Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8024 del 01/04/2010

Cassazione civile sez. III, 01/04/2010, (ud. 11/02/2010, dep. 01/04/2010), n.8024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 8210-2009 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 41,

presso lo studio dell’avvocato ZINI ADOLFO, che la rappresenta e

difende; giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI 35,

presso lo studio dell’avvocato LAURO MASSIMO, che lo rappresenta e

difende, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

DICEBO IMMOBILIARE SRL, D.P.L.;

– intimati –

DICEBO IMMOBILIARE SRL, in persona del suo amministratore unico e

legale rappresentante, D.P.L., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA FRANCO NICHELINI TOCCI 50, presso lo studio

dell’avvocato VISCONTI CARLO, che li rappresenta e difende, giusta

procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

F.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 41,

presso lo studio dell’avvocato ZINI ADOLFO, che lo rappresenta e

difende, giusta procura in calce al controricorso al ricorso

incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

e contro

C.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5072/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

7/03/08, depositata il 04/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito l’Avvocato Zini Adolfo, difensore della ricorrente e della

controricorrente al ricorso incidentale che si riporta agli scritti;

udito l’Avvocato Visconti Carlo, difensore dei controricorrenti e

ricorrenti incidentali che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che

nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

La Corte letti gli atti depositati:

 

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 27 marzo 2009 F.L. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 4 dicembre 2008 dalla Corte d’Appello di Roma, confermativa della sentenza del Tribunale che aveva respinto tutte le domande proposte da B.A. (dante causa della ricorrente) ed Edigrafica Aldina S.r.l. (cui era poi succeduto il Curatore del fallimento) finalizzate ad ottenere l’accertamento dell’esistenza di un patto commissorio, la nullità e inefficacia del contratto di compravendita immobiliare intercorso tra Aldina e Di.Ce.Bo. – con condanna di quest’ultima alla restituzione dell’immobile – nonchè dei successivi contratti di locazione tra le stesse – con condanna della Di.Ce.Bo. a restituire la somma di L. 721.144.000 percepita a titolo di canoni – l’accertamento dell’illiceità della condotta di D.P.L. e C.M. – con condanna di costoro a restituire alla Aldina e al B. L. 4.153.847.8710 – la condanna della Di.Ce.Bo. al risarcimento dei danni, la condanna dei convenuti a restituire tutti i titoli di credito e i biancosegni rilasciati da Aldina e B. e da essi ancora detenuti.

M.C. ha resistito con controricorso. Di.Ce.Bo. Immobiliare ha proposto ricorso incidentale condizionato, cui la F. ha resistito con controricorso.

D.P.L. non ha svolto attività difensiva.

Preliminarmente i due ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2 – I tre motivi del ricorso principale risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’ari. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella dei 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3 – Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione degli artt. 2744, 1344 e 1418 c.c.. Le argomentazioni a sostegno riguardano citazioni giurisprudenziali alternate ad ampi riferimenti alle risultanze processuali che, peraltro, implicano necessariamente apprezzamenti di merito. All’esito di esse, formula un quesito con il quale chiede alla Corte di affermare che è carente la motivazione della sentenza impugnata che, in presenza di asseriti elementi (analiticamente indicati) sintomatici dell’esistenza di un patto commissorio, abbia rigettato la domanda per difetto di legittimazione della ricorrente, in quanto la domande riguarderebbero terzi, senza considerare che detti terzi sono due società delle quali sono titolari rispettivamente i creditori e il debitore.

Siffatto modus censurandi sottopone all’esame della Corte una pluralità di questioni, in disarmonia con il carattere specifico che deve caratterizzare ciascuno dei motivi di ricorso per cassazione.

Il quesito finale, anch’esso pluriarticolato, sotto un primo profilo non postula l’enunciazione di un principio di diritto, riferito alle norme di cui è stata denunciata la violazione e falsa applicazione (che non sono sinonimi e, dunque, vanno specificate), che sia al tempo stesso decisivo per il giudizio e di applicabilità generalizzata, mentre, sotto altro profilo, non si risolve nel momento di sintesi necessario per circoscrivere il fatto controverso e specificare quali capi della sentenza e per quali ragioni presentino motivazione rispettivamente omessa, insufficiente e contraddittoria (è di tutta evidenza che una motivazione non può essere al tempo stesso omessa e contraddittoria e che ben difficilmente una motivazione insufficiente può anche contraddirsi).

Infine, mancano contestazioni specifiche delle argomentazioni addotte dalla Corte territoriale a sostegno della propria decisione.

Con il secondo motivo (qualificato come terzo, forse in considerazione della pluralità di censure formulate con il primo) la ricorrente lamenta omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia. La doglianza riguarda la mancata ammissione di attività istruttorie (consulenza tecnica d’ufficio, interrogatorio formale del D.P. e del C., prova testimoniale, ordini di esibizione alle controparti e a terzi), A dimostrare l’inammissibilità della censura è sufficiente sottolineare che il “quesito di sintesi” occupa oltre quattro pagine, in palese frustrazione delle esigenze perseguite dall’art. 366 bis c.p.c..

D’altra parte, stante il divieto di prove nuove in appello sancito dall’art. 345 c.p.c., comma 3 la ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, avrebbe dovuto dimostrare di avere già chiesto la medesima attività istruttoria già in primo grado. Ancora, l’ammissione di attività istruttoria è affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito.

Infine, la ricorrente non ha dimostrato a quale differente risultato avrebbe indotto l’assunzione delle prove richieste, considerata anche la carenza di legittimazione affermata dalla Corte d’Appello.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia;

violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. La questione trattata è l’asserita illiceità del comportamento del D.P. e del C..

Anche questa censura, che contiene ripetuti riferimenti di merito, si conclude con un “quesito di diritto” che non postula l’enunciazione di un principio giuridico, ma richiede una valutazione del caso di specie in tema di prova del credito vantato e con un “quesito di sintesi” che sintesi non è e che, come nella precedente censura, riguarda le richieste istruttorie.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Occorre correggere due errori contenuti nella relazione: 1) la sentenza della Corte d’Appello è stata notificata in data 27 gennaio 2009 (circostanza che non influisce sulla tempestività del ricorso);

2) D.P.L. ha svolto attività difensiva mediante controricorso con ricorso incidentale condizionato comune alla Di.Ce.Bo. Immobiliare;

Entrambe le parti hanno presentato memorie e chiesto d’essere ascoltate in camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte dalla ricorrente con la memoria non inficiano i rilievi contenuti nella relazione; il primo motivo si conclude con un quesito plurimo che non implica l’enunciazione di un principio di diritto fondato sulle norme asseritamente violate o falsamente applicate e non rappresenta il momento di sintesi necessario per soddisfare le esigenze perseguite dall’art. 366 bis c.p.c., ancora in vigore per i ricorsi proposti avverso provvedimenti depositati antecedentemente al 4 luglio 2009; il secondo motivo, che lamenta vizio di motivazione, non contiene la chiara indicazione del fatto controverso nè la specificazione delle asserite omissioni motivazionali; il terzo motivo presenta le medesime connotazioni negative evidenziate per i primi due;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che pertanto il ricorso principale va dichiarato inammissibile, assorbito quello incidentale condizionato;

le spese seguono la soccombenza; visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

PQM

Riunisce i ricorsi. Dichiara il ricorso principale inammissibile e il ricorso incidentale condizionato assorbito. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate, a favore di Di.Ce.Bo e D.P., in complessivi Euro 12.200,00, di cui Euro 12.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge e, a favore del Ccnl, in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 7,000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2010

 

 

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