Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8015 del 28/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/03/2017, (ud. 27/01/2017, dep.28/03/2017),  n. 8015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22631/2015 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, C.SO TRIESTE

109, presso lo studio dell’avvocato DONATO MONDELLI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati SANDRA ANTICO, NICOLA

CERA; (AMMESSO G.P. Delib. 5 ottobre 2015 ordine Avvocati Venezia);

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLO

PELLICINI, MAURIZIO ASCIONE CICCARELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 611/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 09/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorrente M.R. impugna, articolando otto motivi di ricorso, la sentenza 9 marzo 2015, n. 611/2015, della Corte d’Appello di Venezia, che, pronunciando sull’appello proposto dallo stesso M. avverso la sentenza n. 2937/2011 del 25 novembre 2011, resa dal Tribunale di Verona, aveva respinto l’impugnazione della Delib. Assembleare 15 settembre 2009 del Condominio (OMISSIS), della quale l’attore lamentava difetti di costituzione, vizio di conflitto di interessi ed invalidità per erronea ripartizione degli oneri relativi al servizio di ascensore. In particolare, le spese di bilancio sull’uso dell’ascensore erano state suddivise soltanto secondo i millesimi di proprietà e non anche secondo l’altezza di piano. La Corte d’Appello ha affermato che l’atto di acquisto del M. stabiliva che “la ripartizione delle spese condominiali verrà fatta in proporzione ai millesimi di proprietà e in conformità a quanto disposto dal regolamento di condominio”; che lo stesso regolamento prevedeva che le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale avvenisse ai sensi dell’art. 1124 c.c., mentre nulla disponeva per le spese di ascensore; che il M. aveva così accettato di ripartire le spese condominiali in base ai millesimi di proprietà e quindi in deroga al codice civile.

Il Condominio (OMISSIS), si difende con controricorso.

Ritenuto che il ricorso proposto da M.R. potesse essere accolto per manifesta fondatezza del secondo e del settimo motivo, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2. Il ricorrente M.R. ha presentato anche “memoria di controdeduzioni” avverso la nota di deposito di controparte ex art. 372 c.p.c., comma 2, del 19 gennaio 2017.

Va ritenuta ammissibile la presentazione di una seconda memoria, ove, come nel caso in esame, non sia maturato il termine di cinque giorni di cui all’art. 380-bis c.p.c., comma 2, calcolato in funzione della data dell’adunanza, atteso che la norma in esame usa il termine “memorie” al plurale e va interpretata in senso favorevole alla possibilità del dispiegarsi nel senso più ampio del diritto di difesa della parte, ovvero nel senso che il deposito di una prima memoria non implica consumazione del potere di difesa scritta (così già Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 4177 del 19/02/2008).

Va altresì detto che il Condominio (OMISSIS), con la propria memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2, ha eccepito l’inammissibilità dell’avverso ricorso per la formazione di un giudicato esterno fondato sulla sentenza n. 415/2012 emessa dal Tribunale di Verona in data 24 febbraio 2012. Tale eccezione è tuttavia inammissibile, come inammissibile è la produzione di copia della citata sentenza, atteso che, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno può essere eccepita o rilevata se emerga da atti comunque già prodotti nel giudizio di merito, oppure nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata (la quale, invece, è stata qui depositata il 9 marzo 2015, e quindi ben dopo il momento di formazione dell’assunto giudicato della sentenza del 24 febbraio 2012). L’art. 372 c.p.c., si riferisce, infatti, esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, mentre non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato. La produzione del provvedimento su cui si basa l’eccezione o il rilievo del giudicato esterno può, dunque, aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, soltanto nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza (Cass. Sez. U., Sentenza n. 13916 del 16/06/2006). Qualora, invece, il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata ivi eccepita dalla parte interessata, è impugnabile con il ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 5, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato (Cass, Sez. U., Sentenza n. 21493 del 20/10/2010).

Il primo motivo di ricorso è, poi, infondato: con esso il ricorrente si duole della mancata concessione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, ed assume la nullità della sentenza di primo grado e del procedimento, essendogli stata preclusa la possibilità di integrare e precisare le sue domande e deduzioni istruttorie a fronte delle eccezioni del convenuto formulate nella comparsa di risposta. Trattasi di allegazione generica, che non contiene alcuno specifico riferimento alle difese della controparte ed alle richieste che l’attore avrebbe inteso formulare in sede di appendice scritta dell’udienza di trattazione, e che fa riferimento ad una serie di attività difensive dell’attore, consequenziali alle eccezioni del convenuto, che potevano tutte spiegarsi già nella stessa udienza di trattazione (art. 183 c.p.c., comma 5). E’ noto come questa Corte abbia piuttosto affermato che la parte che impugni, al fine di ottenerne la declaratoria di nullità, la sentenza di primo grado per la mancata concessione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, deve dimostrare che, da tale mancata concessione, sia conseguita in concreto una lesione del suo diritto di difesa, allegando il pregiudizio che gliene sia derivato, essendo altrimenti il gravame inammissibile per difetto d’interesse (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6343 del 21/03/2011; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1866 del 01/02/2016). L’inammissibilità del motivo di appello sul punto priva di rilievo la relativa omessa pronuncia attribuita alla Corte di Venezia (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21968 del 28/10/2015).

