Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8016 del 21/04/2020

Cassazione civile sez. I, 21/04/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 21/04/2020), n.8016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9875/2019 R.G. proposto da:

H.S.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Gaetana

Paesano, con domicilio eletto in Roma, via R. Raimondi Garibaldi, n.

12, presso lo studio dell’Avv. Maria Grazia Leo;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI

SALERNO;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Salerno depositato il 28

gennaio 2019.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 gennaio 2020

dal Consigliere Mercolino Guido;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale DE RENZIS Luisa, che ha concluso chiedendo l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. H.S.S., cittadino dell’India, propose ricorso al Tribunale per i minorenni di Salerno, per ottenere, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 31, l’autorizzazione alla permanenza in Italia per motivi connessi all’assistenza dei propri figli minori H.R.S. e H.G.S..

Premesso di essere titolare di un permesso di soggiorno per assistenza ai minori della durata di due anni, con scadenza al 23 settembre 2018, e di essere in grado di mantenere il proprio nucleo familiare, lavorando stabilmente come bracciante presso un’azienda agricola, espose che i figli risultavano perfettamente integrati nel contesto sociale in cui vivevano, frequentando regolarmente la scuola.

1.1. Con decreto n. 2051/18, il Tribunale per i minorenni rigettò la domanda, rilevando che il ricorrente, oltre a non aver richiesto il permesso di soggiorno per altri motivi, risultava denunciato per maltrattamenti ai danni della moglie, ed escludendo che l’allontanamento dal contesto di appartenenza potesse comportare un pregiudizio per i minori.

2. Il reclamo proposto dall’ H. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Salerno con decreto del 28 gennaio 2019.

Premesso che ai fini del rilascio dell’autorizzazione occorre accertare il pregiudizio arrecato all’armonico sviluppo del minore dall’allontanamento forzato del genitore o dal suo sradicamento dal territorio italiano, non riducibile al mero disagio derivante dal cambiamento ambientale e di abitudini di vita, mediante un giudizio prognostico che tenga conto dell’età del minore, del suo grado di radicamento nel nostro Paese e delle concrete possibilità di permanenza dei genitori in Italia, la Corte ha rilevato che il reclamante, già titolare di un permesso di soggiorno della durata di due anni per assistenza ai figli ed unico responsabile dei minori, a causa dell’assenza della madre, risultava segnalato e rinviato a giudizio per il reato di maltrattamenti in famiglia. Precisato che tale contestazione, oltre ad incidere sulla valutazione dell’attitudine all’esercizio della potestà genitoriale, si contrapponeva, nel bilanciamento con l’interesse dei minori alla permanenza in Italia, all’interesse dello Stato alla tutela nei confronti di un soggetto socialmente pericoloso, ha escluso che l’allontanamento dall’Italia costituisse un evento traumatico insuperabile, in considerazione dell’età dei minori, ed ha ritenuto pertanto insussistente il danno richiesto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31.

3. Avverso il predetto decreto l’ H. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, censurando il decreto impugnato per aver ritenuto che, in considerazione della tenera età dei minori e dello stato di non occupazione della madre, l’unità del nucleo familiare potesse essere salvaguardata mediante il rientro nel proprio Paese di origine. Premesso che la norma citata non mira a tutelare l’unità familiare, ma lo sviluppo psicofisico del minore, che potrebbe risultare pregiudicato non solo dallo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto, ma anche dall’improvviso allontanamento di uno dei genitori, osserva che la Corte d’appello si è limitata a prendere in esame la prima ipotesi, senza considerare che l’allontanamento della figura genitoriale potrebbe provocare un trauma anche solo psichico talmente rilevante da compromettere irrimediabilmente la crescita dei minori. Afferma che la tutela dello sviluppo psicofisico di questi ultimi postula una valutazione prognostica che tenga conto del danno anche solo potenzialmente arrecato agli stessi, in relazione alla loro età ed alle loro condizioni di salute, indipendentemente dal carattere eccezionale della situazione, restando esclusa l’eventualità di una strumentalizzazione del loro interesse ai fini dell’elusione della disciplina dell’immigrazione, in quanto l’autorizzazione è immediatamente revocabile non appena vengano a cessare i gravi motivi che la giustificano.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che, nel rigettare la domanda di autorizzazione, il decreto impugnato si è limitato a dare atto della portata ostativa del reato ascritto ad esso ricorrente, non avente di per sè alcuna ripercussione sulla sua capacità genitoriale, senza valutare il percorso di scolarizzazione intrapreso dai figli ed il turbamento che gli stessi subirebbero in caso di allontanamento dall’Italia. Premesso che i minori, ancora in età scolare, risultano perfettamente inseriti nel tessuto sociale e scolastico, afferma che lo sradicamento da tale contesto comporterebbe certamente un pregiudizio, costringendoli a trasferirsi in un Paese del quale non conoscono la lingua ed in cui non hanno alcun trascorso personale, nonchè ad instaurare legami con ambienti e persone del tutto sconosciute.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31 dell’art. 30 Cost. e dell’art. 8 della CEDU, osservando che, nel procedere al bilanciamento tra l’interesse dei minori e quello alla difesa dello Stato e delle sue leggi, il decreto impugnato non ha considerato che, ove l’intero nucleo familiare dello straniero sia radicato in Italia e non sussista alcun legame con il Paese di origine, la valutazione comparativa richiesta ai fini del rilascio del titolo di soggiorno implica, ai sensi del D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 5, un giudizio prognostico in ordine alla probabilità di reiterazione della condotta illecita ed al conseguente allarme sociale, da formularsi anche alla luce delle esigenze di unità familiare.

4. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti profili diversi della medesima questione, sono fondati.

