Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8026 del 22/04/2020

Cassazione civile sez. I, 22/04/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 22/04/2020), n.8026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22978/2018 proposto da:

N.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Perricone Diego Giuseppe, giusta procura;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositato il

12/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2019 dal Cons. Dott. LA TORRE MARIA ENZA.

Fatto

RITENUTO

che:

N.M., cittadino del (OMISSIS) giunto in Italia nel (OMISSIS) a seguito del rigetto della domanda di protezione presentata in Germania e al conseguente provvedimento di espulsione – ricorre per la cassazione del Decreto 12 giugno 2018, n. 1161/2018, emesso dal Tribunale di Caltanissetta, Sezione Specializzata in materia di Immigrazione e Protezione Internazionale, che, su impugnazione avverso il diniego dell’istanza di concessione protezione internazionale, sub species protezione sussidiaria, ed in subordine protezione umanitaria, ha confermato la decisione di rigetto della Commissione Territoriale di Siracusa.

Il Tribunale, premesso “che ai fini dell’esame della domanda di protezione possono valutarsi unicamente le dichiarazioni – presunte minacce da un membro dell’assemblea provinciale (MPA) – rese dal ricorrente innanzi alla Commissione Territoriale, trai/altro prive di riscontro probatorio, poco credibili e scarsamente plausibili, in quanto la parte non è comparsa all’udienza espressamente fissata per la sua audizione – senza addurre alcuna giustificazione, non intendendo, quindi, rendere alcuna dichiarazione volta ad integrare o meglio chiarire i fatti narrati -, ha ritenuto non sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Inoltre, ha rilevato che non è stata data la prova del rischio per il ricorrente di subire una condanna a morte ovvero di subire trattamenti inumani e degradanti, considerando, alla luce delle fonti internazionali consultate, che nella regione d’origine, Punjab, non ricorre alcuna ipotesi di conflitto armato. Infine – per quanto ancora qui rileva per quanto concerne l’istanza di protezione umanitaria, il Tribunale ha escluso la ricorrenza di gravi o oggettive situazioni personali, tali da integrare una possibile situazione di vulnerabilità e non consentire l’allontanamento dello straniero, lamentandosi in modo generico l’instabilità del paese d’origine, senza null’altro allegare, ai fini dell’eventuale riconoscimento della protezione umanitaria.

Il Ministero è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorso è affidato a tre motivi.

Con il primo si deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, essendo le dichiarazioni rese dal richiedente idonee a comprovare il rischio effettivo di subire un danno grave (con riferimento al sequestro arbitrario di terre ai contadini, soggetti quindi vulnerabili);

Con il secondo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ricorrendo nel Pakistan una situazione emergenziale per la sicurezza e di conflitto armato (fonte: Globa Terrorism Index 2016).

Con il terzo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorrendo i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, dato che il Pakistan è paese critico, instabile con costante violazione dei diritti umani.

I motivi sono inammissibili, riproponendo alla Corte un diverso apprezzamento dei fatti, effettuato coerentemente dal giudice di merito che, con congrua motivazione, ha escluso i presupposti per la concessione delle misure richieste.

Va premesso che la valutazione del rischio di trattamenti inumani e degradanti da agente privato da cui lo Stato non è in grado di proteggere il suo cittadino non può prescindere dalla esposizione di una storia individuale credibile, mentre la valutazione del rischio ex art. 14, lett. c), può anche farsi sulla base della provenienza, qualora nel paese di origine sussista una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato, di livello talmente elevato da far ritenere che un civile per il solo fatto della presenza sul territorio corra un rischio effettivo di subire minaccia grave alla vita o alla persona, entro i limiti rigorosi indicati dalla CGUE nelle sentenze del 17 febbraio 2009 (Elgafaji, C465/07) e del 30 gennaio 2014, (Diakitè C-285/12). Si tratta chiaramente di una ipotesi eccezionale legata alla sussistenza non già di una semplice instabilità socio-politica o del rischio di attentati terroristici generalizzati, ma di un vero e proprio conflitto armato che genera violenza indiscriminata.

Sotto questo profilo il Tribunale, previa l’acquisizione di informazioni sul paese di origine (distretto Gujranwala), di cui ha indicato la fonte (cfr. Cass. 11312/19) e cioè siti EASO 2017 e report Commissione nazionale per il diritto di asilo del 25.8.2017, ha esaminato il caso ed escluso il rischio ex art. 14, lett. c). Il Tribunale ha altresì accertato che lo stesso richiedente non ha lamentato condizioni personali di effettiva deprivazione dei diritti umani, condizione questa indefettibile della protezione umanitaria.

Peraltro nella fattispecie il Tribunale ha accertato l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente, a fronte di un racconto che non rispetta i parametri dell’art. 3. E’ stato affermato, in particolare – e a questo orientamento si intende dare continuità – che “l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona” e che, “nel caso in cui le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso sulla prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 18229/2019; nello stesso senso, Cass. n. 28862/2018, Cass. n. 16925/2018). In particolare il Tribunale ha ritenuto “poco plausibili e contraddittorie” le dichiarazioni del richiedente, la cui mancanza di veridicità non è stata “in alcun modo fugata nel corso del giudizio” non essendo il ricorrente comparso in udienza è stata resa “alcuna dichiarazione volta a integrare o meglio chiarire i fatti narrati”.

Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese in mancanza di costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2020

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