Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8015 del 20/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 8015 Anno 2016
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CRUCITTI ROBERTA

ORDINANZA
sul ricorso 9770-2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI, 12
presso PAVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –

contro
BRUZZESE MARIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 43,
presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati MAURO BEGHIN, GIUSEPPE
PIVA, MARCELLO POGGIOLI giusta procura a margine del controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 1560/26/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE del VENETO, depositata il 13/10/2014;

Data pubblicazione: 20/04/2016

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2016 dal
Consigliere Relatore Dott, Roberta Crucitti;
udito l’Avvocato Marcello Poggioli difensore del controricorrente che si riporta
agli scritti.
Ritenuto in fatto
Nella controversia concernente l’impugnazione da parte di Mario Bruzzese

movimentazioni bancarie ex art.32 d.p.r. 600/73, e portante maggiore IRPEF per
l’anno di imposta 2005, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, con la
sentenza indicata in epigrafe, confermava la decisione di primo grado favorevole al
contribuente.
In particolare, il Giudice di appello -in accoglimento di eccezione proposta
dal contribuente, ritenuta assorbita dai primi Giudici, e ribadita nel secondo gradoriteneva che, nel caso in esame, fosse stato violato l’art.12, ultimo comma, della
legge n.212/2000 perché, dopo il contraddittorio del 16 marzo 2010, l’Ufficio
aveva emanato l’avviso di accertamento senza la previa redazione di un processo
verbale di constatazione e senza mai informare il contribuente dell’avvio della
verifica.
Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso
affidandosi ad unico motivo.
Il contribuente resiste con controricorso illustrato con deposito di
successiva memoria ex art.380 bis c.p.c.
Considerato in diritto
1.Con l’unico motivo, si deduce la falsa applicazione dell’art.12, comma 7,
della legge n.212/2000, laddove la C.T.R. aveva ritenuto applicabile il citato
disposto normativo all’accertamento in oggetto che si era basato sulla
documentazione assunta a seguito di invito spedito al contribuente e sulle
risultanze di indagini bancarie, e non già su dati raccolti mediante accesso nei locali
destinati all’esercizio dell’attività.
1.1. La censura è fondata. Sulla questione controversa, costituita
dall’applicabilità dell’ultimo comma dell’art.12 della legge 212/2000 (c.d. Statuto
del contribuente) anche alle verifiche fiscali (quale quella in esame) conseguenti ad
accertamenti bancari ovvero “a tavolino”, questa Corte è intervenuta,

Ric. 2015 n. 09770 sez. MT – ud. 17-03-2016
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dell’avviso di accertamento, emesso a seguito anche di indagini sulle

ripetutamente, affermando che la suddetta disposizione trova applicazione, come
da espressa previsione legislativa, solo nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria
proceda ad accessi, ispezioni, verifiche fiscali “nei locali destinati all’esercizio di
attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali” (v.tra le altre
Cass.n.3142/2014; id n.13588/2014 la quale, peraltro, richiama sul punto il tenore
testuale della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n.18184/2013). A

Unite di questa Corte (Sentenza n.24823/15) le quali hanno statuito il seguente
principio: “Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale,
allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si
accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza
di specifica previsione, un generalizzato obbligo di contraddittorio
endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne
consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione
di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste
esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti
specificamente sancito”.
1.2.La sentenza impugnata, nel ritenere applicabile la normativa ad un caso
di accertamento conseguente ad indagini bancarie e senza che vi fosse stato
accesso presso i locali di attività del contribuente/ si è discostata dai superiori
principi.
2.in ordine, poi, alla questione di legittimità costituzionale della norma in
commento, dedotta in memoria il Collegio, nel rilevarne la non manifesta
fondatezza, evidenzia che dalla stessa su esaminata sentenza 24823/2015 delle
Sezioni Unite, il dato testuale del detto art. 12, comma 7, L. 212/2000,
univocamente tendente alla limitazione della garanzia del contradditorio
procedirnentale alle sole “verifiche in loco”, è da ritenersi “non irragionevole”, in
quanto giustificato dalla peculiarità stessa di tali verifiche, “caratterizzate
dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del
contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli; peculiarità
che giustifica, quale controbilanciamento, il contradditorio al fine di correggere,
adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione,
gli elementi acquisiti presso i locali aziendali”; siffatta peculiarità, differenziando le

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suffragare tale orientamento sono, peraltro e di recente, intervenute le Sezioni

due ipotesi di verifica (“in loco” o “a tavolino”), giustifica e rende non
irragionevole il differente trattamento normativo delle stesse, con conseguente
manifesta infondatezza della sollevata questione di costituzionalità con riferimento
agli artt. 3 e 97 Cost..; né una questione di costituzionalità, sempre con riferimento
all’art. 3 della Cost. può porsi per la duplicità di trattamento giuridico tra “tributi
armonizzati” e “tributi non armonizzati”, atteso che, come anche in tal caso

l’assimilazione tra i due trattamenti è preclusa in presenza di un quadro normativo
univocamente interpretabile nel senso dell’inesistenza, in campo tributario, di una
clausola generale di contradditorio pro cedimentale. L’affermata insussistenza,
nell’ordinamento tributario nazionale, di una clausola generale di contradditorio
endoprocedimentale non viola, inoltre, né l’art. 24 Cost. né l’art. 111 Cost., atteso
che, come espressamente affermato da questa Corte nella su richiamata sentenza a
n. 24823/2015, le garanzie di cui all’art. 24 “attengono, testualmente, all’ambito
giudiziale”, né l’art. 111 Cost., in quanto il giudizio tributario, pur nella sua
particolarità, è comunque rispettoso del principio della c.d. “parità delle armi”,
giacché, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale sancito
dall’art. 7 d.lgs. 546/1992, il potere di introdurre in giudizio dichiarazioni rese da
terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio proprio degli elementi
indiziati, compete non solo all’Amministrazione finanziaria, che tali dichiarazioni
abbia raccolto nel corso d’indagine amministrativa, ma, altresì, con il medesimo
valore probatorio, al contribuente”.
3.Conclusivamente, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va
cassata e va disposto il rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in
diversa composizione, affinché, adeguandosi al superiore principio, provveda,
oltre che al regolamento delle spese processuale, all’esame delle questioni ritenute
assorbite,

P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia
alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, lanche
per il regolamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 17 marzo 2016.

evidenziato dalla su menzionata sentenza delle sez. unite 24823/2015,

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