di ufficio e di depositare, unitamente al ricorso per cassazione, la richiesta vistata da quel cancelliere.

Secondo tale opinione, in assenza di coordinamento nei termini anzi detti si determinerebbero effetti processuali del tutto incoerenti sotto il profilo sistematico, quali un inutile appesantimento della produzione in giudizio, la duplicazione degli oneri posti a carico delle parti ed un aggravio della difficoltà di esercitare i diritti difensivi, addirittura, con pregiudizio del principio di effettività della tutela giurisdizionale.

3. la – L’opposto indirizzo muove dalla constatazione che il fatto che il legislatore del 2006 abbia sentito l’esigenza di sostituire, nell’ambito della previsione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, alla formula negli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda”, la formula “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” (così specificamente intervenendo a qualificare “processuali” gli “atti”, già in precedenza in detto ambito contrapposti ai “documenti” ed aggiungendo a questi i “contratti o accordi collettivi”) non sembra poter obiettivamente assumere altro significato che quello di sancire inequivocabilmente l’estensione dell’onere in esame a tutti gli atti processuali e documenti (negoziali e non) necessari alla decisione sul ricorso e la ricomprensione nella relativa sfera oggettiva degli “atti processuali” generalizzatamente intesi. Ciò anche per il rilievo che la novella risulterebbe francamente ingiustificata, se finalizzata ad incidere unicamente sugli atti processuali estranei al fascicolo di ufficio (consulenze di parte, citazioni dei testimoni, ecc.), agevolmente catalogabili già alla luce della previgente formulazione normativa (“gli atti ed i documenti …”).

Rileva, poi, che – per l’univocità del dato testuale del vigente art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (ancor più evidente ove valutato in proiezione dinamica rispetto a quello della previgente formulazione della norma) – escludere dall’onere di deposito sancito dalla disposizione gli atti processuali ricompresi nel fascicolo d’ufficio dei gradi di merito ovvero ritenere l’assolvimento di tale onere fungibile, per detti atti,, con il deposito dell’istanza di trasmissione del fascicolo di merito vistata dal Cancelliere del giudice a quo, a sua volta prescritto dell’art. 369 c.p.c., comma 3, si risolverebbe nella sostanziale abrogazione della portata innovativa del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 7. E questo mentre, per converso, la previsione dell’onere di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nei termini sopra indicati, non rende superfluo quella dell’onere previsto dall’art. 369 c.p.c., comma 3, essendo, quest’ultimo, adempimento funzionale all’ineludibile esigenza (non solo certificativa) che la Corte abbia comunque in sua disponibilità, all’occorrenza, le complessive risultanze processuali dei gradi di merito del giudizio.

3. 1b – Sul piano finalistico, l’orientamento in rassegna collega l’innovazione apportata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 7 all’esigenza di offrire alla Corte, immediatamente, un quadro completo ed oggettivamente autosufficiente di elementi utili alla decisione; esigenza (già avvertita da Cass. 570/98), il cui soddisfacimento costituisce condizione necessaria alla prospettiva – propria della riforma procedimentale di cui al D.Lgs. 40 del 2006 (ed, altresì, di quella di cui alla L. n. 69 del 2009) – di potenziare la capacità decisionale della Corte, per fronteggiare il progressivo aumento delle sopravvenienze, attraverso l’incremento delle decisioni nelle più snelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c. (in sede di “Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili”, costituita con decreto del Primo presidente 9.5.2005, e, poi, di sezione “filtro” istituita dall’art. 376 c.p.c., comma 1, come modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 1, lett. b).

In tale ottica, si è, in particolare, osservato (cfr. Cass. 2803/11 e 26525/10) che la duplicazione documentale determinata dalla norma – circoscritta, peraltro, ai soli documenti essenziali al giudizio di cassazione e se decisivi ai fini della pronunzia: cfr. Cass. 12028/10, 20504/06, 19132/05, 15063/05) – non risulta affatto “irragionevole e inutilmente vessatoria., dovendo la ragione della previsione del deposito di documenti già presenti nel fascicolo di causa ravvisarsi innanzitutto ed essenzialmente nella diversità dei tempi di disponibilità per la Corte dei suddetti documenti (posto che, mentre il fascicolo di causa sarà trasmesso successivamente, il deposito della sentenza impugnata e degli atti su cui il ricorso è fondato unitamente al deposito del ricorso medesimo consente subito un primo screening dell’impugnazione, funzionale ad una immediata catalogazione ed organizzazione delle sopravvenienze), senza peraltro sottovalutare la maggiore facilità e velocità di accesso a tali documenti, una volta che essi risultino ben individuati e specificamente depositati, evitando così la necessità del reperimento dei medesimi all’interno dei fascicoli dei gradi di merito pervenuti in Corte in un momento spesso anche di molto successivo al deposito del ricorso”. E si è rimarcato che “la ratio della previsione in esame assume oggi rilievo ancora maggiore, a fronte di un contenzioso sempre crescente … e della costituzionalizzazione del principio di ragionevole durata del processo (che impone un’organizzazione del lavoro sempre più anticipata, accurata e mirata da parte della Corte)”, anche in base al rilievo che, “secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il principio di ragionevole durata del processo deve intendersi rivolto non soltanto al giudice quale soggetto processuale, in funzione acceleratoria, ed al legislatore ordinario, ma anche al giudice quale interprete della norma processuale, rappresentando un canone ermeneutico imprescindibile per una lettura costituzionalmente orientata delle norme che regolano il processo (v.