E’ invece fondato il secondo motivo di ricorso.

Secondo l’orientamento del tutto consolidato di questa Corte, la regola posta dall’art. 1124 c.c., relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale (per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo) in mancanza di criteri condizionali, è applicabile per analogia, ricorrendo l’identica “ratio” (e poi proprio ex lege, a seguito della riformulazione dell’art. 1124 c.c., operata della L. n. 220 del 2012, qui non operante ratione temporis), alle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente (su cui incide il logorio dell’impianto, proporzionale all’altezza dei piani). Pertanto l’impianto di ascensore è di proprietà comune – secondo la presunzione di cui all’art. 1117 c.c., n. 3, in mancanza di titolo contrario – fra tutti i condomini in proporzione al valore dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva (art. 1118 c.c.) e la ripartizione delle spese relative all’ascensore è regolata dai criteri stabiliti dall’art. 1124 c.c. e dall’art. 1123 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3264 del 17/02/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5975 del 25/03/2004; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2833 del 25/03/1999).

Anche il criterio di ripartizione delle spese condominiali stabilito dall’art. 1124 c.c. e quindi operante per la manutenzione dell’ascensore, può essere derogato, come prevede l’art. 1123 c.c., e il relativo accordo modificatore della disciplina legale di ripartizione può essere contenuto sia nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), sia in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini. La deroga ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali suppone, tuttavia, un’espressa convenzione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16321 del 04/08/2016, non massimata; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28679 del 23/12/2011).

Proprio perche, in base all’art. 1124 c.c., le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e degli ascensori vanno assimilate e assoggettate alla stessa disciplina, senza alcuna distinzione tra le une e le altre, la clausola del regolamento condominiale che dispone che le spese di manutenzione delle scale vadano ripartite secondo l’art. 1124 c.c., non può affatto essere intesa come convenzione contraria alla suddivisione delle spese di manutenzione degli ascensori secondo lo stesso criterio; nè tanto meno vale quale deroga all’art. 1124 c.c., la clausola contenuta nell’atto di acquisto che prevede che la ripartizione delle spese condominiali avvenga secondo i millesimi e in conformità a quanto disposto dal regolamento.

L’accoglimento del secondo motivo di ricorso assorbe l’esame del terzo, quarto, quinto, sesto ed ottavo motivo.

E’ altresì fondato, poi, il settimo motivo di ricorso. La Corte d’Appello, invocando la cosiddetta prova della resistenza, ha escluso l’invalidità della deliberazione impugnata, nella quale l’amministratore ha esercitato il diritto di voto munito di tre deleghe, in violazione dell’art. 18 del regolamento condominiale, che stabilisce che nessuno possa rappresentare in assemblea più di due condomini. Secondo, però, l’orientamento di questa Corte, la clausola del regolamento di condominio volta a limitare il potere dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee, riducendolo, come nella specie, a non più di due deleghe, regola l’esercizio del diritto di ciascun condomino di intervenire in questa a mezzo di delegati (art. 67 disp. att. c.c., comma 1, anch’esso modificato dalla L. n. 220 del 2012, comma 1, con riformulazione qui non applicabile ratione temporis), inderogabile (secondo quanto si evince dal successivo art. 72) giacchè posto a presidio della superiore esigenza di garantire l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee, nell’interesse comune dei partecipanti alla comunione, considerati nel loro complesso e singolarmente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5315 del 29/05/1998). Sicchè la partecipazione all’assemblea condominiale di un rappresentante fornito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento di condominio, comportando un vizio nel procedimento di formazione della relativa delibera, dà luogo ad un’ipotesi di annullabilità della stessa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7402 del 12/12/1986), senza che possa rilevare il carattere determinante del voto espresso dal delegato per il raggiungimento della maggioranza occorrente per l’approvazione della deliberazione stessa.

Vanno quindi accolti il secondo ed il settimo motivo di ricorso, dichiarandosi assorbiti terzo, quarto, quinto, sesto ed ottavo motivo, mentre va rigettato il primo motivo. La sentenza impugnata va cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia, che deciderà la causa uniformandosi agli enunciati principi. Viene rimessa al giudice del rinvio anche la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il secondo ed il settimo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, dichiara assorbiti il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e l’ottavo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 27 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017

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