Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8026 del 23/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 23/03/2021, (ud. 10/09/2020, dep. 23/03/2021), n.8026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. est. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 1987/2013, proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Tirreno Marmi s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t.,

M.G., rappresentata e difesa, giusta mandato a margine al

controricorso, dall’avv.to Gianni Emilio Iacobelli, nonchè

dall’avv.to Ilaria Anita Fares, presso il cui studio è

elettivamente domiciliata, in Roma, Via Panama n. 74;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 383/2013 della Commissione tributaria

regionale del Lazio, Sezione distaccata di Latina, depositata il

05/06/2013 e non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/09/2020

dalla Dott.ssa Rosita D’Angiolella.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La società Tirreno Marmi s.r.l., esercente attività di “estrazione di pietre da costruzione”, propose ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva accertato, per l’anno 2005, maggiori ricavi non contabilizzati per complessivi Euro 224.772,00, recuperando a tassazione maggiore Ires, Irap e Iva, oltre sanzioni ed interessi.

La Commissione tributaria provinciale di Frosinone, con sentenza n. 379 del 2011, respingeva il ricorso confermando la legittimità dell’avviso di accertamento fondato sui cd. studi di settore.

La società proponeva appello avverso tale sentenza innanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina (di seguito, CTR), che, con la sentenza n. 383/40/2013, depositata il 05/06/2013, non notificata, accoglieva l’appello e annullava l’avviso sull’assunto che l’Ufficio si sarebbe basato sulla pura applicazione di parametri matematici ed avrebbe omesso di motivare sui motivi per cui aveva disatteso le giustificazioni addotte dal contribuente.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

La società contribuente ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: “Insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo (e comunque omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, la ricorrente deduce che la CTR nel ritenere apoditticamente che nell’avviso di accertamento mancava la valutazione delle obiezioni del contribuente, avrebbe omesso di valutare, in primis, il tenore testuale della motivazione dell’avviso di accertamento (riportato in ricorso), da cui emergeva, invece, l’esame analitico delle giustificazioni addotte dal contribuente, inoltre, di esporre le ragioni per cui ha disatteso le argomentazioni in fatto ed in diritto dell’Ufficio svolte compiutamente in sede di appello (difetto di prova dell’asserito calo delle estrazioni, dell’incompatibilità tra la differenza dei materiali venduti e quella acquistati, verifica delle fatture di acquisto). In buona sostanza, l’Ufficio si duole dell’omesso esame delle circostanze fattuali oggetto di verifica sulle quali è stato emesso l’avviso di accertamento.

Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: “violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62, sexies comma 3 convertito con modificazioni in L. n. 427 del 1993, dell’art. 2727, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, la ricorrente deduce che la CTR ha errato a non applicare le regole della prova presuntiva ivi previste e, quindi, a non considerare che grava sul contribuente l’onere della prova contraria.

La società contribuente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per assoluta genericità della formulazione dei relativi motivi di censura, in relazione alle “autonome e differenti” ragioni della decisione impugnata, nonchè per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in relazione alla mancata esplicita indicazione dei documenti sui quali si fonda il ricorso. Nel merito, rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione erariale, la CTR ha annullato l’avviso sul fondamentale rilievo che la documentazione prodotta dalla società contribuente superava la presunzione posta a base dell’accertamento, sicchè la sentenza impugnata non merita censura alcuna.

La CTR, dal canto suo, ha ritenuto illegittimo l’accertamento effettuato dall’Ufficio evidenziando che: “(…) la disposizione di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, comma 3 richiede l’esistenza di una grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore e non soltanto che l’ammontare dei ricavi risulti superiore ai redditi dichiarati. La contribuente ha l’onere di provare la sussistenza di condizioni che giustificano l’inapplicabilità dell’accertamento (…). Il contribuente ha ottemperato all’invito del contraddittorio (…) l’Ufficio si è limitato solo all’applicazione dei parametri previsti senza integrarli con la dimostrazione della applicabilità in concreto e senza rappresentare le ragioni per le quali sono state disattese le argomentazioni della contribuente. L’appellante ha prodotto valida documentazione che è stata in sostanza disattesa senza accurata verifica da parte dell’ufficio (…). L’appellante ha fornito validi elementi atti ad impugnare la ricostruzione degli studi di settore”.