Cass. n. 1540 del 2007)”.

Non si è, infine, mancato di considerare (cfr. Cass. 3522/11) che l’allegazione al ricorso di atti, altrimenti non sottratti ad un rigoroso onere di descrizione in ricorso per il dovuto ossequio al criterio di autosufficienza (cfr. Cass. 18854/10, 6937/10, 11886/06), non può che utilmente circoscrivere l’inevitabile soggettività immanente nella correlativa valutazione, con indubbi vantaggi anche in prospettiva di certezza del diritto.

3.2 – Nell’ambito dell’orientamento in rassegna, le decisioni della sezione tributaria affermano che non vi è motivo di escludere l’operatività dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 nei giudizi di cassazione in materia tributaria, negando fondatezza al rilievo secondo cui, in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 25, comma 2, (disponendo “i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo”) per un verso, precluderebbe alle parti il libero accesso agli atti del giudizio sino alla sua definitiva conclusione, ostacolandone l’attività difensiva, e, per l’altro, si risolverebbe in un adempimento praticamente superfluo, avendo ad oggetto atti e documenti comunque destinati a confluire nel giudizio di cassazione in quanto inseriti nel fascicolo che la Cancelleria del giudice di appello è tenuta inviare alla Corte su istanza del ricorrente.

In proposito, in sede di prima approssimazione, si è osservato (cfr., in particolare, Cass. 3522/11 e 2803/11) – con riferimento alla prospettata superfluità in tema di giudizio di cassazione su controversia tributaria dell’adempimento di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (in quanto incidente su atti e documenti comunque destinati a confluire nel giudizio di cassazione) – che nel contenzioso tributario il fascicolo d’ufficio dei gradi di merito comprende, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 25, comma 1, anche le copie delle sentenze pronunziate e che, ciononostante (e nonostante che, conseguentemente, pure la sentenza impugnata è destinata comunque a confluire tra gli atti del giudizio di cassazione con il fascicolo di ufficio dei gradi di merito) , certamente non si dubita che, in applicazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, anche il ricorso per cassazione in controversia tributaria è inammissibile se, nel termine per il deposito del ricorso di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, non si depositi copia autentica della sentenza impugnata (cfr. Cass. 3998/06, 13679/04).

Atteso che, in forza della previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 al giudizio di cassazione in materia tributaria si applicano le norme del codice di procedura civile “in quanto compatibili” (e, quindi, conciliabili) con quelle del D.Lgs. n. 546 del 1992 sul contenzioso tributario si è, poi, osservato (cfr., in particolare, Cass. 3522/11, 24940/09) che alla prima parte del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 25, comma 2, (“i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo”), fa seguito una seconda parte che recita “le parti possono attenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio” e che, alla luce di tale elemento, dalla previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 25, comma 2, complessivamente considerata, non emerge alcun effettiva incompatibilità con l’assolvimento, nell’ambito del giudizio di cassazione su controversia tributaria, dell’onere generalizzatamente previsto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

Ad ulteriore conforto dell’affermata compatibilità, si è, inoltre, considerato che l’onere in rassegna risulta, in ogni caso, suscettibile di assolvimento anche mediante l’allegazione di semplice fotocopia degli atti e dei documenti su cui si fonda il ricorso, giacchè questa, secondo il principio fissato dall’art. 2712 c.c., ha lo stesso valore ed efficacia probatoria, dell’originale, salvo che la sua conformità all’originale non venga contestata dalla parte contro cui è prodotta; cosicchè, se una parte depositi in Cassazione copia di un atto o documento, la produzione deve esser presa in esame, restando solo impregiudicata la questione della corrispondenza della copia all’originale (v., tra le altre, Cass. 2590/09, 3695/07, 8108/03, 15148/00).

Si è, quindi, concluso che è dall’interno del medesimo sistema processuale e specificamente di quello tributario che scaturisce la chiave della piana conciliabilità dell’onere in oggetto e della caratteristiche proprie del contenzioso tributario, senza sostanziali alterazioni dell’onere medesimo e senza che possa riscontrarsi una disciplina processuale eccessivamente gravosa e disfunzionale (nella prospettiva di cui a C.Cost. 189/00 e Cass. 3117/06), posto che l’onere di allegazione in Cassazione di un qualche documento del processo, per un verso, non può obbiettivamente considerarsi aggravio insopportabile dell’attività difensiva della parte e, per l’altro, concorre certamente a potenziare efficacemente, per quanto in precedenza puntualizzato, la funzionalità decisionale della Corte.

3) – Tanto premesso – ed atteso anche il dissenso esternato, con diffuse pressioni, dall’avvocatura privata e pubblica in merito alla ritenuta applicabilità della previsione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 ai giudizi di cassazione su controversie tributarie (per preoccupazioni che, peraltro, non sembrano poter obbiettivamente essere riferite che all’esito di ricorsi già depositati) – il collegio reputa opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, al fine della risoluzione del rilevato contrasto giurisprudenziale e, comunque, della decisione su questione di massima di particolare importanza anche ai fini della proficua organizzazione (v. sub punto 2^ 3.1b) dell’attività di “filtro” di cui all’art. 376 c.p.c., comma 1, come modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 1, lett. b.

P.Q.M.

rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite del rilevato contrasto giurisprudenziale e dell’indicata questione di massima di particolare importanza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2011

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