Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8013 del 21/04/2020

Cassazione civile sez. I, 21/04/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 21/04/2020), n.8013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36357/2018 proposto da:

U.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Cosimo

Castrignanò, giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositato il

23/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/12/2019 dal cons. CLOTILDE PARISE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con Decreto n. 3359/2018 depositato il 23-10-2018 il Tribunale di Catanzaro ha respinto il ricorso di U.S., cittadino del Pakistan, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè non era in grado di pagare un ingente debito, contratto da suo padre per il costo di una costosa operazione a cui si era sottoposto il richiedente, poi costretto a lavorare e ad essere trattato come uno schiavo per restituire la somma al creditore. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 46 del 2017, art. 35 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e all’art. 24 Cost., per la mancata assunzione dei mezzi di prova. Deduce che il Tribunale aveva fissato l’udienza per la comparizione delle parti senza convocare anche il ricorrente per l’audizione e che, pertanto, non era stato a quest’ultimo consentito di colmare lacune del racconto, oppure di spiegare le contraddittorietà rilevate dal Tribunale. Lamenta la violazione del suo diritto di difesa, la lesione del contraddittorio e la violazione del dovere di cooperazione istruttoria.

2. Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 50 bis c.p.c., in relazione all’art. 738 c.p.c., per la mancata composizione collegiale del Tribunale nell’udienza istruttoria. Ad avviso del ricorrente l’udienza istruttoria è stata tenuta dal Tribunale in composizione monocratica e non collegiale in violazione del citato art. 50 bis; deduce che su questioni di primaria importanza, quali quelle in esame concernenti status, il giudice relatore non può disporre in merito all’assunzione delle prove, diversamente realizzandosi una compromissione evidente del diritto di difesa e lo snaturarsi del rito camerale.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 7; difetto di motivazione”. Deduce che il Giudice ha l’obbligo di cooperazione istruttoria per integrare il quadro probatorio, acquisendo altri dati informativi, mentre il Tribunale non aveva adottato il metodo istruttorio prescritto dal citato art. 3, integrando il racconto del ricorrente con fonti esterne, e non aveva tenuto conto della situazione concreta del Paese di origine, caratterizzato da violenza indiscriminata, senza accogliere le istanze istruttorie.

4. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

4.1. Premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’audizione del richiedente non è obbligatoria (Cass. n. 17717/2018 citata anche nel decreto impugnato), il ricorrente si duole genericamente della violazione del contraddittorio, senza minimamente specificare neppure quale sia la sua vicenda personale, nè esporre i fatti allegati nel ricorso di primo grado, nè indicare il vulnus alla difesa asseritamente derivato dalla mancata audizione, che motivatamente non è stata disposta dal Tribunale.

Neppure il ricorrente precisa come e in che atto il giudice relatore, delegato dal Collegio agli adempimenti istruttori, come è consentito anche nel procedimento camerale concernente diritti o status (Cass. n. 11351/2004), abbia “disposto in merito all’assunzione delle prove” (pag.n. 3 ricorso), difettando, così, la doglianza, per un verso, di specificità, non essendo dato comprendere a quale attività del relatore si riferisca, e, per altro verso e in ogni caso, di autosufficienza.

5. Anche il terzo motivo è inammissibile.

5.1. Il Tribunale ha affermato che le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), neppure erano state prospettate dal richiedente e la censura non si confronta affatto con detto assunto, limitandosi il ricorrente a denunciare la mancata attivazione dei poteri istruttori ufficiosi per approfondire la sua storia e il mancato accoglimento di “richieste istruttorie”, non meglio precisate.

5.2. Anche in ordine alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto alla valutazione della situazione del suo Paese, inammissibilmente difforme da quella accertata nel giudizio di merito. Il Tribunale, con motivazione idonea (Cass. S.U. n. 8053/2014), ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), richiamando le fonti di conoscenza (pag. n. 9 decreto impugnato).

6. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, nulla dovendo disporsi circa le spese del presente giudizio, non avendo il Ministero svolto attività difensiva.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2020

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