A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha infatti richiamato correttamente il principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, secondo cui l’accertamento dei gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore, in presenza dei quali può essere temporaneamente autorizzata la permanenza in Italia del familiare straniero, postula la formulazione di un giudizio prognostico in ordine alle conseguenze dell’allontanamento del genitore dal territorio italiano o dello sradicamento del minore dall’ambiente in cui è nato e vissuto, e segnatamente in ordine alla modificazione delle sue abitudini di vita ed all’incidenza della stessa sulla sua personalità, tale da consentire di affermare che i predetti eventi comporterebbero un danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave, non necessariamente ricollegabile a situazioni eccezionali o alle sue condizioni di salute (cfr. Cass., Sez. Un., 25/ 10/2010, n. 21799; Cass., Sez. I, 21/02/2018, n. 4197; Cass., Sez. VI, 7/09/2015, n. 17739). Nell’applicazione del predetto principio, il decreto impugnato non ne ha fatto tuttavia buon governo, essendosi limitato a dare atto dell’età dei minori, aventi all’epoca rispettivamente otto e sei anni, ed avendone immotivatamente desunto la loro capacità di sopportare le conseguenze emotive e pratiche del trasferimento in un Paese diverso, per poi concludere sbrigativamente che l’allontanamento dall’Italia non avrebbe costituito per loro un evento traumatico insuperabile. Tale ragionamento, nella sua superficialità, non può ritenersi corrispondente allo schema delineato dall’art. 31, comma 3, cit., il quale, nel porre l’accento sulla gravità dei motivi richiesti per il rilascio dell’autorizzazione e sulla loro attinenza allo sviluppo psicofisico del minore, esige una valutazione più complessa ed approfondita, che, muovendo dalla constatazione dell’età del minore e delle sue condizioni di salute, ed attraverso una ricognizione dei suoi tratti caratteriali e della sua attuale rete di relazioni familiari e sociali, consenta di pervenire, per quanto possibile, ad un giudizio sicuro e documentato in ordine al suo grado di maturazione ed alla conseguente capacità di affrontare senza danni il trauma connesso al distacco dal genitore o, in alternativa, al trasferimento in un una Paese diverso da quello in cui ha finora vissuto.

La giurisprudenza di legittimità ha d’altronde già avuto modo di evidenziare il carattere non meramente astratto e stereotipato del predetto apprezzamento, precisando che le situazioni che possono integrare i gravi motivi di cui all’art. 31, comma 3, non si prestano ad essere catalogate o standardizzate, sicchè il loro accertamento richiede al giudice di merito una valutazione di tutte le circostanze del caso concreto, con particolare attenzione, oltre che alle eventuali esigenze di cure mediche, ai bisogni materiali e spirituali specificamente collegati all’età del minore, nonchè alla prioritaria esigenza di stabilità affettiva che contraddistingue la delicata fase di crescita dallo stesso attraversata (cfr. Cass., Sez. I, 21/02/2018, n. 4197, cit). Tale valutazione risulta totalmente assente nel decreto impugnato, il quale, nel descrivere la situazione familiare ed esistenziale dei minori, si limita a dare atto dell’assenza della madre, senza neppure precisare dove si trovi e se i figli intrattengano rapporti più o meno continuativi con la stessa, riferendo, in ordine alla loro vita di relazione, soltanto che essi frequentano la scuola in Italia, dove risiedono fin dalla nascita, ed escludendo, ciò nonostante, che il trasferimento nel Paese di origine del padre possa costituire per loro un trauma insuperabile; la Corte territoriale non s’interroga in alcun modo sulla conoscenza che i minori hanno del predetto Paese e sulle prospettive del loro inserimento nel relativo tessuto sociale, omettendo inoltre di esplorare, in alternativa, la possibilità del distacco dei minori dal genitore e del loro collocamento presso la madre, nonchè le relative conseguenze.

4.1. Nell’escludere la possibilità che i minori rimangano in Italia con il padre, il decreto impugnato conferisce inoltre rilievo alla condizione personale di quest’ultimo, denunciato e rinviato a giudizio per il reato di maltrattamenti in famiglia, e, pur dando atto dell’idoneità di tale circostanza ad incidere sulla valutazione della sua capacità di esercitare adeguatamente la funzione genitoriale, non ne trae alcuna conseguenza, limitandosi ad affermare, senza ulteriori precisazioni, che, nel bilanciamento con l’interesse dei minori alla permanenza in Italia, dev’essere attribuita la prevalenza all’interesse dello Stato italiano alla tutela da un soggetto socialmente pericoloso.

Tale affermazione, nella sua astrattezza, si pone in contrasto con il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, secondo cui la sussistenza di comportamenti del familiare incompatibili con il suo soggiorno nel territorio nazionale dev’essere valutata in concreto, attraverso un esame complessivo della sua condotta, al fine di stabilire, all’esito di un attento bilanciamento, se le esigenze statuali inerenti alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale debbano prevalere su quelle derivanti da gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, cui la norma conferisce protezione in via primaria (cfr. Cass., Sez. 1^, 4/06/2018, n. 14238). Anche in riferimento all’ipotesi in cui lo straniero abbia riportato una condanna per uno dei reati che il D.Lgs. n. 386 del 1998, considera ostativi all’ingresso ed al soggiorno in Italia, è stato chiarito che tale circostanza non può determinare automaticamente il diniego dell’autorizzazione, ma è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza nel territorio italiano, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale, e può quindi condurre al rigetto dell’istanza soltanto all’esito di un esame circostanziato del caso e del bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la norma in esame attribuisce, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, valore prioritario ma non assoluto (cfr. Cass., Sez. Un., 12/06/2019, n. 15750).

4. Il ricorso va pertanto accolto, ed il decreto impugnato va conseguentemente cassato, con il rinvio della causa alla Corte d’appello di Salerno, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e rinvia alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2020

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