Il primo motivo di ricorso è fondato e va accolto, con assorbimento del secondo.

Quanto all’eccepito difetto di autosufficienza del ricorso e di decisività della sua illustrazione, anche documentale, si osserva che l’esposizione in fatto del ricorso, i richiami ivi contenuti anche ai documenti prodotti nelle fasi di merito (ed in particolare all’avviso di accertamento) ed alle deduzioni di appello (v. doc. 8, riportato al ricorso, pag. 5-7), rendono le censure proposte conformi alle regole fissate al riguardo dal codice di rito, ed in particolare, conformi alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (cfr. Sez. U., Sentenza n. 8077 del 22/05/2012, Rv. 622361-01; Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317-01).

Anche l’eccezione d’inammissibilità del motivo, in quanto dedotto ai sensi della previgente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è infondata non solo perchè in rubrica il ricorrente deduce l’omesso esame di fatti decisivi, ma soprattutto perchè le giustificazioni in fatto addotte dalla società contribuente (calo di produzione di pietrame) ha costituito per tutta la controversia – come evincibile dal complesso della motivazione del ricorso – il fatto decisivo e controverso, oggetto di discussione tra le parti, il cui mancato esame, ha determinato, secondo l’assunto della ricorrente, la violazione del parametro di censura evocato, anche alla luce della vigente formulazione.

Ciò posto, la fondatezza del primo motivo si trae a voler considerare i principi stabiliti da questa Corte in tema di accertamento standardizzato in base agli studi di settore.

E’ giurisprudenza costante di questa Corte che, in tema di accertamento induttivo dei redditi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 l’Amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta, sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 33340 del 17/12/2019, Rv. 656407-01 e n. 16430 del 2011, Rv. 618809-01).

In tal senso è stato evidenziato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello “standard”, nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata (ibidem, Sez. 5, Ordinanza, n. 33340 del 17/12/2019).

Per tali accertamenti, cioè, è consentito all’Ufficio di dubitare della congruenza delle operazioni dichiarate e, quindi, di desumere, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi precise concordanti, lo scostamento dallo studio di settore e, quindi, maggiori ricavi e minori costi. Il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che il comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (Sez. 5, Ordinanza, n. 9084 del 07/04/2017, Rv. 643626-01). Nella specie, la Commissione regionale ha omesso di verificare gli elementi circostanziali di cui all’accertamento dell’Ufficio rispetto ai fatti addotti dalla società contribuente per superare gli elementi identificativi dello specifico studio di settore applicato alla fattispecie concreta, nonchè per superare la grave incongruenza degli elementi contabili ed extra contabili utilizzati dall’Ufficio per il calcolo dei ricavi.

L’individuazione e la valutazione di tali elementi era necessaria per un corretto esame dei fatti di causa da parte del giudice di merito, soprattutto considerando che le motivazioni dell’atto di accertamento hanno riguardato la verifica in concreto delle giustificazioni addotte dalla società contribuente (v. pag. 4-5-6-dell’accertamento, ove sono riportate sia le fatture di acquisto – ove non risulta l’acquisto di blocchi informi-, sia le fatture di vendita – dalle quali è risultata la vendita di ben 15.817,114 blocchi informi e semi squadrati, nonchè è stato acclarato l’acquisto degli esplosivi – per l’attività estrattiva- pari quasi al doppio dell’anno precedente); tali fatti – decisivi ai fini del giudizio – sono peraltro stati oggetto delle deduzioni formulate in appello dall’Amministrazione erariale il cui esame risulta del tutto omesso dalla sentenza della CTR (v. allegato al ricorso, doc. 8, pag. 5-7).

In altri termini, ha errato la Commissione regionale sia nella parte in cui ha ritenuto che la documentazione addotta dalla società era stata disattesa senza la dovuta verifica da parte dell’Ufficio (v. sentenza impugnata, ultima pagina), sia nella parte in cui non ha valutato la gravità, precisione e concordanza delle presunzioni su cui si era basato l’Ufficio per accertare lo scostamento tra i ricavi ed i costi.

Le doglianze di cui al secondo mezzo risultano assorbite dall’accoglimento del primo. La sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, in diversa composizione, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi su esposti nonchè provveda anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso per quanto in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione regionale del Lazio – sezione distaccata di Latina -, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2021

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