Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8010 del 21/04/2020

Cassazione civile sez. I, 21/04/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 21/04/2020), n.8010

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32871/2018 proposto da:

F.S., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo

studio dell’Avv. A. Ficarra che lo rappresenta e difende per procura

rilasciata in foglio separato ma unito a ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 445/2018 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 16/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2019 da SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

La Corte d’Appello di Caltanissetta ha respinto il gravame proposto da F.S. cittadino pakistano (Punjab), avverso l’ordinanza del tribunale di Caltanissetta che confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente di religione sunnita ha riferito di essere titolare di un negozio di dolci, presso il quale ne erano stati ordinati alcuni per una festa degli sciiti, in parte avvelenati da un dipendente, causando la morte di alcune persone. Gli sciiti lo avevano accusato allora di far parte di un gruppo di estremisti, gli avevano ucciso il padre e gli avevano distrutto il negozio ed egli temendo di essere ucciso o arrestato a sua volta dalla polizia aveva lasciato il suo paese.

Contro la sentenza della medesima Corte d’Appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’appello: (11) sotto un primo profilo, per violazione dell’art. 24 Cost., del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, dell’art. 6 comma 3 lett. a) CEDU, dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per mancata traduzione nella lingua conosciuta dal ricorrente sia della decisione della commissione (in particolare, della sua parte motiva), sia dell’impugnata sentenza; (2) sotto un secondo profilo, per conseguente nullità, per mancanza di motivazione in lingua comprensibile al ricorrente; (3) sotto un terzo profilo, per violazione degli artt. 1364,1365,1369,2697 e ss. c.c., degli artt. 115 e 116c.p.c., e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in relazione all’art. 156 c.p.c., comma 2), del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 3, degli artt. 6 e 13 CEDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e dell’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il giudice pur avendo riconosciuto che nella zona di provenienza del ricorrente vi fossero conflitti generalizzati, aveva contraddittoriamente negato la protezione sussidiaria; (4) sotto un quarto profilo, per violazione degli artt. 1364,1365,1369,2697 e ss. c.c., degli artt. 115 e 116c.p.c., e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 81, comma 3, degli artt. 6 e 13 CEDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e dell’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il giudice pur avendo riconosciuto la condizione di violenza generalizzata, aveva respinto il riconoscimento della protezione sussidiaria; (5) sotto un quinto profilo, per violazione degli artt. 1364,1365,1369,2697 e ss. c.c., degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, del D.Lgs.n. 286 del 1998, art. 5 comma 6, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, degli artt. 6 e 13 CEDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e dell’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per omessa pronuncia sul riconoscimento della protezione umanitaria.

Il primo e secondo motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, perchè connessi, sono inammissibili, in quanto il profilo della mancata traduzione della decisione della Commissione territoriale (relativamente alla sola parte motiva) è “nuova”, non essendo state riportate le corrispondenti censure svolte in primo e secondo grado; mentre, in riferimento al profilo della mancata traduzione della sentenza impugnata, lo stesso è infondato, in quanto, ai sensi dell’art. 122 c.p.c. “in tutto il processo prescritto l’uso della lingua italiana” (cfr. Cass. n. 23760/19), mentre, se sussiste un problema di comprensione nello svolgimento del relativo giudizio, il giudice può nominare un interprete, circostanza non oggetto di censura, inoltre, il ricorrente, che si è pienamente difeso nel merito, non ha evidenziato alcun vulnus al proprio diritto di difesa, trattandosi, in ogni caso, di una censura genericamente formulata.

Il terzo e quarto motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, sono inammissibili, perchè non censurano la ratio decidendi sul giudizio di non credibilità (vedi pp. 3 e 4 della sentenza impugnata); inoltre, la Corte d’appello ha accertato, con giudizio di fatto insindacabile in questa sede (è richiamato il report di Amnesty International, v. p. 5), che nella zona di provenienza del ricorrente, non vi è conflitto al livello di guerra civile, nè violenza indiscriminata, tale da costituire grave pericolo di vita qualora il ricorrente dovesse tornare nel proprio paese.

Il quinto motivo, sulla protezione umanitaria, è inammissibile, in quanto non sussiste nessuna omessa pronuncia, mentre la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dalla Corte d’appello che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione.

La mancata costituzione dell’amministrazione statale esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso il Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2020

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