Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8021 del 22/04/2020

Cassazione civile sez. I, 22/04/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 22/04/2020), n.8021

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18129/2018 proposto da:

M.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Perricone Diego Giuseppe, giusta procura;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositato il

27/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2019 dal Cons. Dott. LA TORRE MARIA ENZA.

Fatto

RITENUTO

che:

M.A., cittadino del (OMISSIS), giunto in Italia nel 2016 dopo aver soggiornato nove anni in Grecia, ricorre per la cassazione del Decreto n. 809/2018 del 27 aprile 2018 emesso dal Tribunale di Caltanissetta – Sezione Specializzata in materia di Immigrazione e Protezione Internazionale – che, su impugnazione avverso il diniego dell’istanza di concessione protezione internazionale, sub species di protezione sussidiaria, ed in subordine di protezione umanitaria, ha confermato la decisione di rigetto della Commissione Territoriale di Siracusa.

Il Tribunale, premesso “che ai fini dell’esame della domanda di protezione possono valutarsi unicamente le dichiarazioni del richiedente (essere partito dal Pakistan per poter guadagnare quanto necessario per il mantenimento della famiglia) rese innanzi alla Commissione Territoriale, poichè il ricorrente, di cui era stata disposta la comparizione, fissando al tal fine apposita udienza, non ha inteso presenziare senza alcuna giustificazione”, ha ritenuto tali dichiarazioni inidonee a configurare rischi di subire un danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, non essendovi pericolo di subire una condanna a morte ovvero essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti in caso di rientro nel paese d’origine. Peraltro – dalla consultazione delle fonti internazionali emergeva che “nella regione di provenienza del ricorrente, Punjab, non ricorre alcuna ipotesi di conflitto armato interno” o di esposizione al pericolo per la incolumità fisica. Il Tribunale – per quanto ancora qui rileva – ha altresì escluso, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, l’allegazione di circostanze o fatti rilevanti, tali da integrare una possibile situazione di vulnerabilità, “non bastando al riguardo lo svolgimento di un’attività lavorativa”.

Il Ministero si costituisce con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorso è articolato in tre motivi.

Con il primo si deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per omessa motivazione su un punto decisivo del giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ciò in quanto il Tribunale avrebbe omesso l’esame, con conseguente carenza di motivazione della decisione, sul rigetto della domanda principale di riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria, in presenza di rischio di grave danno, anche come trattamenti inumani e degradanti, con particolare riferimento alla pratica della riduzione in schiavitù del debitore fino al pagamento al creditore dei suoi debiti. Si precisa che il Pakistan occupa il terzo posto fra i Paesi che sfruttano persone e bambini ridotti in schiavitù per debiti.

Il motivo è inammissibile, non essendo stato tempestivamente dedotto e risultando carente di autosufficienza.

Va sul punto ribadito che affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività (Sez. U, Sentenza n. 15781 del 28/07/2005 e succ. conf.. Fra le altre Sez. 3, Sentenza n. 2138 del 31/01/2006 (Rv. 587859-01).

Peraltro, ove con il ricorso per cassazione sia censurato il vizio di motivazione, è onere della parte ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass., sez. 1, n. 23675 del 18/10/2013; Sez. 6-1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018).

Con il secondo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ex art. 360 c.p.c., n. 3, sussistendo, contrariamente a quanto statuito dal Tribunale, che si è attenuto solo a fonte EASO, una violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato dovendosi esaminare le domande di protezione internazionale alla luce di informazioni precise e aggiornate sulla situazione del Paese di origine. (Richiama due decisioni dei Tribunali di Palermo e Catania che hanno riconosciuto per la stessa zona una condizione di diffusa violenza idonea a riconoscere la protezione sussidiaria).

Con il terzo articolato motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omessa a motivazione su un punto decisivo del giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ciò in relazione al travisamento della condizione del Paese di origine, nonostante la prova documentata della sua instabilità e violazione dei diritti umani, che avrebbe dovuto determinare il riconoscimento quantomeno della protezione umanitaria.

Nell’anzidetto motivo si censura il decreto anche per avere il Tribunale comunicato direttamente il rigetto della domanda, anzichè sciogliere la riserva sul rinvio chiesto dal ricorrente per potere essere ascoltato: e ciò senza riferire al collegio ed emettere il relativo procedimento (di accoglimento o rigetto dell’istanza), non rispondendo al vero che il ricorrente “non comparso” non aveva fatto “alcuno sforzo per circostanziare la domanda”. Peraltro, con riguardo alla condizione soggettiva, alla riconosciuta esistenza di un contratto di lavoro va aggiunto che il richiedente presenta altre situazione di vulnerabilità (età avanzata, analfabetismo) che non consentirebbero la sopravvivenza sua e della sua famiglia nel suo Paese.

Anche questi motivi sono inammissibili, sia con riferimento alla violazione ex art. 360, n. 3, sia con riferimento alla violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Quanto alla violazione di legge, le asserzioni contenute negli indicati motivi confliggono con quanto accertato dal Tribunale, sulla base delle dichiarazioni del richiedente, che aveva affermato di avere lasciato il Pakistan per assicurare il mantenimento alla sua famiglia.

Quanto alle fonti di conoscenza cui ha attinto il Tribunale, contrariamente a quanto assunto, oltre alla fonte EASO è richiamato anche il report 25.8.2017 della Commissione nazionale per il diritto di asilo, il CRSS (Centre Research and Security Studies), dati primo trimestre 2017; il sito SATP (South Asia Terrorism Portal).

Gli indicati motivi risultano peraltro del tutto privi di autosufficienza, mancando il riferimento alla loro proposizione nel grado di merito, richiedendosi in realtà un inammissibile apprezzamento di fatto escluso nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione, coerente, del Tribunale.

Deve essere dichiarata l’inammissibilità anche dei profili di censura – formulati nel terzo motivo – relativi alla denuncia di vizi di motivazione per l’assorbente ragione secondo cui essi non risultano prospettati in conformità con l’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – secondo cui la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207).

Evenienze non verificatesi nel caso di specie.

Il terzo motivo, anche nella parte in cui censura la violazione della procedura per la mancata audizione del richiedente, nonostante la richiesta di rinvio proposta a tal fine, va respinto.

La censura, a parte i profili di inammissibilità per carenza di autosufficienza, è infondata, posto che l’ordinamento non prevede l’obbligo di procedere all’ascolto del richiedente la protezione in secondo grado. La Corte territoriale dà atto che il richiedente era stato ascoltato dalla commissione territoriale (pag. 2), e che nessun ulteriore ascolto era necessario in appello.

In proposito, va ribadito il principio per cui nel procedimento relativo ad una domanda di protezione internazionale, “non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 3003 del 07/02/2018, Rv. 647297; conf. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 24544 del 21/11/2011, Rv. 619702 e Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 14600 del 29/05/2019, Rv. 654301).

Il ricorso va conclusivamente rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2020

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